Quante volte ci siamo detti 'quando finirà la pacchia dei petrodollari' ? Ebbene, sta per finire, iniziando dall'Arabia Saudita. La buona notizia, che ci rinfrescherà questo caldo agosto, ce la annuncia Maurizio Molinari in un pezzo che è un vero e proprio scoop, sulla STAMPA di oggi , 08/08/2015, in prima pagina, con il titolo " Sono gli Usa i nuovi arbitri del greggio". Adesso stiamo a vedere se saranno capaci di sprecare anche questa occasione..
Maurizio Molinari
Arabia Saudita: fine della pacchia ?
Ecco il pezzo:
L’Arabia Saudita sta perdendo la guerra del greggio contro gli Stati Uniti per aver sottovalutato l’impatto delle nuove tecnologie sul mercato energetico. L’apertura delle ostilità risale al summit dell’Opec del 27 novembre quando Riad rifiutò di tagliare la produzione per risollevare il prezzo del greggio.Lo fece nella convinzione che «il mercato si stabilizzerà» come disse il ministro del Petrolio Ali Al-Naimi, al fine di non lasciare quote di mercato allo «shale oil» americano.
Per la precisione, gli sceicchi sauditi erano convinti che con il prezzo del barile sotto i 50 dollari avrebbero messo fuori mercato lo «shale oil» perché il costo della tecnica del «fracking» sarebbe divenuto eccessivo.
La mossa di Riad, sostenuta dalle altre monarchie del Golfo, si basava su una valutazione: l’alta tecnologia Usa per estrarre il petrolio dalle cavità più remote del sottosuolo non avrebbe potuto gareggiare con la facilità di accesso ai giacimenti della Penisola Arabica.
Ma scommettere contro l’innovazione raramente paga ed ora è la stessa Banca Centrale di Riad ad ammettere in un rapporto: «Sta diventando evidente che i produttori non- Opec non hanno risposto ai prezzi bassi del greggio come si riteneva, almeno nel breve termine».
Per comprendere quanto avvenuto bisogna leggere gli studi di Wood Mackenzie sull’impatto della strategia saudita: ha spinto le compagnie petrolifere a cancellare 46 progetti per 200 miliardi di dollari nel Golfo del Messico, nell’Atlantico, in Canada e nell’Artico russo. Ma non sul territorio degli Stati Uniti dove, dal Texas al North Dakota, l’estrazione di «shale oil» è continuata con tecnologie a basso costo. I petrolieri Usa sono riusciti ad abbassare i costi di estrazione del 45 per cento grazie a piattaforme estrattive che consentono la trivellazione facking in 5-10 direzioni allo stesso tempo. Il resto lo fanno trivelle «smart» che, via computer, cercano le rocce dove è più rapido e sicuro scavare.
Le conseguenze sono a pioggia: realizzare un pozzo nel Permian Basin prende 16 giorni, rispetto ai 30 del 2013.
Nello «shale gas» si è ripetuto lo stesso scenario e ciò significa, nella sintesi di un guru dell’energia come Ed Morse, che «la risoluzione dello shale-oil ha tolto all’Opec la capacità di manipolare i prezzi per massimizzare i profitti». Le conseguenze per i sauditi si annunciano severe: sul greggio si basa il 90 per cento delle entrate e dunque dei fondi per mantenere i reali, non far pagare le tasse ai cittadini e distribuire denaro ai disoccupati, senza contare la benzina a 12 cents al litro e l’elettricità a 1,3 cents a kw/h.
Per il Fmi il deficit di Riad a fine anno raggiungerà il 20 per cento del pil, circa 140 miliardi di dollari. Ciò significa il rischio della bancarotta che si somma al braccio di ferro con l’Iran sugli scenari di crisi in Sira, Iraq, Yemen e Bahrein.
Per evitare il peggio, re Salman deve attingere alle riserve interne - che diminuiscono di 12 miliardi al mese - e ciò spiega perché «Standard & Poor’s» ha abbassato l’outlook a «negativo».
Per Daniel Yergin, storico del greggio, è un processo irreversibile: «L’Arabia ha cessato di essere l’arbitro del greggio», e ora la bilancia pende verso gli Usa.
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