Il nemico dall’interno: il ‘Caso Haifa’
Lettera da Gerusalemme, di Angelo Pezzana
Miri Regev, Ministro della Cultura israeliano
Se si escludono informazioni che possono mettere in pericolo la sicurezza del Paese, in Israele non esiste alcuna censura preventiva. Persino la cultura, nelle sue varie espressioni, è totalmente libera, non solo, ma viene sostenuta dallo Stato che non mette becco sull’ utilizzo dei finanziamenti. Questo vale soprattutto per cinema e teatro, due settori nei quali più che il profitto deve valere il criterio della qualità. Questo vale anche per altre forme artistiche, in primo luogo danza e musica, che hanno contribuito a far conoscere in tutto il mondo l’altissimo livello della cultura israeliana.
Questa premessa, per chi non conoscesse lo stato dello cose, è indispensabile per capire come anche la democrazia più avanzata, la società più liberale, in anni in cui il paese viene colpito da un terrorismo che utilizza sempre più nuove tecniche di attacco, in linea con quella che viene definita “guerra asimmetrica”, debba valutare con maggiore attenzione ciò che avviene sul proprio territorio.
Adnan Tarabash dirige il teatro Al-Midan
A cominciare dai finanziamenti stranieri, attraverso Ong di comodo, spesso costituite anche da israeliani, che hanno come fine la delegittimazione dello Stato attraverso attività che mirano a demolirne la credibilità. Tra le più significative – analizzate più volte su IC - citiamo B’tselem e Breaking the Silence, entrambe dedite alla diffamazione di Tzahal, le Forze di Difesa israeliane. Da qualche anno è sotto inchiesta il New Israel Fund, l’Ong attraverso la quale entrano legalmente i finanziamenti esteri utilizzati poi dalle varie Ong.
Veniamo a oggi. La vicenda si svolge a Haifa, città con una significativa minoranza araba, una municipalità di centro-sinistra, sempre attenta, giustamente, al rispetto di tutte le minoranze. Fino al momento in cui qualcosa succede, la sicurezza del buon rapporto maggioranza-minoranza viene meno e occorre prendere una decisione. La municipalità di Haifa deve continuare a finanziare il teatro Al-Midan quando ha in cartellone una pièce teatrale “Parallel Time”, il cui eroe-protagonista Walid Daka è un terrorista, in carcere in Israele, per avere nel 1984 partecipato al rapimento del soldato Moshe Tamam, averlo torturato e poi ucciso?
La lapide dedicata a Moshe Tamam
La cosa sarebbe passato sotto silenzio, se la famiglia Tamam non avesse apertamente denunciato il fatto. Che una istituzione pubblica finanzi la cultura di opposizione è in Israele la regola, vale con il cinema, la danza, la musica, perché non dovrebbe valere anche per il teatro? E poi non esiste la regola, non scritta ma sempre seguita, che il rapporto con la minoranza arabo-israeliana deve tenere conto in massima misura dell’ideologia pacifista? Il che avrebbe un senso se avesse dato dei risultati positivi, come succede in tutte le nazioni che hanno problemi di convivenza civile, ma in Israele no, c’è un problema molto più profondo, la non accettazione della presenza stessa dello Stato ebraico su un territorio che viene rivendicato in toto da altri.
Il terrorista Walid Daka
La denuncia della famiglia ha avuto effetto: la municipalità di Haifa ha aperto una inchiesta, che però ha mantenuto il finanziamento al teatro, anche se il direttore dava le dimissioni. Ma ormai il caso era diventato nazionale. Due membri del comitato hanno ritirato la loro firma dal rifinanziamento, in più è arrivato l’intervento del Ministro della Cultura Miri Regev, che ha annunciato una indagine sull’intera struttura del teatro Al-Midan, diretta da Adnan Tarabash, in stretta collaborazione con Adalah, il Centro Legale che si occupa dei diritti della minoranza araba in Israele.
Un legame piuttosto curioso fra un teatro e una associazione squisitamente politica, che si è giustificata adducendo la propria presenza nella conduzione del teatro in qualità di “consigliere"! Quella stessa Adalah che aveva denunciato all’Onu Tzahal accusando Israele di “crimini di guerra”. È venuto alla luce che il teatro riceve anche finanziamenti dal Qatar, finanziatore di Hamas e di quasi tutti i movimenti terroristi islamici.
Yona Yahav, sindaco di Haifa
In campo è scesa anche NGO Monitor, diretta da Gerald Steinberg, rivelando che il teatro Al-Midan è finanziato anche dalla UE, Svizzera, Svezia, Danimarca, Olanda e Spagna, e che collabora con tutte le iniziative internazionali di BDS. Ecco l’istituzione culturale che la municipalità di Haifa stoltamente finanziava. Come ha dato la notizia Haaretz, sempre così attento a tutto ciò che attiene alla cultura e al costume? Neanche una riga, l’ha completamente ignorata. Certo, difendere Al-Midan era un’impresa difficile anche per Haaretz, meglio scegliere il silenzio, piuttosto di rivelare a quali livelli è giunta la compromissione delle istituzioni israeliane con chi si propone di distruggere questo paese dall’interno.
Angelo Pezzana