Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 28/07/2015, a pag. 14-15, con il titolo "Tra i giornalisti curdi censurati da Erdogan: 'Così è guerra civile' ", la cronaca e commento di Marco Ansaldo.
Marco Ansaldo
Erdogan contro la libertà di stampa
«Tayyip Erdogan vuole il caos. Da sabato, quando ha fatto partire i raid contro lo Stato Islamico e il Pkk, sono stati chiusi 99 siti web di informazione. Il nostro è nato durante la rivolta di Gezi Park. E forse ora non ci riapriranno più. Ma rifiutiamo la decisione del Direttorato delle telecomunicazioni. La loro è come una legge di guerra. Vogliamo invece continuare a spiegare quel che davvero accade in questo Paese». Una foto di Che Guevara e Fidel Castro sorridenti appoggiata alla parete dei libri, l’immagine di una guerrigliera curda sul muro di fronte. A Istanbul, la sede di Sendika.org, sito on line con simpatie nella sinistra libertaria, è tutt’altro che nascosta. Dal terzo piano di un palazzo di Cumhuriyet Caddesi, la via della Repubblica, una bella vetrata larga si apre sul passeggio, e Gezi Park e la centralissima Piazza Taksim sono a soli 5 minuti a piedi. Sendika, che vuole “unione”, è uno dei media appena bloccati.
La protesta dei curdi
«La ragione? Non c’è ragione», rispondono sarcastici i redattori, alzando le spalle. Sono giovanissimi e tutti al computer, ma appena provano a digitare una notizia, la faccetta con l’occhio chiuso e le labbra all’ingiù (la stessa che compare su YouTube, bloccato qui da anni ormai) dimostra che anche oggi non c’è niente da fare. Nevruz e Tuba sono tutte e due laureate, parlano un buon inglese, e fanno entrambe un mestiere diverso: una è ingegnere, l’altra avvocato. «Qui siamo tutti volontari – spiegano – non crediamo che per fare informazione si debba necessariamente essere giornalisti». Dicono proprio così. E forse il caso di Gezi Park, nel 2013, ha insegnato a tutto il mondo l’importanza dei social network quando il giornalismo istituzionale non fa più il suo mestiere. In quell’estate di scontri in Turchia (10 i morti, migliaia i feriti), mentre le grandi reti nazionali trasmettevano documentari sui pinguini, erano le radio nate in piazza, le tv sorte all’impronta, i siti sbocciati in una notte a dare un resoconto quanto meno realistico di quello che accadeva nelle piazze della rivolta poi repressa nel sangue.
“Capul tv” nacque allora. “Tv vandalo” aveva preso il nome da un termine spregiativo lanciato da Erdogan ai dimostranti. “ Capulcu”, li aveva definiti. Parola che in turco ha più significati: ladro, vandalo, saccheggiatore, vagabondo. Ai ragazzi però piacque, ribaltarono la provocazione, e si appropriarono del nome. “Capul tv” ha lavorato per anni. Il suo marchio ha girato il mondo. Film a lei dedicati hanno vinto premi. Ora la sede sta nell’altra ala della redazione. Però le stanze sono buie, le telecamere a terra, le luci spente. Anche “Capul tv” è stata chiusa. A Sendika lavorano una deci- na persone. «Ma abbiamo collaboratori sparsi ovunque», dice Nevruz. «Il fatto è che è impossibile dare continuità all’informazione - interviene Tuba – chiudono tv, fermano le radio, bloccano Twitter. Se vuole, le mostriamo la lista dei siti colpiti da sabato».
È un elenco lungo, fatto in maggior parte di nomi curdi: Ank, Anha, Diha, Rojnews, Ozgur Gundem… Fino a Sendika, sito non curdo ma ideologicamente orientato a sinistra. Poco prima di chiudere è riuscito a pubblicare un comunicato. «Non accettiamo l’oppressione, e non ci piegheremo alla censura. Questo è fascismo ». In tv compare il nuovo leader curdo, il copresidente del Partito democratico del popolo, Selahattin Demirtas.
Selahattin Demirtas
Ha parole dure. «Un governo ad interim sta trascinando il Paese verso la guerra civile. Il partito di Erdogan cerca di riguadagnare la fiducia persa tra la gente per gli scandali di corruzione, con un’operazione definita di sicurezza, che però tale non è. Abbiamo visto fare ogni tipo di pazzia per trasformare il governo transitorio in uno definitivo, incluso il panico. Erdogan è l’architetto. Il premier Ahmet Davutoglu l’esecutore. Continuerò a lavorare per portare avanti il processo di pace, per il quale bastava fare un passo avanti, mentre il partito del Presidente continua a creare guai al Paese ». Un’ultima stoccata Demirtas la riserva al leader dei nazionalisti, la compagine nata dalla costola dei vecchi Lupi grigi, Devlet Bahceli, che invoca la chiusura del partito curdo per i suoi legami con il Pkk.
«Forse non sa che i partiti sono aperti e chiusi dalle persone. E forse dovrebbe conoscere le nefandezze della storia del proprio partito». Nella redazione di Sendika troneggia una foto di Gezi Park. I ragazzi battono sui tasti, e non si danno per vinti. Da qualche minuto pensano a un trucco. «Ci chiameremo “sendika1. org». E se vi chiudono? «Proveremo con il numero 2, poi il 3, e così via, all’infinito. Vediamo chi vince, alla fine, qui. Noi siamo pronti alla sfida».
Per inviare la propria opinione alla Repubblica, telefonare 06/49821, oppure cliccare sulla e-mail sottostante