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Lo dice anche il principe saudita Bin Salman: Khamenei è il nuovo Hitler


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La Stampa Rassegna Stampa
15.07.2015 Iran nucleare: l'accordo stravolge la regione, adesso anche i Paesi sunniti vogliono la Bomba
Analisi di Maurizio Molinari

Testata: La Stampa
Data: 15 luglio 2015
Pagina: 5
Autore: Maurizio Molinari
Titolo: «Così l'accordo stravolge la regione: parte la controffensiva dei sauditi»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 15/07/2015, a pag. 5, con il titolo "Così l'accordo stravolge la regione: parte la controffensiva dei sauditi", l'analisi di Maurizio Molinari.

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Maurizio Molinari

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Gli alleati dell’Iran in festa, l’Arabia Saudita fa piani atomici e la Turchia teme la resa dei conti fra i giganti del Golfo: l’impatto dell’accordo di Vienna stravolge gli equilibri di forza in Medio Oriente esaltando la rivalità strategica fra gli ayatollah sciiti e il fronte sunnita-israeliano.

Il presidente siriano Bashar Assad è il primo a gioire prevedendo un «maggiore impegno di Teheran per le giuste cause» ovvero più risorse per il suo regime e per gli altri alleati dell’Iran nella regione: gli Hezbollah libanesi, l’Iraq di Haider Al-Abadi, le milizie sciite irachene e siriane, i ribelli houti in Yemen, l’opposizione in Bahrein. È un linguaggio analogo a Hassan Nasrallah, leader di Hezbollah, che prevede «più sostegno alla nostra lotta per liberare la Palestina» ovvero più consegne di missili anti-Israele.

Gigante regionale
Le emozioni si rincorrono lungo i confini della «Mezzaluna sciita» - come re Abdallah di Giordania definisce l’arco geopolitico dall’Iran al Libano sotto l’influenza degli ayatollah - perché lo scongelamento delle risorse economiche sommato alla legittimazione del programma nucleare proiettano Teheran nel ruolo di gigante regionale, con ricadute a pioggia in ogni scenario di crisi dove persegue obiettivi politici e militari. Poiché in Medio Oriente le percezioni contano più dei fatti la risposta del fronte sunnita - rivale degli sciiti dalla contesa sulla successione al Profeta Maometto - è riassunta da quanto avviene in Yemen nelle ore immediatamente seguenti alla sigla di Vienna: le forze fedeli all’ex presidente Mansour Hadi, sostenute dai sauditi, lanciano il più massiccio bombardamento di sempre contro gli houthi ad Aden, facendo sapere che «faranno di tutto» per controllare la città che domina lo stretto di Bab el-Mandeb, da cui si accede a Suez. La violenza dell’attacco dei miliziani sunniti è un assaggio della reazione di Riad a un accordo che ha tentato di evitare in ogni modo, fino alla scelta di re Salman di disertare l’incontro a Camp David fra Obama e i leader del Golfo.

In Bahrein l’atmosfera è simile. «Un programma nucleare che consentirà all’Iran di avere l’atomica - dice il ministro degli Esteri Sheik Khaled al-Khalifa alla tv Bbc - porterà senza dubbio a una corsa nucleare, non solo l’Arabia Saudita ma altre nazioni dell’area vorranno avere tale capacità». Il Bahrein è la nazione sunnita che più si sente esposta ai rischi del rafforzamento dell’Iran per via dell’opposizione interna, di marca sciita, che contesta la monarchia. Ecco perché il capo della polizia, Tariq al-Hassan, sottolinea le «prove schiaccianti sul fatto che i Guardiani della rivoluzione iraniana sostengono i nostri terroristi». Mansour al-Marzuki, analista saudita, prevede dagli schermi di Al Jazeera che «l’influenza iraniana crescerà e di conseguenza i gruppi jihadisti anti-sauditi, come Isis, aumenteranno gli attacchi contro Riad, facendo trovare la monarchia fra due fuochi». «Ogni accordo fra Usa e Iran nuoce agli Stati del Golfo», riassume Nasser Bin Ghait, analista negli Emirati, spiegando così la recente decisione di sceicchi e monarchi di dare vita a un «coordinamento militare» che si ispira alla Nato.
Gli Stati sunniti si blindano e pensano al nucleare perché prevedono uno scontro duro, diretto, con Teheran e i suoi alleati. «L’Iran è un aggressore con piani ambiziosi», dice Jamal Khasoggi, ex consigliere di più reali sauditi, prevedendo «un aumento delle interferenze di Teheran nel mondo arabo» per «aumentare la frammentazione nei nostri Stati».

L’asse con Israele
È questo scenario che porta alla convergenza di interessi con Israele evidenziata dalla maratona di incontri - pubblici e non - del direttore generale del ministero degli Esteri, Done Gold, collaboratore del premier Netanyahu, con esponenti di Paesi arabi senza rapporti ufficiali con Gerusalemme. Il braccio di ferro che inizia fra l’Iran nucleare e l’alleanza de facto israelo-sunnita - anche attraverso Al Sisi, che accusa i Fratelli Musulmani di essere legati ad Hezbollah - restringe gli spazi degli Stati sunniti che negli ultimi anni hanno cercato un ruolo autonomo da Riad: Turchia e Qatar. Re Salman ha già iniziato il tentativo di recuperarli, per rafforzare il fronte anti-Iran, ma entrambi esitano perché preferiscono - con l’Oman - un ruolo di mediazione fra i rivali. È questo il motivo per cui Recep Tayyp Erdogan si augura che «l’accordo di Vienna abbia successo nel garantire la stabilità, portando l’Iran a ripensare le sue politiche in Siria e Yemen». Se Teheran alzerà il profilo, Erdogan sarà obbligato a schierarsi e poiché la crisi più incandescente è la Siria ciò lo spingerebbe ad accettare l’abbraccio saudita, pur di cacciare Assad.

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