Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 29/07/2015, a pag. 14-15, con il titolo "Nel bunker dei Servizi: 'Infiltrati nel Califfato per scatenare il caos' ", l'analisi di Marco Ansaldo.
Marco Ansaldo
Il sultano Erdogan "il Magnifico": in marcia verso la shari'a
Un pesante cancello grigio, un perimetro di muro alto quattro metri, finestre alte e strette come feritoie. Il bunker del Mit, com’è chiamato il servizio segreto turco, è così fortificato e sicuro da permettersi di risiedere sulla collina di uno dei quartieri più belli e verdi di Istanbul, Besiktas. Se si è fortunati, girandoci intorno sulla via Serencebey- strade silenziose, edifici di grande discrezione, di fronte il tranquillo Liceo Ataturk, più sotto la prestigiosa Università Yildiz – ogni tanto il cancello grigio si apre facendo passare un’auto lunga con i vetri oscurati. Oppure, da una porta laterale si vedono uscire uomini senza divisa, ma quasi sempre vestiti allo stesso modo: abito nero, camicia bianca, cravatta rossa. Solo accedendo dall’alto, da uno dei palazzi intorno, si riesca a dare una sbirciata dentro la sede (quella centrale è ad Ankara) della celebre intelligence turca, un servizio che ha pochi rivali al mondo per storia e affidabilità.
Fu proprio grazie a un lavoro raffinato del Mit che, nel 1999, le teste di cuoio turche riuscirono a individuare in Kenya, e mettere nel sacco, letteralmente, il leader del Pkk, Abdullah Ocalan, scappato da Roma e sparito nella sua fuga di 6 mesi in tre continenti diversi. Da sopra, il Mit di Istanbul, acronimo di Organizzazione di Informazione Nazionale, appare possente nella sua struttura tozza, anche se di proporzioni contenute. C’è un giardino curato con alberi secolari, all’ingresso svetta la bandiera rossa con la mezzaluna e la stella, sul tetto satelliti che sembrano grandi orecchie direzionate ovunque. Mentre la Turchia, dopo i recenti blitz aerei diretti sia contro lo Stato Islamico sia contro il Pkk, scivola sempre più nel pantano siriano e iracheno, il Mit oggi è sotto accusa.
Recep Tayyip Erdogan
Due critiche pesanti si sono abbattute nel giro di poche ore sull’intelligence, organismo che da qualche anno il Capo dello Stato, Tayyip Erdogan, tratta con i guanti. Ieri Fuat Avni, il twittatore segreto ritenuto interno al governo conservatore islamico, ma molto critico al punto da anticipare una serie di eventi puntualmente verificatisi, ha cinguettato 160 caratteri al veleno. Questi: «Per l’Is attaccare la Turchia, quando il Califfo (cioè Erdogan, ndr ) e la sua banda sono i suoi più grandi sostenitori, è un nonsenso. Suruc e Kilis sono entrambe decisioni del Califfo, non dell’Is». Suruc è la cittadina dove dieci giorni fa un kamikaze dello Stato Islamico fece saltare in aria 32 persone, ritratte in un selfie ormai tragicamente celebre, riunite mentre manifestavano per restaurare la biblioteca di Kobane. A Kilis, pochi giorni dopo, è stato ucciso un soldato turco. Il twittatore segreto, in sostanza, lancia l’accusa terribile di attacchi autoprovocati, che permettano una reazione giustificata per i raid contro gli uni e contro gli altri.
Fuat Avni ha svelato anche un altro dettaglio: cioè che a una riunione decisiva sui passi militari da intraprendere ci fossero le stesse persone che parteciparono nel marzo del 2014 a una conversazione imbarazzante, intercettata in un audio. Disse il capo del Mit, il giovane e spregiudicato Ha- kan Fidan, davanti all’allora ministro degli Esteri, Ahmet Davutoglu: «Se c’è bisogno, posso mandare quattro uomini in Siria. Li faccio sparare otto colpi di mortaio sul lato turco e creare una scusa per la guerra. Possiamo anche fargli attaccare la tomba di Suleyman Shah» (nonno del fondatore ottomano, il cui sito si trova poco al di là del confine siriano). Nei suoi tweet sempre accurati (capaci di anticipare le persone da arrestare), Fuat Avni – un probabile collettivo di oppositori interni al leader turco – sostiene che Erdogan intende creare il caos, dove gli agenti del Mit infiltrati nello Stato Islamico possano far seguire un conflitto.
Erdogan, campione dell'islamismo in Turchia
Il twittatore “infedele” dice che Fidan avrebbe attivato le sue spie anche nelle comunità curde. Il Presidente in questi giorni ha sempre recisamente respinto qualsiasi tipo di accusa. Hakan Fidan è considerato un fedelissimo di Erdogan. Di lui lo scorso anno si parlava come possibile ministro degli Esteri. Non ottenne quella posizione, e chiese allora di presentarsi al voto per farsi eleggere deputato. Con Erdogan visibilmente contrario, si consumò una rottura clamorosa. E solo dopo un faccia a faccia aspro, come ha rivelato a Repubblica un’alta fonte politica turca, Fidan fu costretto a tornare sui suoi passi, e al suo posto di capo del servizio segreto.
La seconda bordata al Mit arriva dal Partito socialdemocratico. In un rapporto presentato alla stampa, il gruppo politico afferma che il Mit era a conoscenza dell’attacco bomba pianificato a Suruc. Il vice del partito, Veli Agbaba, punta il dito direttamente sul Capo dello Stato. «Da quando Erdogan considera il Mit come il proprio organismo di intelligence, uno che serve i suoi interessi invece di quelli del Paese. L’arrivo di questi giovani militanti in città era noto al Mit, che non ha agito». Sono in molti, così, ad alzare ora lo sguardo per capire che cosa si muova dentro il bunker dell’intelligence. Che rimane, sulla collina, a dispetto delle faide consumate, dei progetti segreti, dei piani svelati, nel più totale e grigio silenzio.
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