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La Repubblica Rassegna Stampa
13.07.2015 Iraniani in esilio: chi conosce il regime sanguinario di Teheran è contro i negoziati
Commento di Reza Aslan

Testata: La Repubblica
Data: 13 luglio 2015
Pagina: 16
Autore: Reza Aslan
Titolo: «Il sogno segreto di noi esuli: 'Un accordo per tornare'»

Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 13/07/2015, a pag. 16, con il titolo "Il sogno segreto di noi esuli: 'Un accordo per tornare'", il commento di Reza Aslan, profugo iraniano che vive e insegna in California.

Non condividiamo per nulla l'auspicio finale di Reza Aslan, favorevole alla normalizzazione delle relazioni tra Stati Uniti e Iran. Tuttavia, il suo articolo è importante. Aslan sottolinea come coloro che, nati in Iran, hanno dovuto fuggire dal Paese dopo l'instaurarsi della dittatura teocratica degli ayatollah, siano contrari a piegarsi alla volontà del clero di Teheran, e anzi siano favorevoli a un intervento militare. Lo stesso vale per i numerosi ebrei persiani rifugiatisi in tutto il mondo e numerosi in California, a maggior ragione perseguitati dal sanguinario regime sciita. Chi conosce la natura del regime iraniano, lo teme; gli sprovveduti, invece, cercano un vano appeasement.

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Reza Aslan

La mia famiglia lasciò Teheran nel 1979, dopo la rivoluzione che portò alla creazione della Repubblica Islamica Iraniana. Arrivammo negli Stati Uniti con una sola valigia a testa, pensando che quel trasferimento sarebbe stato temporaneo: che una volta sistemate le cose saremmo sicuramente tornati a vivere in Iran. Da allora sono trascorsi 36 anni. Oggi io faccio parte del mezzo milione circa di iraniani che vivono nella California meridionale: è la comunità iraniana più grande del mondo fuori dall’Iran. Ci sono talmente tanti iraniani a Los Angeles che abbiamo soprannominato questa città “Teherangeles”: nella sola Beverly Hills, è di origini iraniane quasi un quarto della popolazione, ex sindaco incluso.

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La teocrazia iraniana spiegata: "Voi votate, Dio decide"

La maggior parte di noi sono arrivati qui da esiliati o rifugiati, in fuga da persecuzioni religiose o politiche. Abbiamo trascorso gli ultimi 35 anni con un piede in Iran e uno negli Stati Uniti, vivendo in modo quasi schizofrenico, come figli di genitori divorziati che si odiano a vicenda. Come potrete immaginare, la nostra attenzione nei confronti dei negoziati sul nucleare che stanno per concludersi a Vienna è massima. E le opinioni tendono a divergere lungo linee di faglia generazionali. Prendiamo mia zia, un’artista che si è salvata per un soffio quando è fuggita dall’Iran: appartiene alla generazione di iraniani- americani più anziani, che tendono a essere conservatori in politica, per nulla praticanti, e a isolarsi un po’.

Mia zia vive negli Stati Uniti da quasi 30 anni, eppure a stento parla qualche parola di inglese. Perché mai dovrebbe? Mangia soltanto in ristoranti persiani, fa acquisti soltanto in negozi persiani, guarda soltanto programmi televisivi in persiano su una delle 30 emittenti persiane che trasmettono via satellite. Per quanto la riguarda, potrebbe benissimo essere a Teheran. Invece non lo è, e questo la riempie di una rabbia furibonda che riversa contro i mullah che le hanno strappato il Paese tanto amato: ultimamente la sua rabbia si è allargata e ora ricade in parte sul presidente Obama che considera sciocco perché vorrebbe arrivare a un accordo con l’Iran. Per lei non è possibile fidarsi della Repubblica Islamica in nessuna circostanza. Questo suo modo di pensare è condiviso dalla maggior parte degli iraniani-americani più anziani che vivono a Los Angeles, molti dei quali sono convinti che l’unico modo per garantire che l’Iran non entri in possesso di armi nucleari sia rovesciare il suo regime, anche se ciò dovesse significare un attacco militare.

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Omosessuali in Iran

Questa è anche l’opinione della maggior parte degli ebrei iraniani di Teherangeles, circa 50mila, che diffidano dei mullah tanto quanto mia zia. Mio padre, ateo convinto, che non ha mai prestato fede a qualcosa che fosse proferito da un uomo con un turbante in testa, è andato all’altro mondo aspettando che gli Stati Uniti destituissero il governo iraniano così da poter tornare a casa sua. Quando gli chiedevo se avrebbe mai voluto veder bombardare Teheran, mi diceva che gli iraniani erano prigionieri del loro stesso Paese. E che in qualche caso, per far breccia in una prigione, servono le bombe.

Questa opinione non è affatto condivisa dalla generazione più giovane di iraniani- americani, nati qui o arrivati qui da bambini, come me. Molti di noi si sentono così lontani dal caos politico e religioso della rivoluzione iraniana da aver sostituito alla rabbia e all’amarezza dei nostri genitori una sensazione di nostalgia per l’Iran. Mia sorella minore, per esempio, è l’unica della mia famiglia a essere nata negli Stati Uniti, eppure parla persiano meglio di tutti noi. Indossa un hijab (il velo che copre i capelli lasciando scoperto il volto ndr.). Pochi anni fa ha scandalizzato la famiglia chiedendo che le fosse organizzato un matrimonio in Iran. Secondo lei i negoziati non riguardano solo il programma nucleare iraniano, ma sono un primo passo verso la normalizzazione dei rapporti tra Stati Uniti e Iran.

Se mio padre fosse ancora vivo direbbe che mia sorella è un’ingenua, che non ha idea di quanto sia esecrabile il regime in Iran, di quante sofferenze ha provocato. Ma proprio per questi motivi l’opinione di mia sorella, al pari di quella di altri iraniani- americani più giovani, è importante: dopo tutto una questione così delicata richiede calma e obiettività. Non dobbiamo ignorare le terribili violazioni dei diritti umani in Iran, ma se vogliamo provare a cambiare qualcosa dovremmo dare il nostro pieno sostegno ai negoziati sul nucleare. Io credo che il successo a Vienna conferirà maggior potere ai moderati in Iran, rafforzerà la società civile e incentiverà lo sviluppo economico.

Il successo dei negoziati darà vita a relazioni commerciali tra Iran e Stati Uniti che saranno per i leader iraniani sia un incentivo a comportarsi in modo responsabile che uno strumento per castigarli se non lo faranno. Il punto è che 35 anni di rabbia e amarezza, sanzioni e isolamento, non hanno avuto alcun effetto positivo sulla natura del regime iraniano, perché isolare un Paese non serve a modificarne il comportamento. Coinvolgerlo, invece, serve. Alleggerendo le sanzioni e dando agli iraniani accesso al resto del mondo (in particolare a quel 60% della popolazione composta da giovani di meno di 30 anni), un’intesa sul nucleare potrebbe realizzare i sogni di tutti gli iraniani della California meridionale, quelli della generazione di mio padre e della mia: dare vita a un’Iran che sia un attore responsabile sulla scena globale, rispetti i diritti del suo popolo e riallacci le relazioni diplomatiche col resto del mondo. Come diciamo noi iraniani, “ Inshallah ”. A Dio piacendo.

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