Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 30/06/2015, a pag. 1-3, con il titolo "Sì, guerra di civiltà", l'analisi di Mauro Zanon.
Mauro Zanon
Manuel Valls
Parigi. Il premier francese Manuel Valls ha detto domenica che nel quadro della lotta contro il jihadismo “non possiamo perdere questa guerra, perché in fondo è una guerra di civiltà”. Ha citato anche la “fitna” interna all’islam, la discordia profonda “tra un islam che si basa sui valori umanistici e un islamismo oscurantista”. E’ una prova di coraggio notevole per il premier, i suoi compagni del Partito socialista lo hanno criticato duramente per i suoi “cortocircuiti ideologici”, lo hanno accusato di “deriva bushista” e hanno ripetuto il vecchio adagio pol. corr.: “Le prime vittime del jihadismo sono le comunità musulmane di ogni paese del mondo”.
Ma un rapporto dei servizi ottenuto dal Figaro parla dell’Opa che l’estremismo islamista sta lanciando sulla Francia: le moschee che praticano l’islam violento sono raddoppiate dal 2010, ci sono 41 moschee “assediate” dai fondamentalisti, e nei luoghi di preghiera i moderati stanno per essere messi in minoranza dagli estremisti. Domenica, in diretta su Europe 1, il primo ministro francese Manuel Valls ha dato una grande lezione di realismo ai suoi compagni di governo, rinverdendo una pratica che in Francia è caduta da ormai troppo tempo in desuetudine: “appeler un chat un chat”. E cioè chiamare le cose con il proprio nome, senza furberie linguistiche dettate dal politicamente corretto. Chiamato a commentare l’attentato alla centrale del gas di Saint-Quentin-Fallavier e più in generale la gravità della minaccia terroristica che aleggia sulla Francia, Valls ha utilizzato l’espressione “guerra di civiltà” nel quadro della lotta contro il jihadismo. “Non possiamo perdere questa guerra, perché in fondo è una guerra civiltà”, ha detto il premier francese, precisando però che non si tratta di uno scontro tra occidente e mondo musulmano.
È una guerra tra occidente e fondamentalismo islamico, ma è anche una guerra tutta interna all’islam, ha detto Valls: la “fitna”, la discordia profonda è “tra un islam che si basa sui valori umanistici e un islamismo oscurantista”. Quella del premier francese è una prova di leadership, l’ennesima da quando è stato chiamato da Hollande a Matignon per sostituire il flebile Jean-Marc Ayrault e dare un’iniezione di dinamismo a un governo impacciato. Una prova di coraggio naturalmente non ravvisata dai suoi compagni di partito, e soprattutto dall’ala radicale del Partito socialista, che lo ha redarguito per aver impiegato la formula “guerre de civilisation”, tanto cara ai neoconservatori americani, e che in precedenza, in Francia, era stata utilizzata soltanto da Nicolas Sarkozy. Il redivivo Julien Dray, figura storica di Sos Racisme, oggi ripescato dal suo amico Hollande per fare il capolista dei socialisti nel Val-de-Marne, ha fustigato Valls e i suoi “cortocircuiti ideologici”, prima di suonare il solito adagio islamofilo: “Le prime vittime del jihadismo sono le comunità musulmane di ogni paese del mondo”. Sulle stesse note, un fedelissimo di Hollande che ha preferito mantenere l’anonimato: “Parlare di guerra di civiltà non è stata una mossa felice per il vivre-ensemble. Che dire, Bush è stato sottostimato”.
Tuttavia c’è chi, nei corridoi dell’Eliseo, non vede affatto una “deriva bushista” o un “tradimento del proprio campo politico” nel comportamento di Valls, ma piuttosto il richiamo a una gauche che non è quella di Jaurès e Bloum: “Valls fa il Clemenceau, il tipo di sinistra autoritario, il Tigre”, dice al Figaro una fonte interna al palazzo presidenziale. Il segretario generale del Ps, Jean-Cristophe Cambadélis, ha dato ragione a Valls, perché non c’è alcun dubbio che “i fanatici islamici vogliano la guerra di civiltà”. La destra neogollista si divide tra chi fa dell’ironia sugli echi sarkozysti del linguaggio di Valls e chi invece, come il deputato Eric Ciotti, saluta la “lucidità” e la “presa di coscienza” del primo ministro francese. Valls, che già a gennaio era stato il solo a parlare di “terrorismo islamista” – tutti gli altri nel Ps non osavano accostare la parola islam e terrorismo, tanto era (ed è tutt’ora) elevato il terrore di essere tacciati di islamofobia – ha ribadito chiaro e tondo che “viviamo sotto una minaccia terroristica considerevole”. Minaccia che trova riscontro nei numeri drammatici delle moschee e delle sale di preghiera musulmane passate nelle mani dei salafiti negli ultimi cinque anni.
Dal 2010 a oggi, secondo l’ultimo bilancio del ministero dell’Interno, le moschee e le sale di preghiera controllate dagli adepti dell’islam rigorista sono raddoppiate, passando da 44 a 89. Ma ancora più inquietanti sono i dati dei servizi segreti francesi di cui il Figaro è entrato in possesso. Attualmente, sarebbero ben 41 i luoghi di culto musulmani considerati “moderati”, ormai prossimi a essere conquistati dai fondamentalisti. La loro opera di destabilizzazione sta funzionando, e “lo spettro di un vero e proprio contagio radicale”, scrive il Figaro, “incombe sulle moschee di Francia”.
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