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La differenza Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli Samir Kuntar (a sinistra) ha ucciso una bambina israeliana spaccandole le testa contro un muro. E' libero e onorato. Nessuno ha mai detto nulla, la vittima era israeliana, l'assassino palestinese. Cari amici, l'avete già sentito ieri, vale la pena di ripetere il ragionamento, perché la chiarezza è essenziale in questi casi. Sì, in Israele vi sono dei terroristi ebrei. Sono poche decine, un centinaio, come spiega Maurizio Molinari (se non l'avete letto, fatelo: http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=6&sez=120&id=59087).
Non le decine di migliaia di Hamas e di Fatah e degli Hezbollah. Ma ci sono. Sono terroristi, non “compagni che sbagliano”, come nel Pci si parlava delle Brigate Rosse. Lo sono al di là del crimine orribile dell'altro giorno (che non abbiamo prove, ma dobbiamo pensare sia loro, purtroppo). In altri casi (il recente Gay Pride), si colpiscono persone che fanno delle cose che si considerano blasfeme anche se autorizzate dalla legge. Vi è qualcosa di profondamente immorale nell'usare le persone come bersaglio così senza che vi sia uno scontro, senza una ragione precisa per far del male a loro se non la categoria cui sono attribuite. L'essenza del terrorismo, per dirla di nuovo con le parole dell'esperienza italiana, è “colpirne uno per educarne cento”, secondo il vecchio slogan delle Brigate Rosse. Dunque esiste un terrorismo in Israele, benché del tutto minoritario ed isolato, come esiste un terrorismo in Italia, non del tutto chiuso, in Gran Bretagna, in Spagna, negli Usa, per non parlare del mondo islamico, del cosiddetto “Terzo Mondo”. Il terrorismo è una forma di guerra connessa alla modernità, in particolare allo sviluppo dell'informazione e dell'opinione pubblica; esso infatti si basa sull'effetto moltiplicatore che questi fattori hanno per qualunque fatto o azione sia costruito per essere “notiziabile”. Il terrorismo degli israeliani in Israele è però estremamente minoritario ed isolato. Questo è un fatto assolutamente centrale. Le reazioni all'incendio doloso della casa araba, come pure a quello del Gay Pride sono state unanimi: la maggioranza e l'opposizione, l'esercito e il rabbinato, gli intellettuali e la giustizia si sono tutti espressi immediatamente e senza ambiguità.
E non è solo la società ufficiale, come si è visto chiaramente sui social network: tutto il popolo israeliano ha rifiutato il crimine, come a suo tempo in Italia con i delitti dei terroristi di destra e di sinistra. Qui c'è la grande differenza. La società israeliana non è una vasca in cui i terroristi possano nuotare come pesci (per usare una terminologia maoista). Tutto il contrario, è per loro terreno inospitale. Esattamente il contrario delle società arabe, in particolare degli arabi che vivono a Gaza e nei territori dell'Autorità Palestinese. Vi ricordate i dolci offerti ai passanti in segno di gioia per il rapimento e l'uccisione dei tre ragazzi l'estate scorsa? I missili (anche loro strumenti terroristi, dato che colpiscono indiscriminatamente la popolazione civile) cui sono stati dedicati una statua a Gaza e decine di modellini in cartone portati in parata nelle più diverse circostanze? Le piazze, i centri sportivi, i tornei di calcio dedicati al nome dei terroristi morti durante il loro crimine? Gli stipendi pagati dall'Autorità Palestinese ai terroristi catturati?
Le dichiarazioni di “fierezza” per il bambino della famiglia Fogel sgozzato (http://www.europe-israel.org/2011/06/amjad-awad-%E2%80%9Cje-suis-fier-d%E2%80%99avoir-egorge-un-bebe-juif%E2%80%9D/) , mai condannati dalle autorità e dall'opinione pubblica? Questo è il punto che bisogna capire e far capire. Che in Israele ci sono alcuni terroristi isolati e condannati immediatamente. E che invece la società “palestinese” è essa stessa terrorista, senza vergogna e senza cedimenti. Perché, come amano ripetere, “noi amiamo la morte e voi la vita”. Ugo Volli |
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