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La Stampa Rassegna Stampa
09.07.2015 La fine dei cristiani in Siria
Maurizio Molinari intervista Padre Pierbattista Pizzaballa

Testata: La Stampa
Data: 09 luglio 2015
Pagina: 13
Autore: Maurizio Molinari
Titolo: «'Io con il saio attraverso la Siria, fra i villaggi cristiani cancellati'»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 09/07/2015,a pag. 13, con il titolo "Io con il saio attraverso la Siria, fra i villaggi cristiani cancellati", l'intervista di Maurizio Molinari a Padre Pierbattista Pizzaballa.

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Maurizio Molinari, Padre Pierbattista Pizzaballa

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Brucia una chiesa in Siria: il terrorismo islamico colpisce alcune tra le più antiche comunità cristiane

«Davanti al Male ci si sente impotenti». Pierbattista Pizzaballa, Custode di Terra Santa, racconta la sua visita fra i cristiani in Siria come un viaggio nell’Apocalisse. La sua voce si interrompe quando parla delle croci smontate nella valle dell’Oronte in mano ad Al Nusra o del possibile sequestro del frate Dhiya Aziz.

Dove è statoin Siria e cosa ha trovato?
«Sono entrato a Nord con la prima tappa a Latakia, sulla costa, dove il maggior problema sono i black out elettrici. Ho raggiunto Homs, completamente devastata, e poi Aleppo, dove si vive sotto le bombe. Ultima tappa Damasco, che è una via di mezzo fra Latakia e Aleppo: al centro il problema è la corrente mentre nelle periferie c’è distruzione. La Siria che conoscevo non c’è più. Davanti a tanto male, orrore, odio, morte ho provato un senso di impotenza».

È andato ovunque con indosso il saio?
«Non l’ho mai tolto».

Cosa le hanno detto i cristiani di Aleppo?
«Prima della guerra erano 300 mila, ne sono rimasti 40 mila. Sono andato nelle case, li ho trovati con le valigie pronte per partire. Molti vogliono andarsene, in città i bombardamenti sono incessanti. Hanno imparato a riconoscere le esplosioni, sanno se sono del governo o dei ribelli. Quando ci sono stragi, cristiani e musulmani contano solo i propri morti, non quelli altrui. Anche pregando in chiesa si sentono le bombe. I più sono assuefatti ma c’è chi tradisce tic nervosi. Manca cibo, sono in povertà, le madri nascondono gli acciacchi ai figli. C’è incertezza su ciò che avverrà. Ma c’è anche chi aiuta il prossimo, spostando gli ospiti di una casa per anziani per farli stare in luoghi sicuri».

Cosa avverrà se la città cadrà nella mani jihadiste?
«Ne discutono, in continuazione. Tutti sanno cosa avviene in Iraq, dove i cristiani a Nord di Baghdad non ci sono più. L’opinione prevalente è aspettare e vedere cosa accadrà prima di decidere. Ma molti temono il peggio e vogliono andare via».

Chi fugge dove va?
«A Latakia, dove ci sono migliaia di cristiani sfollati. Chi lascia Damasco fa lo stesso. Ma a Latakia mancano lavoro e case, devono trovare le scuole per i figli, rimediare cibo per sfamare le famiglie, vivono nella precarietà, esposti a seri rischi».

Cosa ha detto ai religiosi?
«Li ho ascoltati. Sanno bene cosa fare. Il loro compito è essere pastori, restare con il gregge. Se si tratta di andare via, bisogna essere gli ultimi a farlo ma senza rischiare la vita».

Quanti frati ci sono in Siria?
«Quindici, incluso Dhiya Aziz del villaggio di Yacoubieh nella valle dell’Oronte. Non sappiamo più dove sia, da sabato scorso, quando l’Emiro locale lo ha convocato. È un’area dove c’erano tre villaggi cristiani, uno è stato completamente distrutto, ne restano due».

Cosa è avvenuto a padre Aziz?
«Ci parlavo al telefono quando andava con la sim turca vicino al confine. Mi disse di aver parlato con l’Emiro, che gli aveva detto “togli tutti i simboli cristiani perché è meglio per te”. Aziz lo aveva fatto, è persona prudente. Abbiamo chiesto aiuto a più Paesi, inclusa la Turchia, per riuscire a capire dove si trovi».

Chi è questo «Emiro» e come si comporta con i cristiani?
«È iracheno, o ceceno, e in passato è stato in Egitto. Rappresenta Al Nusra (Al Qaeda in Siria) che occupa questi villaggi da maggio. Li ritiene strategici perché sono sulla strada che porta al confine turco. Al Nusra è diversa da Daesh (acronimo arabo di Isis, ndt). Sotto Daesh i cristiani non possono rimanere, con Al Nusra i diritti sono solo dei musulmani ma i cristiani sono tollerati».

Cosa chiedono gli «Emiri» di Al Nusra ai cristiani?
«Al Nusra non segna le case né impone tasse di sottomissione. Sono meno rigidi e più affaristi. Chiedono ai cristiani di togliere le immagini religiose e di non usare il vino nelle messe».

Ciò significa che i frati devono togliere le croci dalle chiese?
«I frati dei villaggi hanno tolto le croci dalle chiese. Così come i cristiani hanno dovuto levare croci, statue e immagini religiose, di qualsiasi tipo anche dalle case private. I contadini sono ingegnosi: le hanno coperte con veli di gesso. Le statue sono riposte al chiuso. Al Nusra aveva impedito ai contadini di lavorare nei campi ma ora glielo permette. Negli incontri con l’”Emiro” il religioso non parla di fede ma solo dei fedeli, di ciò di cui hanno bisogno. La pressione psicologica è forte».

Cosa ha provato immergendosi in questa realtà?

«È la fine di un’epoca, assomiglia alla Prima guerra mondiale per l’Europa. Non è una crisi di passaggio. Il Cristianesimo in questa regione è già stato più volte potato ma non è mai finito del tutto. Sarà così anche adesso. Mi sento impotente davanti al Male assoluto: per quanto ci sforziamo non siamo padroni della nostra Storia. Ma in questo mare vedo tanti giovani, solidi. Finché ci sono persone così non è tutto perduto».

I cristiani della regione come vivono quanto avviene in Siria?
«In Giordania e Libano si chiedono “Avverrà anche qui?”. C’è pathos collettivo, incertezza su coloro di cui ci si può fidare. La Chiesa deve stare con i fedeli, bisogna rispettare chi resta e chi parte. E pensare al dopo, anche se ora è presto per farlo».

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