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La Stampa Rassegna Stampa
16.07.2015 C'è l'ayatollah supremo Khamenei dietro il cedimento dell'Occidente a Vienna; la Russia, intanto, prepara con Teheran l'offensiva economica
Commenti di Maurizio Molinari, Anna Zafesova

Testata: La Stampa
Data: 16 luglio 2015
Pagina: 7
Autore: Maurizio Molinari - Anna Zafesova
Titolo: «La regia di Khamenei: lascia la scena ai riformisti e resta arbitro dell'intesa - La scommessa di Putin: più affari anche se il prezzo del greggio calerà»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 16/07/2015, a pag. 7, con il titolo "La regia di Khamenei: lascia la scena ai riformisti e resta arbitro dell'intesa", il commento di Maurizio Molinari; a pag. 6, con il titolo "La scommessa di Putin: più affari anche se il prezzo del greggio calerà", il commento di Anna Zafesova.

Ecco gli articoli:

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Maurizio Molinari: "La regia di Khamenei: lascia la scena ai riformisti e resta arbitro dell'intesa"

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Maurizio Molinari

Il negoziato sul nucleare si è potuto concludere grazie al suo avallo ma ha continuato a scagliarsi contro l’«arroganza americana» fino a poche ore prima della firma e ora il rispetto delle intese di Vienna dipende da lui: Ali Khamenei, Leader Supremo dell’Iran, è il vero arbitro del «patto storico». E lo conferma con una lettera a Rohani.

Successore dell’ayatollah Khomeini, difensore dell’assalto all’ambasciata Usa nel 1979 e appassionato lettore di romanzi, il 75enne Khamenei è il titolare del programma nucleare: a lui rispondono gli scienziati e i tecnici che lo guidano come i Guardiani della rivoluzione che lo proteggono. Per questo il presidente americano Obama dal 2009 gli ha inviato almeno quattro lettere personali nel tentativo di instaurare un dialogo diretto, riuscendo a creare attraverso l’Oman il canale segreto di contatti fra il Segretario di Stato Kerry e due inviati di Khamenei - Ali Akbar Velayati e Ali Akbar Salehi - che nel 2013 portò all’accordo ad interim sul nucleare che ha aperto la strada a Vienna.

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Ali Khamenei


Il tweet di plauso
All’annuncio dell’accordo, Khamenei ha reagito solo con un tweet di plauso ai negoziatori esprimendo «apprezzamento» per «onestà e lavoro duro». Come lo stesso Kerry ha ammesso a Vienna «non ho mai detto di essere sicuro del sostegno di Khamenei per l’accordo ma ciò che conta ora è il suo rispetto»: ovvero saranno i fatti a dire se ha davvero ordinato a scienziati e militari di mettere in essere il dispositivo concordato. Adoperando come metro di previsione le «linee rosse» che aveva fissato, si può essere indotti a pensare che Khamenei abbia ottenuto soddisfazione: la «totale abolizione delle sanzioni» e la «continuazione di ricerca e sviluppo nucleare» sono state ottenute come anche la «non ispezione dei siti militari» perché l’Agenzia atomica dell’Onu potrà entrarvi solo su autorizzazione di Teheran.

L’unico compromesso accettato dal negoziatore Zarif è nella restrizione della produzione di materiale nucleare per 10 anni perché Khamenei si era detto contrario a «limitazioni del programma per 10-12 anni». Il tweet di plauso sembra accettare tale minima concessione, anche perché fra i risultati più importanti che Khamenei ottiene vi è la fine delle sanzioni ad personam contro leader militari a lui molto vicini - come Qassem Suleiman, capo della Forza Al Qods dei Guardiani della rivoluzione - che finora campeggiavano nelle liste nere dell’anti-terrorismo.
Eppure il dubbio sul comportamento dell’«arbitro» rimane, a Washington come a Bruxelles, in ragione degli aspri attacchi all’«arroganza americana», accompagnati da manifestazioni a Teheran che hanno visto bruciare bandiere Usa e israeliane. L’interesse prioritario di Khamenei resta preservare e rafforzare la Repubblica Islamica, lasciandola magari in eredità al figlio Mojtaba, mentre le manifestazioni di gioia per Vienna nelle strade delle città iraniane hanno espresso una voglia d’Occidente e uno slancio verso l’America che vanno in direzione opposta. Le magliette «I love Usa» indossate dai ragazzi di Teheran minacciano Khamenei anche se il testo di Vienna rispetta quasi alla lettera le sue «linee rosse». Ecco perché il sostegno del Leader Supremo all’applicazione dell’accordo non è scontato. A confermarlo c’è quanto lui stesso ha scritto a Rohani dicendo che «l’accordo va analizzato, servono misure affinché l’Occidente non violi».

Anna Zafesova: "La scommessa di Putin: più affari anche se il prezzo del greggio calerà"

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Anna Zafesova

La confusione sotto il cielo, dopo il ritorno dell’Iran sulla scena economica e politica internazionale, promette di essere grande, e Vladimir Putin ha tutto il diritto di ispirarsi alla frase di Mao, dicendo che la situazione è eccellente. È vero che gli analisti profetizzano un’ulteriore caduta del prezzo del petrolio, con l’arrivo del greggio iraniano, stimato da 500 mila a un milione di barili. I più pessimisti temono che si possa andare sotto i 45 dollari, fatali per il bilancio del Cremlino. Ma intanto si fanno altri conti, in attesa delle «eccezioni» all’embargo sulla fornitura di armi agli ayatollah, che Mosca aveva cercato di sbloccare per vendere i suoi complessi anti-aerei S-300. Innanzitutto il petrolio: l’Iran deve riattivare i suoi pozzi obsoleti. Tubi e trivelle, e prima delle sanzioni la fabbrica di tubi del Volga aveva più del 40% del mercato iraniano. Ci vorranno binari per trasportare il petrolio, e il capo delle ferrovie russe Vladimir Yakunin, uno della più stretta cerchia putiniana, ha progetti per l’elettrificazione della rete iraniana. Poi c’è il gas, e anche se la posizione dell’Iran come potenziale secondo produttore può andare contro gli interessi del primo produttore, cioè la Russia, si tratta di una vicenda del futuro. Prima serviranno i gasdotti, e la Corporazione unificata dei motori russa conta di occupare un quarto del mercato iraniano con pompe e turbine. Per non parlare del nucleare: dopo aver patito per anni per l’unico contratto della centrale di Busher, la Russia ora si prepara a costruire in Iran 8 reattori.

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Vladimir Putin


La corsa agli appalti
Milioni e miliardi, che dovranno ancora venire strappati in una corsa agli appalti. Ma tra sanzionati ci si capisce, e Mosca conta su condizioni di favore, dopo aver stretto con l’Iran un’alleanza inedita (la rivoluzione di Khomeini era considerata un pericolo dai sovietici, che tradizionalmente preferivano i regimi laici sunniti). Un sodalizio nato in buona parte dalla logica che un nemico del nemico è un quasi amico, e portato avanti sotto la spinta di diverse lobby industriali russe, ma che ora potrebbe rivelarsi il perno di una nuova politica. Anche perché, con un pragmatismo eguagliato solo dalla diplomazia cinese, Putin ha contemporaneamente scommesso sulla paura che l’Iran fa ai sunniti, soprattutto ai sauditi, e in un’altra alleanza atipica, pochi giorni fa, ha promesso sei centrali nucleari anche a Riad, dopo averle vendute al Cairo.

Gli scacchieri sono tanti, e i russi si preparano a giocare su tutti, anche perché la nuova guerra fredda e la crisi economica rendono vitali nuovi mercati, inclusi quelli degli amici dei nemici. Senza dimenticarsi la politica, dove la Russia ritiene di poter solo guadagnare: nell’immediato con il «dialogo serio» proposto da Obama sulla Siria, e comunque facendosi notare come una protagonista della diplomazia internazionale. Se l’Iran si avvierà verso una pace con gli Usa, Mosca ne rivendicherà il merito, se i nemici rimarranno tali cercherà di arbitrare, ponendosi come la più antioccidentale delle potenze europee e l’unica europea tra gli avversari dell’Occidente. Che il deal iraniano sia propedeutico a superare il conflitto in Ucraina, è tutto da vedere, ma intanto Putin mostra che - quando non c’è in gioco il suo amor proprio come nella nuova guerra fredda con Usa e Ue - è capace di apprezzare il compromesso.

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