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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
27.06.2015 Come capovolgere la realtà iraniana
Adesso tocca a Franco Venturini

Testata: Corriere della Sera
Data: 27 giugno 2015
Pagina: 28
Autore: Franco Venturini
Titolo: «Diplomazia: Accordo globale tra Santa Sede e Palestina»

Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 27/06/2015, a pag.28, con il titolo "Diplomazia: Accordo globale tra Santa Sede e Palestina " di Franco Venturini.

Venturini scrive "Ma se il negoziato di Vienna fallirà, il mondo dovrà far fronte a una scossa ancora più forte. L'Iran avrà via libera verso l'atomica perché non ci saranno più ispezioni esterne". Falso, è grazie all'accordo e la cancellazione delle sanzioni che l'Iran avrà l'arma nucleare, senza che possa avvenire nessun tipo di controllo. Come hanno sempre detto i mullah di Teheran. Cosa non scriverebbero i nostri giornaloni pur di compiacre le veline confindustriali.
Che nessuno si chieda più perchè l'Occidente è cieco di fronte al pericolo iraniano ! 'pecunia non olet', come scriviamo spesso, è la risposta.

in alto: " davvero, è solo per uso domestico!"
in basso: Franco Venturini

Ecco l'articolo:

Il campanello assordante e feroce delle stragi terroristiche ha invaso ieri le stanze di una Europa ancora divisa su Grecia e migranti, è rimbalzato nell'Ucraina che promette guerra, e inevitabilmente si è imposto sulla volata finale della trattativa nucleare con l'Iran che comincia a Vienna. Tutti dovrebbero trame un richiamo ultimativo all'intesa, al compromesso foriero di azioni coordinate contro il comune nemico. Ma egoismi e nazionalismi sono duri a morire, anche quando scorre il sangue. A Vienna non è ancora chiaro se la trattativa sul nucleare iraniano dovrà «fermare l'orologio» e proseguire oltre la scadenza del 30 giugno. Ma è chiarissima un'altra cosa: comunque vada a finire, questo negoziato cambierà il mondo e cambierà anche il modo di affrontare il terrorismo. Se ci sarà accordo dopo quasi quarant'anni di dichiarata inimicizia tra Usa e Iran, per un decennio Teheran non potrà arrivare all'atomica. La progressiva revoca delle sanzioni darà ossigeno all'economia, e influirà sul mercato del petrolio. Israele, il Congresso Usa e le monarchie sunnite del Golfo (compreso il Kuwait colpito ieri dall'Isis in una moschea della minoranza sciita) si diranno insoddisfatti, e ciò peserà sul prossimo Presidente Usa. In Siria l'assediato Assad tirerà un sospiro di sollievo, in Iraq le milizie sciite diventeranno ancor più cruciali nella lotta contro i taglia-gole dell'Isis, ma un numero crescente di sunniti potrebbe vedere nelle bandiere nere di al-Baghdadi l'estremo rifugio. Nulla di cui entusiasmarsi. Ma se il negoziato di Vienna fallirà, il mondo dovrà far fronte a una scossa ancora più forte. L'Iran avrà via libera verso l'atomica perché non ci saranno più ispezioni esterne. Si creerà una situazione inaccettabile per la sicurezza di Israele e l'opzione dell'uso della forza si farà strada. La società e l'economia iraniana pagheranno un prezzo altissimo. Soprattutto, diventerà incontrollabile la spirale della proliferazione atomica volta a bilanciare la bomba iraniana: l'Arabia Saudita ha già cominciato a muoversi, poi potrebbe toccare alla Turchia e all'Egitto (Israele possiede da tempo un arsenale nucleare mai dichiarato o ammesso). L'Italia, già minacciata come il resto d'Europa da uno sconsiderato ritorno al confronto missilistico-nucleare con la Russia (che peraltro tratta con l'Iran a fianco degli Usa e di altri) si troverebbe immersa in una corsa al nucleare a sud e ad est dei suoi confini. L'instabilità internazionale raggiungerebbe nuovi livelli, il terrorismo troverebbe nuovi alimenti. Il realismo impone dunque un accordo perché è il minore dei mali? Questa è stata sin qui la linea di Obama. Del resto se in queste ore qualcuno è parso voler silurare l'intesa, non si è trattato di un occidentale. D leader supremo Ali Khamenei ha ritenuto di piantare due paletti che da soli sono in grado di mandare tutto all'aria. Primo tema, le ispezioni: saranno consentite nei centri nucleari oggetto dell'accordo ma non nelle basi militari. Gli ispettori, inoltre, non potranno incontrare scienziati o consultare documenti top secret. E le ricerche in campo nucleare saranno sì interrotte, ma non per dieci anni. Secondo tema, le revoca delle sanzioni: dovranno essere tolte contemporaneamente all'applicazione dell'accordo. Questi due punti rischiano di far naufragare l'intesa-quadro raggiunta in aprile a Losanna. Si stabilì allora che le ispezioni dovevano essere illimitate. Quanto alla sospensione delle ricerche, si era rimasti nel vago ma l'interpretazione occidentale prevedeva un decennio. La revoca delle sanzioni, poi, è legata a previe verifiche sul campo da parte dell'Agenzia Atomica che certifichino l'attuazione degli accordi da parte iraniana. Perché allora il capo supremo Khamenei ha sparato a mitraglia? Per mantenere la sua abituale ambiguità? No, non questa volta. I suoi divieti sono troppo categorici, troppo precisi. Nel campo iraniano può ancora succedere di tutto, ma l'ipotesi più credibile è che su Khamenei siano intervenuti i militari che coprono le spalle al regime teocratico: le Guardie della rivoluzione, o Pasdaran, che si battono oggi in Iraq contro l'Isis a fianco delle milizie sciite locali. E di fatto si comportano da alleati dell'Occidente. La complessità della lotta tra sunniti e sciiti e la minaccia dell'Isis peseranno sul negoziato nude-are. Ma una giornata come quella di ieri ci suggerisce con forza che la risposta al terrorismo stragi-sta, sempre più presente in Libia e impegnato a travolgere la 'Tunisia, meriterebbe ben altre immediate risposte. Soprattutto ora che la prima linea dellltalia diventa sempre più calda

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