Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 22/07/2015, a pag. 1-9, con il titolo "Quei ragazzi curdi così vicini a noi", il commento di Francesca Paci.
Francesca Paci
Il selfie scattato dai ragazzi curdi poco prima di venire massacrati da una attentatrice dello Stato islamico
Alper Sapan, ucciso lunedì in Turchia da un kamikaze dell’Isis, era un obiettore di coscienza, uno che quando in Italia c’era ancora la leva obbligatoria sarebbe andato magari a lavorare al Wwf.
Un giorno non lontano Alper aveva scritto su Facebook: «Sono un anarchico di 19 anni, rifiuto la violenza e lo Stato. Ascolto la mia coscienza e dico no al sistema militare. Non morirò né ucciderò nel nome di nessuno». È morto due mattine fa insieme a 31 ragazzi come lui nella città di Suruç, dilaniato dall’uomo-bomba che voleva vendicarsi dell’impegno della meglio gioventù curda a favore dei “connazionali” in fuga dal confine siriano e di quelli assediati dall’Isis a Kobane.
I ragazzi uccisi dalla terrorista
Gli ultimi momenti
I social network moltiplicano lo foto delle vittime dell’attentato al centro culturale Amara, dove 300 militanti dell’Associazione dei giovani socialisti (Sgdf) stavano organizzando la carovana umanitaria. Li guardi e oltre il sorriso illuminato dal piercing dell’universitaria Polen Ünlü, vedi le facce dei ventenni italiani che fanno il servizio civile alla Caritas, gli angeli dei migranti sulle coste di Lampedusa, i paladini delle balene in t-shirt ecologista.
«Piantiamola con l’omofobia, diamo un’occhiata al cielo» twittava il 27 giugno scorso lo studente Cebrail Günebakan. Il suo nome ricorre nei forum dei militanti turco-curdi di Syriza e tra i mille post dedicati alla causa curda (Cebrail era stato picchiato nel 2014 durante una protesta a favore di Kobane) ce n’è uno con Fidel Castro che fa le sue «congratulazioni al compagno Tsipras».
I ragazzi di Suruc in assemblea per decidere chi inviare in missione a Kobane distante un quarto d’ora di macchina sono lontani da noi ma vicinissimi.
«Mentre il Califfato fornisce un’utopia romantica ai giovani musulmani europei che si arruolano in Siria come i loro coetanei di un secolo fa nella guerra civile spagnola, i curdi attraggono gli occidentali perché difendono valori di libertà e tolleranza» nota l’islamista di Princeton Bernard Haykel.
Hatice Ezgi Saadet aveva 20 anni e studiava arte all’università Mimar Sinan di Istanbul. In una delle foto che circola su Internet e che è chiaramente assai recente è seduta sul prato, Superga verdi, tatuaggio (vero o temporaneo) sul braccio, pacchetto di sigarette. Sotto un’altra, un selfie allo specchio, ha lasciato una sorta di inno alla lotta curda e alla resistenza contro l’Isis dall’incipit altisonante più o meno così: «Noi donne abbiamo il polso di questa rivoluzione».
A difesa dei diritti
Molte delle vittime e delle decine di feriti di lunedì erano iscritte a giurisprudenza, la facoltà di Selahattin Demirtas, il curdo-libertario leader dell’Hdp affermatosi alle elezioni di giugno grazie al sostegno della Turchia laica. Era iscritta a legge anche Nazlı Akyürek, che volendo descrivere su Facebook il suo impegno politico con una citazione ne aveva scelta una di Shakespeare, «L’inferno è vuoto e tutti i diavoli sono qui». E lo era la sua amica Nuray Koçan, femminista e convinta che le guerre non si vincano con le armi pesanti ma con il diritto.
«Sehid namirin», i martiri sono immortali, ripetono padri e madri curvi sulle bare imbandierate. Ma sono martiri diversi dai coetanei che dall’altra parte del confine li minacciano (e li uccidono) brandendo il vessillo nero dell’Isis. Okan Pirinç era un arabo alawita che pur avendo il fuoco dei 18 anni disprezzava il settarismo e solidarizzava «con i compagni turchi e curdi». Süleyman Aksu era un insegnante di 28 anni. Nartan Kılıç uno studente e un cavallerizzo provetto introdotto alla politica dalla mamma Ferdane, morta a Suruc insieme a lui. Li guardi e riconosci una passione nota, anche se un bel po’ sbiadita.
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