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La Stampa Rassegna Stampa
12.07.2015 Egitto I: l'obiettivo dello Stato islamico è tenere l'Italia fuori dalla partita, non pieghiamoci al ricatto
Cronaca e analisi di Maurizio Molinari

Testata: La Stampa
Data: 12 luglio 2015
Pagina: 1
Autore: Maurizio Molinari
Titolo: «Egitto, attacco all'Italia, distrutto il consolato. L'Isis: 'Siamo stati noi' - Il vero obiettivo è allontanarci dagli alleati nel Mediterraneo»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 12/07/2015, a pag. 2, con il titolo "Egitto, attacco all'Italia, distrutto il consolato. L'Isis: 'Siamo stati noi' ", la cronaca di Maurizio Molinari; a pag. 1-3, l'analisi "Il vero obiettivo è allontanarci dagli alleati nel Mediterraneo".

Ecco gli articoli:

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Maurizio Molinari

"Egitto, attacco all'Italia, distrutto il consolato. L'Isis: 'Siamo stati noi' "

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Due facciate demolite, detriti per centinaia di metri, i liquidi delle fognature che riempiono la voragine creata nel terreno. È quanto resta dell’entrata del Consolato d’Italia su Galaa Street investito alle 6,25 del mattino dall’onda d’urto di un’autobomba imbottita con almeno 450 kg di esplosivo. Si tratta di un’edificio simbolo della presenza italiana al Cairo, prende un intero isolato al centro della città e somma alcune delle istituzioni più conosciute.

Anche un edificio militare
È qui che gli egiziani vengono a chiedere e ritirare i visti per inseguire il sogno del benessere in Europa, è qui che si trovano la scuola «Leonardo da Vinci», il club frequentato dai nostri dipendenti ed anche l’ufficio militare. Bandiere tricolori, insegne della Repubblica e targhe ne fanno una sorta di isola europea.

I terroristi hanno scelto l’obiettivo con cura, per dimostrare l’incapacità dell’esercito di Abdel Fattah Al Sisi di difendere il cuore della capitale ed anche per offendere il Paese europeo considerato dagli egiziani più vicino al presidente. Al momento dell’esplosione il Consolato è vuoto, a morire per l’impatto sono un sorvegliante ed un venditore ambulante. Nove i feriti, inclusi tre bambini, che si trovavano in quel momento sulla Galaa Street, sotto la sopraelevata «6 ottobre». Fra i feriti c’è Hamza, neanche quarant’anni, e descrive così quanto ha visto: «È stato un boato enorme, sembrava venisse giù il cielo». Quando i soccorritori arrivano trovano le macerie della facciate macchiate dal sangue delle vittime. Si raduna una folla che cresce con il passare dei minuti.

È il passaparola del Cairo sul nuovo «attacco terroristico», poco lontano da dove era esploso un ordigno vicino all’ex consolato saudita e con modalità simili all’eliminazione dell’ex procuratore generale. Anche allora, due settimane fa, a saltare in aria era stata un’auto modello «Speranza». Quando il ministro degli Interni, Magdy Abd El Ghaffer, arriva la gente gli grida, con rabbia: «Sono stati i Fratelli Musulmani, eseguite le condanne a morte uccideteli». Gli agenti della sicurezza circondano l’edificio, temono il crollo dell’intera struttura, mentre dentro alcuni funzionari italiani effettuano la prima valutazione dei danni subiti: molte le strutture polverizzate, archivi e materiale polverizzato.

Sulla strada è una donna di 30 anni, parente dei bambini feriti, che grida la sua rabbia davanti alle telecamere: «Siamo gente semplice, non c’entriamo nulla con la politica, perché i terroristi ce l’hanno con noi?». La sicurezza egiziana esita ad attribuire la paternità dell’attacco ma la valutazione degli investigatori si concentra sulle similitudini con l’attentato al procuratore. Nel primo pomeriggio però arriva la rivendicazione dello Stato Islamico (Isis) del Califfo Abu Bakr al-Baghdadi: «Per grazia di Allah, i nostri soldati sono riusciti a fare esplodere un’auto con 450 kg contro il Consolato d’Italia al centro del Cairo - affermano via Twitter - suggeriamo a tutti i musulmani di stare lontano da questi obiettivi militari perchè sono obiettivi dei jihadisti».

Il fronte del Sinai
Isis combatte nel Sinai contro le truppe regolari ed ha tutto l’interesse a dimostrare di poter colpire la capitale. Al Sisi, dopo aver parlano con il premier Matteo Renzi, non fa troppi distinguo: «In questi momenti difficili ciò che conta è il sostegno dell’intero Egitto alla lotta contro i terroristi». Come dire, Fratelli Musulmani, Isis e jihadisti libici costituiscono un’unica sfida da cui difendersi con ogni mezzo. A cominciare dalla nuova legge anti-terrorismo che il Parlamento è chiamato ad approvare in tempi stretti.

"Il vero obiettivo è allontanarci dagli alleati nel Mediterraneo"

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L’attacco al Consolato del Cairo è un avvertimento terroristico che si origina nella crisi libica o nella galassia jihadista e punta ad allontanare l’Italia dal Maghreb. Colpire alle 6,30 del mattino un edificio vuoto con un’onda d’urto di 450 kg di esplosivo davanti all’entrata del pubblico significa ammonire sulla capacità di compiere una strage di connazionali, senza tuttavia realizzarla.

Il messaggio
È un messaggio di terrore che lo Stato Islamico (Isis) rivendica a fini di propaganda, ma i suoi sanguinosi miliziani commettono stragi efferate anziché limitarsi a minacciarle, e dunque la pista delle responsabilità porta in altra direzione ovvero sui due fronti del Maghreb dove l’Italia è presente e protagonista. Il primo, e più incandescente, è la Libia teatro della mediazione dell’inviato Onu Bernardino Leon che appena 48 ore prima aveva ammonito sui «rischi di cadere nel precipizio» se le opposte fazioni in guerra non coglieranno le opportunità di riconciliazione legate ai timidi progressi registrati nelle ultime settimana. Leon in particolare aveva puntato l’indice sui «gruppi estremisti di Bengasi» lasciando intendere la presenza di forti resistenze al possibile avvicinamento di posizioni fra il governo legittimo di Tobruk e le milizie islamiche di Tripoli.

Si tratta di un negoziato che passa attraverso gli incontri di Rabat e vede l’Italia in una posizione di mediatore de facto che può essere considerato di ostacolo da chi punta a continuare all’infinito la guerra civile libica. Con le sedi diplomatiche italiane chiuse in Libia e il Cairo teatro di una parte importante della maratona diplomatica per tentare di arrivare ad un’intesa Tripoli-Tobruk, non si può escludere che una o più milizie libiche abbiano deciso di demolire la facciata del nostro Consolato per suggerire a Roma di stare alla larga, fare un passo indietro, cessare intromissioni ed interferenze nella guerra tribale che ha in palio le ingenti risorse lasciare in eredità dal colonnello Muammar Gheddafi.

Questa ipotesi, discussa in ambienti diplomatici al Cairo, si sovrappone con un altro scenario incentrato sull’Egitto, ritenuto credibile dall’intelligence. A suggerire questa seconda pista è l’auto modello «Speranza» saltata in aria, ovvero simile a quella che due settimane fa uccise il procuratore generale Hesham Barakat. Si tratta di una traccia che porta ai gruppi estremisti egiziani, in gran parte di matrice jihadista, il cui intento è di trasformare il Cairo in un campo di battaglia per indebolire e in ultima istanza rovesciare il presidente Abdel Fattah Al Sisi. Colpire un obiettivo diplomatico al centro della capitale significa infatti umiliare il Raiss, irridere alla sua capacità di controllare l’Egitto a pochi giorni da quando si è recato, in divisa militare, ad ispezionare le truppe impegnate nel Sinai contro i miliziani di Isis.

In questo caso, l’intento di fiaccare l’autorità di Al Sisi può passare attraverso un avvertimento all’Italia perché il nostro Paese negli ultimi mesi è stato protagonista di un rafforzamento di rapporti bilaterali che non ha paragoni in seno all’Unione Europea. Che si tratti di gruppi jihadisti, salafiti, più o meno vicini ai Fratelli Musulmani, il legame privilegiato dell’Italia con Al Sisi è un ostacolo da abbattere perché apre all’Egitto un orizzonte di investimenti, aiuti e sviluppo destinato a rafforzare l’attuale governo. Dal summit di Sharm el-Sheikh sulla cooperazione regionale, dove il premier Matteo Renzi conquistò la platea parlando di prosperità e lotta al terrorismo, agli investimenti italiani nell’energia e nelle infrastrutture, fino alla visita romana di Al Sisi e l’imminente arrivo a Torino del premier Ibrahim Mahlab, è il nostro Paese a essersi imposto come l’interlocutore europeo di punta con il Raiss.

Costringerci al ritiro
L’autobomba contro il Consolato rivela dunque, in ultima istanza, il tentativo di allontanare l’Italia dal Maghreb: che si tratti dell’impegno per porre fine alla guerra civile in Libia o della cooperazione per far ripartire lo sviluppo dell’Egitto ciò che non piace ai terroristi è un’Italia capace di essere protagonista nel Mediterraneo. L’intenzione dei mandanti è di spingere i nostri diplomatici e imprenditori a fare le valige, abbandonare la regione e fuggire a gambe levate verso la sponda Nord del Mediterraneo, rintanandosi impauriti nello Stivale, al fine di non far nascere quel «ponte sul Mare Nostrum» di cui Renzi e Al Sisi hanno parlato in più occasioni immaginando un’agenda comune su crescita economia, controllo dell’immigrazione e lotta al terrorismo. Se Al Sisi, nel suo discorso di insediamento, parlò di un Egitto «mediterraneo» aprendosi all’Europa, i terroristi perseguono l’opposto. Ecco perché la risposta che verrà dall’Italia all’autobomba del Cairo darà una misura della capacità di essere protagonisti in questo angolo di mondo.

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