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La Stampa Rassegna Stampa
26.07.2015 La brigata cristiana che combatte contro lo Stato islamico
Analisi di Maurizio Molinari

Testata: La Stampa
Data: 26 luglio 2015
Pagina: 13
Autore: Maurizio Molinari
Titolo: «Combattenti europei ed ex Marines, ecco la brigata cristiana anti-Isis»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 26/07/2015, a pag. 13, con il titolo "Combattenti europei ed ex Marines, ecco la brigata cristiana anti-Isis", l'analisi di Maurizio Molinari.


Maurizio Molinari


Cristiani crocifissi dai terroristi dello Stato islamico

Vittime dell’esodo forzato da Ninive, alleati dei peshmerga curdi, dotati di poche armi ma con grande motivazione personale e determinati a riconquistare la città perduta di Qaraqosh: sono i miliziani di «Dwekh Nawsha», ovvero l’unità militare composta dagli assiri-cristiani iracheni che hanno deciso di battersi contro lo Stato Islamico (Isis) in Iraq «per restare nella nostra terra».

L’esodo forzato
«Dwekh Nawsha» in lingua aramaica significa «coloro che si sacrificano». Quando nell’estate del 2014 i jihadisti del Califfo Abu Bakr al-Baghdadi conquistano Mosul e dilagano nel Nord dell’Iraq una delle vittime è la comunità cristiana della regione di Ninive. Duecentomila anime, costrette a una fuga precipitosa per evitare di doversi convertire o sottomettersi alle angherie dei jihadisti. Si trasferiscono in massa, con ogni mezzo, nelle adiacenti regioni sotto il controllo dei peshmerga curdi e molti di loro scelgono come nuova residenza la periferia di Erbil, capitale della regione autonoma del Kurdistan, dove creano propri campi. È qui che Albert Kisso, 48 anni, decide di non accettare l’esodo forzato da Qaradosh, la più grande città cristiana ora abbandonata. Riunisce un gruppo di uomini e donne accomunati dalla volontà di battersi, si presenta dai comandanti peshmerga e ottiene luce verde per la formazione della milizia armata. «Non vogliamo abbandonare la terra dove siamo nati, abbiamo vissuto e pregato» dice Batool Airyagoos, parlando da uno dei campi profughi cristiani di Erbil.

L’orgoglio nasce dalla consapevolezza di risiedere in Iraq da 3000 anni, ovvero ben prima della conquista araba e della nascita di Maometto. Athra Kado, arruolatasi nei «Dwekh Nawsha» in settembre parla di «terre che ci appartengono da sempre e da dove una banda di criminali sanguinari non riuscirà a cacciarci». Da qui il patto per battersi assieme, a dispetto delle fedeltà a partiti politici differenti come anche delle divisioni fra chi vede il proprio futuro sotto la sovranità irachena o curda. «Ciò che conta è riconquistare le nostre città e villaggi, per poi controllarli fino a quando il peggio non sarà passato, trasformandoli in una regione autonoma», riassume un combattente che afferma di chiamarsi Kado e conta su «cooperazione, addestramento e armi che riceviamo dalle forze del Kurdistan». Albert Kisso, comandante dei miliziani «che si sacrificano», precisa: «La verità è che non ci aiuta nessuno, ma noi ci battiamo lo stesso». In tutto si tratta di 200 volontari ma è un numero in crescita grazie all’arrivo di volontari stranieri e al sostegno finanziario garantito dalla diaspora assira, soprattutto negli Stati Uniti. I «Foreign Fighters» cristiani arrivano da Usa, Gran Bretagna e Australia. Fra costoro c’è un ex Marines, veterano di «Enduring Freedom» in Afghanistan, di nome Louis: «Sono qui da sei mesi e aiuto a combattere Isis». Ma indossare la divisa assira non è stato facile «perché i peshmerga hanno fatto resistenza, mi hanno fatto aspettare, non gradiscono l’arrivo di volontari stranieri in Kurdistan».

In unità coi peshmerga
Le unità dei miliziani cristiani svolgono più missioni: raccolta dati sul terreno, pianificazione di operazioni e agguati contro Isis con tecniche da commando. «I volontari stranieri sono molto utili - afferma Emmanuel Khoshaba, segretario generale del Partito patriottico assiro - perché hanno esperienza di combattimenti in zona di guerra e si rivelano ottimi istruttori». Sulla linea del fronte, nelle pianure di Ninive, «quelli che si sacrificano» si muovono in unità miste assieme ai peshmerga, usando mitragliatrici pesanti e mortai. L’operazione per riconquistare i villaggi perduti non è ancora iniziata ma Khoshaba afferma che «l’esistenza di una nostra milizia ha già avuto l’effetto di ridare fiducia alla nostra gente» perché «ora sappiamo che lasceremo le tende, torneremo nelle nostre case e il cristianesimo non sarà cancellato dalla terra irachena».

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