L’Egitto vacilla sotto un attacco terrorista
Analisi di Zvi Mazel
(Traduzione di Angelo Pezzana)
Esce su IC in contemporanea con il Jerusalem Post questa analisi di Zvi Mazel.
L'articolo originale è stato pubblicato sul Jerusalem Post di oggi. Si può leggerlo alla pagina http://www.jpost.com/Middle-East/Analysis-Egypt-still-trying-to-find-a-fitting-answer-to-a-complex-situation-407753
L’attacco è esploso mercoledì mattina nella sezione nord est della Penisola del Sinai da parte di Ansar Bet al-Makdis, un gruppo legato allo Stato islamico, che ha colpito i soldati egiziani con un numero di vittime mai così alto. In serata la battaglia era ancora in corso, si calcola che i morti siano più di 100. Sembra incredibile, ma i servizi di sicurezza non erano stati allertati di una operazione che aveva richiesto una grande preparazione, armi, munizioni, veicoli, controllo del territorio e canali di comunicazione per coordinare il tutto.
Le migliaia di soldati dispiegati sul Sinai non hanno né visto né sentito nulla, nemmeno i posti di blocco stradali hanno registrato movimenti sospetti. Anche gli elicotteri che controllavano dall’alto non si sono accorti di nulla. Ancora più grave, la sorpresa è stata tale che i soldati hanno reagito solo dopo che l’attacco aveva già causato molti morti.
Abdel Fattah Al Sisi
Di fronte a una situazione così complessa l’Egitto sta ancora cercando una spiegazione plausibile. Le truppe non mancano, Israele ha acconsentito all’aumento necessario di soldati nel Sinai per combattere i terroristi. Il problema sta nel fatto che l’esercito egiziano non ha forze speciali addestrate per combattere nel deserto e nelle località di montagna, dove probabilmente i terroristi hanno le loro basi. In più, i terroristi ricevono aiuto e sono spalleggiati dalla popolazione beduina. Trascurati dal governo egiziano per anni, i beduini sono diventati una facile preda dell’islam radicale per infiltrarsi nella regione, un sostegno peraltro ben remunerato. Tutto è iniziato circa 15 anni fa, quando i beduini aiutarono l’Iran a contrabbandare missili e esplosivi a Gaza, attraverso centinaia di tunnel che Hamas aveva costruito al confine egiziano. L’allora presidente Hosni Mubarak non era intervenuto, ritenendo un ‘compito non suo’ controllare ciò che entrava a Gaza, non prevedendo il pericolo per il proprio paese malgrado gli avvertimenti di Israele.
La sua caduta rappresentò un colpo fatale agli apparati di sicurezza egiziani, in modo particolare nella Penisola del Sinai, che ne subiscono il danno ancora oggi. Il presidente Mohammed Morsi, un fratello musulmano ortodosso, durante il suo breve governo 2012-1013, diede via libera ai gruppi estremisti in Sinai, impedendo all’esercito, guidato dal generale Abdel Al-Sisi- da lui stesso nominato ministro della difesa di intervenire. Oggi l’Egitto si trova davanti una forza terrorista ben organizzata nell’area, che ha il sostegno dei beduini, altri gruppi da Gaza e anche dalla Libia, dove le milizie islamiche sono attive e introducono armi e militanti in Egitto. La cacciata di Morsi e dei Fratelli Musulmani ha ridato forza ai gruppi islamici, che ricevono informazioni e servizi di intelligence dai Fratelli sugli obiettivi da colpire per danneggiare le infrastrutture e l’economia dell’Egitto.
Il Presidente Sisi si è preoccupato soprattutto dello sviluppo dell’economia per far uscire l’Egitto da una situazione catastrofica. Finora senza grande successo. Vuole aprire un secondo Canale di Suez, che potrà triplicarne i guadagni, ha aumentato la produzione energetica, cancellando l’80% dei sussidi statali, ricevendo l’applauso del Fondo Monetario Internazionale per l’ inizio di una modesta crescita economica del 3%. Il presidente ha molti altri progetti, ma è impedito dal terrorismo, non solo nel Sinai ma in tutto il paese, dal Cairo, dove il giudice della corte che aveva condannato Morsi è stato assassinato due giorni fa, fino alle province più lontane.
Sta anche lavorando alla riforma dell’islam, nel modo in cui viene insegnato. Eppure non ottiene alcun aiuto dagli Stati Uniti e dall’Europa, che lo definiscono tuttora un dittatore militare che ha cacciato con la forza un presidente eletto democraticamente. Ignorando che Morsi stava creando una dittatura islamica.
Il presidente Barack Obama, che non ha mai rotto il rapporto con la Fratellanza, sembra non voler dare alcuna importanza al ruolo decisivo dell’Egitto nella guerra all’islam estremista. Invece di garantire al paese l’assistenza militare ed economica di cui ha bisogno, solo di recente ha ristabilito qualche misura di assistenza militare, sempre però rifiutando all’Egitto gli equipaggiamenti sofisticati che renderebbero più efficace all’esercito la guerra contro i terroristi in un’area difficile e complessa come quella del Sinai.
Zvi Mazel è stato ambasciatore in Egitto, Romania e Svezia. Fa parte del Jerusalem Center fo Public Affairs. I suoi editoriali escono sul Jerusalem Post. Collabora con Informazione Corretta