Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 07/08/2015, a pag. 27, con il titolo "Walter e i suoi fratelli: i Benjamin in volo con l'Angelo della Storia", la recensione di Elena Loewenthal.
Elena Loewenthal
Walter Benjamin
C’è una strabiliante ma anche terribile corrispondenza tra l’immagine dell’Angelo della Storia e la vicenda della famiglia Benjamin. Se il primo è descritto come statica figurazione della resistenza al progresso che lo travolge in forma di bufera, la seconda ne è la incalzante e tragica narrazione. E allora è come se con questa sua tesi sulla filosofia della storia Walter Benjamin avesse voluto inconsapevolmente siglare la biografia propria e quella della sua famiglia, a partire da Pauline ed Emil, i genitori. Tutto comincia infatti con una famiglia ebraica alto-borghese - il padre ha un fiorente commercio di antiquariato - in una Berlino dove non si poteva essere che assimilati. A I Benjamin è dedicato il libro di Uwe-Karsten Heye, giornalista e esperto di temi politici, che esce ora in italiano per Sellerio (pp. 333, € 18; peccato solo per una traduzione del tedesco a tratti involuta).
"I Benjamin" (Sellerio ed.)
In questa vicenda i dati privati si intrecciano con la Storia maiuscola e formano una matassa inestricabile di destini perduti e tremende battute d’arresto per quel progresso che la metafora dell’Angelo così bene descrive. Il primogenito Walter nasce nel 1892 ed è il pensatore che meglio di ogni altro ha letto e descritto la contemporaneità. Filosofo non convenzionale la cui straordinaria lucidità si esprime in un pensiero frammentario, sempre discontinuo, con saggi quali L’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica è stato non di rado profetico del futuro prossimo che non fece in tempo a vedere. Il fratello Georg nasce poco dopo e diventerà medico; e soltanto nel 1901 arriva l’ultimogenita Dora.
Tre edizioni di "L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica" (Einaudi - Einaudi tascabili - Donzelli)
Suicida per sfuggire ai nazisti
Il libro si chiude a Portbou, sulla Costa Brava, l’impervio luogo di confine dove nella notte tra il 25 e il 26 settembre 1940 Walter Benjamin si uccise pur di non cadere in mano ai nazisti che occupavano la Francia. Un paradossale scherzo del destino: non poteva entrare in Spagna perché non aveva il visto d’uscita da quell’Europa continentale che lo aveva ripudiato in quanto ebreo. Suo fratello Georg scontò lunghi anni di prigione per resistenza politica al nazismo prima di venire deportato a Mauthasen, dove morì suicida, come fecero tanti altri prigionieri, buttandosi contro il filo spinato della recinzione, dove passava la corrente elettrica. La piccola Dora, talentuosa sociologa dalle idee rivoluzionarie ma soprattutto profetiche, se ne andò nel 1946 per un cancro al seno quando era ancora in Svizzera, il rifugio d’esilio conquistato con tanto rischio e fatica durante la guerra.
Heye innesta questa vicenda familiare nel destino collettivo della Germania, soffermandosi molto sul dopoguerra. Attraverso le biografie dei Benjamin presenta tutti i nodi del rapporto fra Est e Ovest, della Germania divisa, di quei pesanti depositi sentimentali e ideologici lasciati dalla riunificazione, di tutta la massa del non detto in questo storia, che ancora incombe sul presente. La vedova di Georg, Hilde, cognata di Walter, diventerà un personaggio di primissimo piano nella Ddr: vicepresidente della Corte Suprema fino al 1953, in seguito ministro della Giustizia. Quanto avrebbe accettato la fine del sogno comunista e la Germania unita sotto ben altri valori? Quanto la sua fede comunista era pura, quanto venata di ombre?
L'autore Uwe-Karsten Heye
Terribili contraddizioni della modernità
Non è certo la storia di una famiglia «normale» e men che meno rappresentativa, questa dei Benjamin. È, piuttosto, un complesso agglomerato di vicende straordinarie, nel bene e nel male. I tre fratelli hanno in comune la consapevolezza che la frammentarietà è la cifra del loro tempo, una sorta di dannazione esistenziale che Walter trasforma nel modello d’interpretazione della realtà. C’è in tutti e tre una misura di poesia, vuoi quando Georg scrive alla moglie dal carcere, vuoi quando Dora si lancia a capofitto nella sua missione sociale, vuoi quando Walter vaga per l’Europa e sente la vita come un passaggio stretto, talmente stretto che a un certo punto non resta che abbandonarlo.
Nonostante l’ampio respiro del libro, che molto si sofferma sullo strappo delle due Germanie nel dopoguerra e la loro imperfetta riunificazione, qui sono i tre fratelli Benjamin che si stagliano su tutto. E costituiscono un’eredità strabiliante ma anche difficile da portare per i pochi eredi, figli e nipoti dell’unico figlio di Georg e Hilde. «Le memorie, anche quando entrano nei dettagli, non sempre costituiscono un’autobiografia», scrive Walter Benjamin. Più spesso sono, come in questo caso, l’espressione della inafferrabilità della vita.
È dunque questa una tormentosa inchiesta dentro la loro storia, ben sapendo come va a finire: nella lontananza di luoghi e destini, Walter, Georg e Dora, assieme all’Angelo della Storia con le sue ali dispiegate e lo sguardo rivolto al passato, sono vittime di quelle terribili contraddizioni della modernità che hanno prodotto i totalitarismi del Novecento.
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