Riprendiamo da LIBERO di oggi, 17/07/2015, a pag. 13, con il titolo "Primi effetti del patto con l'Iran: razzi da Gaza e bombe sui sauditi", l'analisi di Carlo Panella.
Carlo Panella
I negoziati sul nucleare iraniano
I ribelli sciiti Houti, sostenuti da Teheran, hanno bombardato ieri Aden, mentre Hamas ha lanciato un missile di fabbricazione iraniana su Ashkelon, in Israele. E in serata è arrivata l'autobomba (probabile matrice sciita) nel centro stesso di Riad, che ha provocato almeno un morto. I primi frutti dello «storico accordo» sul nucleare si sono visti subito: tutto continua come prima in Medioriente. Anzi, peggio di prima perché quell'accordo ha anche altri effetti immediati e sconcertanti.
Barack Obama si trova a fronteggiare un fatto clamoroso e inedito in Medioriente: Israele e Arabia Saudita, acerrimi nemici dal 1948, principali alleati degli Usa da 60 anni condannano con le stesse analisi, le stesse previsioni e - va detto - la stessa furia l'accordo che ha firmato con l'Iran. Per rimediare a questa gravissima crisi che terremota - a tutto vantaggio della Russia - gli equilibri mediorientali, Obama non ha trovato di meglio che telefonare al re saudita Salman e al premier israeliano Bibi Netanyhau... offrendo loro armi!
Anche ieri un missile di Hamas ha colpito Israele
Dunque, l'accordo che doveva aprire alla pace la zona più terremotata del globo, apre invece una escalation militare senza precedenti di cui peraltro Obama, furbescamente, vuole trarre profitto. La mossa è stata così incauta e dilettantesca che Barack si è sentito dire un gelido «ci penserò, non è il momento, vedremo...» da parte di Netanyahu. Invece - e perfidamente - il re Salman, che è stato glaciale al telefono col presidente americano, ha fatto assumere la prima posizione ufficiale del suo governo dall'autorevole principe Bandar bin Sultan (figlio di un erede al trono, fratello di re Salman, morto nel 2011) che ha una funzione chiave in tutto il Medioriente: è il capo dei Servizi Segreti sauditi.
L'analisi di Bandar bin Sultan, pubblicata a sua firma sul sito panarabo Elaph, è impietosa nei confronti di Obama: «Analisti accreditati hanno affermato che l'accordo con l'Iran del presidente Obama è un dejà vu rispetto all'accordo sul nucleare tra Bill Clinton e la Corea del Nord (l'accordo del 1994 fu infranto da Pyongyang nel 2003). Quell'accordo si basava su rapporti di intelligence, ma Clinton non avrebbe preso quella decisione se avesse saputo che si basava su un grande fallimento dell'intelligence e su analisi sbagliate. Obama ha invece preso la decisione di firmare l'accordo sul nucleare iraniano nonostante fosse pienamente consapevole che le analisi di politica estera, le informazioni dell'intelligence nazionale e quelle degli alleati, tutte prevedessero non solo lo stesso risultato della Corea del Nord, ma anche peggio, con i miliardi di dollari a cui l'Iran avrà accesso. Questo accordo sarà devastante nel Medioriente, che già vive in un contesto disastroso, nel quale l'Iran è uno degli attori più destabilizzanti. Ideologicamente, Obama è convinto di fare la cosa giusta, perché crede che le conseguenze negative dell'accordo siano solo un danno collaterale accettabile». Dopo aver dato a Obama del cinico e dell'incapace, Bandar chiude l'editoriale in modo addirittura irridente: «Sono convinto che il mio vecchio amico Henry Kissinger avesse ragione quando diceva che "I nemici dell'America devono aver paura dell'America, ma gli amici dell'America dovrebbero averne ancora più paura". I popoli della mia regione ora si affidano alla volontà di Dio e rafforzano le loro forze e le loro analisi insieme a tutti, tranne che con il nostro vecchio e più potente amico».
Un vero e proprio addio agli Usa dell'uomo che gestisce la Sicurezza saudita, la formalizzazione di un divorzio feroce e sdegnato. Un percorso, che peraltro fa saltare da subito, irrimediabilmente, l'auspicio di Obama, come della Mogherini e degli altri leader europei, sui benefici effetti che l'accordo di Vienna avrà sulla crisi in Siria, Iraq e Yemen. Questa autorevolissima posizione saudita significa infatti una sola cosa: su tutti questi quadranti, nei quali l'Arabia gioca un ruolo determinante, Riad farà di tutto per inasprire i conflitti con i tanti emissari di Teheran. Che si tratti della crisi definitiva, ormai imminente, del regime di Bashar al Assad, che della guerra civile nello Yemen, che dello stesso contrasto militare all'Isis in Iraq, d'ora in poi vedremo il «partito saudita» (per meglio dire, il «partito sunnita») sempre più agguerrito e in conflitto - armato - con quello iraniano. Vienna si mostra per quello che è: il prologo di un disastro.
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