Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 26/07/2015, a pag. 13, con il titolo "Bombe anche sui curdi, la guerra parallela di Erdogan in Siria e Iraq", la cronaca di Maurizio Molinari.
Maurizio Molinari
Il sultano turco Recep Tayyip Erdogan
I jet turchi colpiscono le basi della guerriglia curda nel Nord dell’Iraq mandando in frantumi la tregua siglata due anni fa. È il premier di Ankara, Ahmed Davutoglu, a far sapere che gli F-16 hanno effettuato almeno 7 raid sulle montagne di Qandil dove il partito dei lavoratori curdi (Pkk) ha basi e comando: «La Turchia è lambita da un cerchio di fuoco e ci difenderemo per non essere travolti dall’anarchia», afferma il premier. In una lettera al Segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, il presidente Recep Tayyp Erdogan invoca l’articolo 51 della Carta dell’Onu sul diritto all’autodifesa. «La seconda ondata di attacchi contro il Pkk in Iraq» avviene in parallelo con «la terza ondata contro lo Stato Islamico in Siria», spiega Davutoglu, lasciando intendere che è «una strategia unica contro i nostri nemici». Forte l’imbarazzo a Washington, perché il Kurdistan iracheno è un alleato-chiave nelle operazioni contro Isis.
Massoud Barzani, presidente della regione autonoma curda, chiama Davutoglu e protesta con forza: «In un’ora di bombardamenti avete mandato in fumo anni di negoziati di pace». Il riferimento è alla tregua che Ankara aveva siglato, nel 2013, proprio con il Pkk aprendo una stagione di riconciliazione dopo tre decadi di conflitto e 40 mila vittime. Gli ultimi raid turchi contro il Pkk risalivano al 2011. Il portavoce del Pkk, Zagros Hiwa, è esplicito: «La Turchia ha posto fine al cessate il fuoco, ne trarremo le conseguenze». Il Partito democratico del popolo, forza filo-curda in Turchia, chiede a Erdogan di «fermare subito i raid e riprendere il dialogo» ma Davutoglu parla di «operazione efficace destinata a continuare». Arrestati 600 militanti A confermare la strategia di attacco parallelo a Isis e Pkk ci sono gli arresti di militanti: il numero complessivo è arrivato a 600 in 22 province. Ciò significa che Erdogan punta sul nazionalismo anti-curdo, e anti-arabo, per affrontare la crisi politica che rischia di portare la Turchia a nuove elezioni se Davutoglu non riuscirà a formare un governo in tempi stretti.
«Erdogan ha scelto di rinunciare al processo di pace con il Pkk», riassume l’analista Asli Aydintasbas. Resta inoltre da chiarire cosa avverrà nella base di Incirlik: fonti Usa assicurano che Erdogan ha dato luce verde al suo uso per raid anti-Isis ma Ankara non conferma. I militari turchi affermano invece che «le aree siriane ripulite da Isis diventeranno delle zone sicure» lasciando trapelare l’intenzione di creare delle aree-cuscinetto lungo i confini. [m. mo.] I jet turchi colpiscono le basi della guerriglia curda nel Nord dell’Iraq mandando in frantumi la tregua siglata due anni fa. È il premier di Ankara, Ahmed Davutoglu, a far sapere che gli F-16 hanno effettuato almeno 7 raid sulle montagne di Qandil dove il partito dei lavoratori curdi (Pkk) ha basi e comando: «La Turchia è lambita da un cerchio di fuoco e ci difenderemo per non essere travolti dall’anarchia», afferma il premier. In una lettera al Segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, il presidente Recep Tayyp Erdogan invoca l’articolo 51 della Carta dell’Onu sul diritto all’autodifesa.
«La seconda ondata di attacchi contro il Pkk in Iraq» avviene in parallelo con «la terza ondata contro lo Stato Islamico in Siria», spiega Davutoglu, lasciando intendere che è «una strategia unica contro i nostri nemici». Forte l’imbarazzo a Washington, perché il Kurdistan iracheno è un alleato-chiave nelle operazioni contro Isis. Massoud Barzani, presidente della regione autonoma curda, chiama Davutoglu e protesta con forza: «In un’ora di bombardamenti avete mandato in fumo anni di negoziati di pace». Il riferimento è alla tregua che Ankara aveva siglato, nel 2013, proprio con il Pkk aprendo una stagione di riconciliazione dopo tre decadi di conflitto e 40 mila vittime. Gli ultimi raid turchi contro il Pkk risalivano al 2011. Il portavoce del Pkk, Zagros Hiwa, è esplicito: «La Turchia ha posto fine al cessate il fuoco, ne trarremo le conseguenze». Il Partito democratico del popolo, forza filo-curda in Turchia, chiede a Erdogan di «fermare subito i raid e riprendere il dialogo» ma Davutoglu parla di «operazione efficace destinata a continuare».
Arrestati 600 militanti
A confermare la strategia di attacco parallelo a Isis e Pkk ci sono gli arresti di militanti: il numero complessivo è arrivato a 600 in 22 province. Ciò significa che Erdogan punta sul nazionalismo anti-curdo, e anti-arabo, per affrontare la crisi politica che rischia di portare la Turchia a nuove elezioni se Davutoglu non riuscirà a formare un governo in tempi stretti. «Erdogan ha scelto di rinunciare al processo di pace con il Pkk», riassume l’analista Asli Aydintasbas. Resta inoltre da chiarire cosa avverrà nella base di Incirlik: fonti Usa assicurano che Erdogan ha dato luce verde al suo uso per raid anti-Isis ma Ankara non conferma. I militari turchi affermano invece che «le aree siriane ripulite da Isis diventeranno delle zone sicure» lasciando trapelare l’intenzione di creare delle aree-cuscinetto lungo i confini.
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