Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 01/07/2015, a pag. 18-19, con il titolo "Soldi, kalaschnikov ed esecuzioni: ecco la rete del terrore di Al Qaeda in Italia", l'analisi di Paolo Berizzi.
Questo articolo di Paolo Berizzi non può farci dimenticare l'altra minaccia islamista - ben più silenziosa di Al Qaeda o dello Stato islamico - che incombe sull'Italia e sull'Europa: la Fratellanza musulmana.
Per approfondire, consigliamo gli articoli di Valentina Colombo, pubblicati su IC:
http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=115&sez=120&id=58337
http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=0&sez=460&id=57948
Ecco l'articolo:
Paolo Berizzi Valentina Colombo
Anche Al Qaeda uccide in spiaggia. Non solo d’estate. Poi sotterra le sue vittime nel bresciano e rende omaggio a Allah. «Abbiamo fatto una cosa santa... Dio ci ha donato questa vita per ammazzare», esulta il capo al telefono coi suoi sathi , gli “affiliati”. In questo caso sono killer alle prese con il cadavere di una ragazza nel cofano dell’auto. «Se esce fuori la salma, se ci fermano in un controllo i carabinieri...». Questa è una storia di bombe e di preghiere, di kalashnikov e di moschee, di stragi, omicidi, esecuzioni. E di soldi. È una storia (anche) italiana, e a leggerla adesso — quattro anni dopo l’uccisione di Osama Bin Laden, e pochi giorni dopo l’eliminazione del suo erede, Nasir al Wuhayshi, il delfino “yemenita” — aggiunge un capitolo nuovo alla “narrativa” di Al Qaeda. Repubblica è in grado di raccontare questa sorta di ‘Codice Al Qaeda Italia’ attraverso documenti esclusivi del nostro Antiterrorismo. Lo scenario descritto dal materiale investigativo — è il “sottopancia” dell’inchiesta della Procura di Cagliari che in aprile ha sgominato una cellula qaedista con base in Sardegna (11 arrestati, 20 indagati) — porta in superficie fatti inediti.
DA LODI ALLA VAL TROMPIA Partiamo da Lodi. Non da Islamabad o da Karachi. Da Lodi. Settembre 2012: due giovani «dai tratti indo-pachistani» si presentano in uno studio fotografico. Chiedono l’estrazione di alcune immagini da un cellulare. Solo dopo avere consegnato ai clienti le fotografie, il titolare dello studio si accorge del contenuto: il cadavere di una ragazza distesa su una branda. «Il volto — annota la Digos — è tumefatto e amputato all’altezza del collo; le braccia amputate all’altezza dei gomiti; le gambe all’altezza delle ginocchia». Gli arti mutilati sono posizionati vicino al busto. È la tecnica talebana per punire chi viola il Corano. Anche chi va al mare con il costume. La ragazza — «sotterrata assieme al marito nella zona di Brescia» — si è macchiata di questa colpa. Troppo per un «guardiano della morale» — si definisce così — come Muhammad Hafiz Zulkifal. È l’imam di Bergamo e Brescia finito dietro le sbarre (ora è nel supercarcere di Rossano calabro).
Gli inquirenti lo ritengono il capo dell’organizzazione responsabile, tra le altre cose della strage di Peshawar (28 ottobre 2009: un’autobomba esplode nel mercato di Peepal Mandi falciando oltre 100 persone e ferendone 200, ndr). Tra febbraio e maggio 2011 l’omicidio dei “bagnanti” è ancora in fase progettuale. Zulkifal a Ajmal Khan: «Ho incaricato alcuni affiliati della zona di Gardone val Trompia di trovare l’uomo e la moglie. Ho dato anche una loro foto mentre fanno il bagno ». I sicari? «Arrivano dalla Francia, li portiamo a Brescia». Estate 2011: l’esecuzione si compie. Zulkifal: «Dio ci ha protetto ». Quasi. Un tale Ishaq Mohammad con-fessa: «Se questa cosa esce fuori dal cofano, allora quella ragazza». È il corpo fatto a pezzi. Quello delle foto sviluppate a Lodi.
I COMPLICI DI OSAMA «A casa tutto bene?». Il marito di Ayesha Khan, pakistana di Swabi, non è un terrorista qualunque. Imitias Khan, 40 anni, un bazar a Olbia. Secondo i nostri 007 Imitias è uno dei cinque attentatori di Peshawar. Era sul posto. «La terra tremava dall’esplosione! Gli ho detto “ringraziate che siete salvi», confida al telefono un complice. L’attentato, organizzato a Olbia, avviene a poche ore dall’arrivo a Islamabad di Hillary Clinton. 16 marzo 2010: Imitias chiama dunque la moglie dalla Sardegna. Lei: «È stato ferito Osama... Si è rotto il femore, ma è fuori pericolo». «Dove lo avete portato?». «A Nowshehra (villaggio vicino a Abbottabad dove il capo di Al Qaeda viene ucciso il 1 maggio 2011, ndr )».
JIHAD, ARMI E MILIONI Muovono denaro i qaedisti italiani. Lo spremono dalle comunità islamiche e lo spediscono in Pakistan e Afghanistan con l’hawala, il sistema informale di trasferimento di valori. I soldi finanziano la jihad «Questa cosa non finisce fino al giorno del giudizio universale... La Jihad parte da qui...», ringhia l’“olbiese” Muhammad Siddique. «Io odio Israele, India, Inghilter- ra. India e Israele hanno diffuso l’immondizia nel mondo». Per pulire servono soldi. «Per favore manda 50 milioni». È l’sms inviato nel 2011 all’imam bergamasco Muhammad Zulkifal da un connazionale. Segue resoconto delle «commissioni eseguite in Pakistan». Tutti attentati. «Spedito tre persone all’inferno». «Fatto saltare una scuola in Bannu. I militari li abbiamo ammazzati!». Sahadi , martiri. Jihad, soldi, armi. In un appartamento di Roma - registra la Digos - è custodito 1 milione di dollari. È il “forziere” della cellula qaedista sparsa tra la Capitale, la Sardegna, Milano, Brescia, Bergamo, Novara, Civitanova Marche e Caltanisetta. In un’altra casa il gruppo tiene le armi: kalashnikov, granate. «Ho comprato il top di tutte le armi! Sono per la guerra...». Parla Sultan Khan, 8 gennaio 2010. I terroristi islamici considerano un alleato la legge italiana. Ancora Sultan. «Qui non c’è l’impiccagione, se uccidi qualcuno fai soltanto 3 anni di carcere. Neanche l’ergastolo».
LA FUGA DI HAYAT BOUMEDIENNE «Il mio desiderio è il tuo sangue... puliamo la gente con la guerra santa», posta su fb uno dei soldati italiani di Bin Laden. Erano pronti a aiutare Hayat Boumedienne, la compagna di Hamedy Coulibaly, autore della strage del Kosher-market e della sparatoria di Montrouge a Parigi. «Appartengo all’Is», rivendicò l’attentato lui in un video postumo. La “vecchia” Al Qaeda e il “nuovo” Is dialogano. Informativa allegata alle carte sarde. Due membri del gruppo di qaedisti italiani accennano a un «supporto logistico» fornito a Hayat.
IL PAPA E LO ZAINETTO DA FARE ESPLODERE «È importante eliminare il loro plar (“capo”), ricordatelo». Il 19 settembre 2010 il telefono dell’imam Zulkifal squilla e dall’altra parte c’è un uomo, «Umar Khan dal Pakistan». Gli parla di un attentato eccellente da compiere. «Ci sono tanti soldi sul loro papa. Stiamo facendo una grande jihad contro di lui». Zulkifal interrompe la telefonata. È proprio il Vaticano l’obiettivo? Sentite il pakistano-romano Niaz Mir mentre il suo cellulare aggancia la cella di via della Conciliazione, a 150 metri da San Pietro. «Roma era piena, quando arriverà a 4 milioni di persone. Se lui (riferito a un kamikaze “appena arrivato a Roma”) entrerà dentro, in mezzo fra le persone...». Cosa succederà? «C’è un borsello che hai tu», dice Muhammad Siddique a un tipo. «Se ci fosse già stata l’esplosione si sarebbe disintegrato». L’attentato, forse, è stato solo rimandato.
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