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Pena di morte in Israele per il reato di terrorismo? Lettera da Gerusalemme, di Angelo Pezzana
Israele non ha mai avuto nella propria legislazione la pena di morte. L’unica eccezione è stata quella dell’impiccagione di Adolf Eichmann, il cui processo contribuì in maniera determinante a far conoscere all’opinione pubblica mondiale il genocidio ebraico nella Shoah. Se ne torna a parlare in questi giorni, dopo che un deputato di Yisrael Beitenu, Sharon Gal, l’ha proposta per chiunque venga condannato per atti di terrorismo. Toccherà al Comitato legislativo dei Ministri decidere se ammettere la richiesta.
Ma anche se l’accoglierà, le cose andranno per le lunghe. Yehuda Weinstein, della Corte Suprema, è contrario che la Knesset discuta l’argomento prima che vengano sentite tutte le opinioni sulla sua legittimità. L’obiezione avanzata é duplice: la pena di morte non ha mai contribuito ad abbassare il numero dei crimini, soprattutto quelli legati a forme di terrorismo – la causa che motiva la richiesta - per il fatto molto semplice che chi li commette lo fa per motivi ideologici, pronto a sacrificare anche la propria vita, quindi non sarà certo la prospettiva di una condanna a morte a fermarlo. Oltre al fatto che nella maggioranza dei paesi democratici la pena di morte è stata abolita, resiste ancora negli Stati Uniti, anche se non in tutti gli stati. È quindi probabile che - nel migliore dei casi - rimarrà un tema di grande interesse, non solo legislativo, che sta già creando discussioni all’interno della società israeliana. A livello politico le opinioni sono trasversali, ma la discussione è appena iniziata. Ciò che incuriosisce l’osservatore straniero che segue i media locali, è piuttosto la cautela con la quale vengono ignorati in paesi che la applicano, in gran parte arabo-musulmani.
Dirlo apertamente può aprire dibattiti che coinvolgerebbero giudizi severi sulla qualità di quelle società che apertamente elogiano la morte, anche e soprattutto quella scelta del martirio per una ‘nobile’ causa. La parola ‘terrorismo’ non fa che incitare invece di prevenire, la morte viene invocata, non temuta. L’opposizione del giudice Weinstein ci pare quindi assennata. Peggio, toglierebbe Israele dal novero dei paesi che l’hanno abolita, allineandolo – dopo non averla mai applicata – a quei paesi che non dovremmo avere alcun timore di classificare come barbari. Una proposta dal sapore elettorale, che arriva però in ritardo, le elezioni ci sono già state in marzo. Ieri, a gettare acqua sul fuoco, è intervenuto Bibi Netanyahu, che in una riunione con i ministri del Likud, quasi tutti in favore della pena di morte, ha dichiarato che l’argomento è troppo serio e delicato per essere deciso da un comitato politico, che occorre ascoltare pareri professionali. In altre parole, ha condiviso l’opinione del giudice Weinstein. Fine della trasmissione.
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