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Corriere della Sera-IlSole24Ore Rassegna Stampa
27.06.2015 2/Islam che avanza e uccide: chi non la conta giusta
ad esempio, Farian Sabahi, Alberto Negri, Ugo Tramballi

Testata:Corriere della Sera-IlSole24Ore
Autore: Farian Sabahi-Alberto Negri-Ugo Tramballi
Titolo: «Quelle decapitazioni in nome dell'islam- Da noi le guerre dell'islam-Le priorità dei nostri alleati»

Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 27/06/2015, a pag.11, il commento di Farian Sabahi. Dal SOLE24ORE  a pag1 quelli di Alberto Negri e Ugo Tramballi. Preceduti da un nostro commento:

Corriere della Sera-Farian Sabahi: "Quelle decapitazioni in nome dell'islam"

Curiosa la presa di posizione di Farian Sabahi, la cui funzione nel nostro paese è sempre stata solo e soltanto quella di 'abbellire' un islam di fatto impresentabile. Con una piroetta a 360 gradi cambia rotta, citando dai sacri testi islamici le frasi che giustificano - e spiegano- le stragi contemporanee. Che cosa le è successo ? Sicuramente non un miracolo, più probabile - come diceva Gilberto Govi - 'avrà avuto la sua convenienza'. Lo verificheremo presto.


Farian Sabahi, a sinistra, con il velo

Quando incontrate in battaglia quei che rifiutarla Fede, colpite il collo, finché li avrete ridotti a vostra mercé, poi stringete bene i ceppi: dopo, o fate loro la grazia oppure chiedete d prezzo del riscatto» (47, 4). E ancora «Percuotete il collo e spezzate ogni dito!» (8, i2). Così recitano due versi coranici usati dai jihadisti che si prendono la libertà di sostituire colpire e percuotere con decapitare. Ulteriore fonte è, nella biografia del Profeta, la spedizione contro i Bann Qurayzah che si erano alleati ai suoi nemici: «Maometto fece scavare un fossato sulla piazza del mercato, si sedette sull'orlo, fece chiamare Ali e Zubayr e diede ordine di prendere le spade, sgozzare uno dopo l'altro gli Ebrei e buttarli nella fossa». Se i riferimenti teologici possono fornire una giustificazione, in realtà l'ispirazione concreta per i jihadisti viene dalle decapitazioni nelle pubbliche piazza dell'Arabia Saudita, dove è la pena per omicidio, violenza carnale, traffico di droghe, rapina, apostasia, relazioni sessuali illecite. Il mestiere di boia si trasmette di padre in figlio ma di questi tempi si fanno gli straordinari (88 decapitazioni lo scorso anno) e quindi il ministero del pubblico impiego ha diffuso un annuncio: «Otto boia cercansi. Non servono competenze né studi». Il salario non è indicato, ma pare che per ogni testa mozzata d boia di Stato riceva, oltre allo stipendio, un bonus di mille dollari.

IlSole24Ore-Alberto Negri: " Da noi le guerre dell'islam"

Leggere il commento di Negri è come chiedersi quale funzione ci sia nel pubblicarlo. Passa da un riassunto all'altro, non uno straccio di analisi che aiuti il lettore a capire come perchè, da una strage all'altra, siamo giunti a quelle di ieri. 'Non solo ma anche' potrebbe essere il marchio dei commenti come il suo, Un po' di colpa all'islamismo, un po' a Bush (che non guasta mai), frasi del tipo "occorre intervenire", senza però dire in che modo.


Alberto Negri

L' arco delle guerre dell'Islam si incunea in Europa e sconvolge nel sangue l'estate mediterranea. La sequenza degli eventi non è casuale. II 29 giugno 2014, all'indomani della conquista di Mosul, l'Isis proclamava il Califfato guidato d Abu Bakr Baghdadi. Un anno dopo, nonostante qualche sconfitta, il Califfato ha tenuto le posizioni in Siria, è avanzato in Iraq e ha esteso la sua influenza nel mondo arabo-musulmano. E' difficile dire se ci possa essere un coordinamento dietro i tre attentati contemporanei e non ancora rivendicati in Francia, Tunisia e Kuwait - anzi si potrebbe escludere - ma l'anniversario della nascita del Califfato è più di una coincidenza: da Oriente a Occidente jihadisti di varie provenienze hanno espresso fedeltà al califfo Baghdadi osi sono ispirati alle gesta dell'Isis. Che fare? Il primo punto è che abbiamo la guerra alle porte di casa. L'Europa deve prendere atto di una realtà geopolitica ineludibile: dalla Siria all'Iraq, dallo Yemen alla Libia, interi stati si stanno disgregando e la mappa del Medio Oriente riporta frontiere e nazioni che non esistono più. Questo processo, assolutamente fuori controllo, provoca un enorme vuoto di potere, già cominciato con l'attacco americano a Saddam nel 2003: l'Iraq è stata una calamita per Al Qaeda e lì è nato il Califfato. Poi sono venute, nel 2011, le rivolte arabe, un'occasione per abbattere autocrati senescenti ma anche per scatenare le ambizioni di rivincita delle potenze sunnite in lotta contro l'espansione dell'Iran degli ayatollah. Al Qaeda e lo Stato Islamico sono la punta di diamante dell'oscurantismo sunnita. Mai dimenticare che le prime vittime del terrorismo sono proprio i musulmani e che quello cui stiamo assistendo è soprattutto una lotta sanguinosa dentro l'Islam. Ma è anche evidente che non si può restare spettatori neutrali e reagire soltanto quando la barbarie ci colpisce direttamente. La Tunisia da sola non ce la fa a fronteggiare il terrorismo islamico. Lo ha detto anche il suo presidente, Caid Essebsi. La Tunisia ha visto affluire oltre un milione di libici, le frontiere sono state infiltrate dai jihadisti, inoltre questo è il Paese che ha fornito il contingente più numeroso dei foreign fighters che in Siria combattono sotto il vesillo dei gruppi più radicali. Mentre in Francia, da quel fatale attacco del 7 gennaio di Charlie Hebdo, hanno capito che il modello di integrazione sociale degli immigrati della Répubblique è in crisi, in Kuwait con la strage alla moschea Sadiq, di venerdì e in pieno Ramadan, gli sciiti hanno pagato la predicazione degli imam sunniti che puntano alla divisione settaria del mondo musulmano. La Tunisia è un bersaglio privilegiato dei jihadisti, l'unico Paese arabo, dopo le "primavere", a imboccare la via democratica E certo che ancora una volta i tunisini scenderanno in piazza per difendere le loro conquiste ma l'Europa deve far seguire alle parole, già spese in abbondanza dopo l'attentato del Bardo, i fatti: la Tunisia è un nostro vicino di casa in difficoltà e deve essere aiutato, sia dal punto di vista economico che della sicurezza. Così come devono essere sostenuti i curdi in lotta contro il Califfato. Ma abbiamo una strategia europea contro il terrorismo? E venuto il momento di darsela, avviando anche gli sforzi diplomatici necessari per capire cosa vogliono i nostri alleati musulmani, dalla Turchia alle monarchie del Golfo. Fermare la guerra in Siria, il Califfato e i gruppi jihadisti senza di loro, più che sospettati di aiutare gli islamici radicali, impossibile: chiederanno contropartite importanti ma è un imperativo discuterle apertamente e non sotto traccia come è stato fatto fmora Così come potrebbe essere fondamentale, per bilanciare Il mondo sunnita, la firma del trattato nucleare con l'Iran. E l'Europa dovrà rimettere allo stesso tavolo anche Stati Uniti e Russia, altrimenti non si va da nessuna parte. Ma oltre agli aspetti securitari c'è un problema culturale e religioso. ll jihadismo l'espressione armata di una versione dell'Islam che interpreta alla lettera il Corano. Migliaia di imam, fmanziati da monarchie del Golfo o sostenuti da organizzazione islamiche private, predicano odio e intolleranza contro musulmani moderati e infedeli. Stati Uniti e Occidente hanno molte colpe nel disordine mediorientale: possono intanto smettere di essere complici silenziosi dei loro mandanti

IlSole24Ore-Ugo Tramballi: " Le priorità dei nostri alleati"

Ugo Tramballi

Anche Ugo Tramballi non sfugge al fascino dell'inslata-riassunto, distribuisce le responsabilità un po' a tutti, come in genere fanno gli esperti del giorno dopo. Naturalmente non manca il condimento delle colpe dell'Occidente, che aiutano sempre a far bella figura a chi scrive. Ma sono anche cattivi i musulmani, perchè invece di smetterla di ammazzarsi fra loro continuano a farlo. E poi se la prendono anche con gli altri, e anche questo non è bene. Uno arriva alla fine e si chiede: ma Tramballi ha mai consultato qualche buon libro di storia ? la finirebbe di porsi tutte quelle domamnde alle quali già altri hanno risposto.

 

La logica vorrebbe che siano nostri alleati in Medio Oriente,Asia e Africa ad aiutarci nel preveniregli attentati jihadisti contro gli occidentalc nei nostri paesi come nei loro, dove europei e americani diventano sempre più un obiettivo. Li conoscono meglio di noi, sono loro concittadini o nelle loro società si nascondono facilmente come pesci nell'acqua in cui nuotano, per citare il saggio sulla guerriglia di Mao Zedong. L'Occidente può fornire informazioni, offrire la collaborazione con le intelligence, dare un appoggio politico, inviare esperti, armi, aiuti economici. Ma solo i regimi nostri alleati e no, possono debellare alla radice il fenomeno jihadista, la sua logistica, le tolleranze e le connivenze di cui godono i terroristi. Principalmente con la forza militare e poliziesca, per conseguire la sicurezza di cui ogni paese ha bisogno; possibilmente riformando anche sistemi antiquati, economicamente falliti e politicamente brutali che sono fucine di terroristi. Ma non hanno intenzione di aiutarci davvero o non hanno i mezzi per farlo. Prima di tutto perché ogni tragedia ha angolature diverse: dipende dal punto di vista con cui si guardano. Il loro è che pakistani e afghani, mediorientali,somali, keniani e nigeriani, sono più vittime di noi: migliaia di morti più dei nostri, milioni di profughi. Quando c'è una strage di turisti europei, faticano a mostrare quell'orrore che noi richiediamo. La seconda ragione sono le priorità diverse. Prendete l'Iran, difensore degli scilti mediorientali. L'attentato di ieri alla moschea di Kuwait City - dove sono morte almeno 25 persone, rivendicato dall'Isis - e quelle delle settimane precedenti in Arabia Saudita avevano come obiettivo le minoranze scilte. In quanto apostati, noi e gli iraniani siamo i nemici numero uno del califfato sunnita: veniamo prima dei sauditi, degli Emirati, dell'Egitto, della Turchia (posto che l'Isis abbia mai considerato nemico la Turchia). Sarebbe logico fare un fronte comune. Ma per gli iraniani che non riescono a liberarsi degli idoli della loro rivoluzione islamica, il "Grande Satana" americano continua a essere il primo nemico, nonostante l'amministrazione Obama si stia arrampicando sugli specchi per un accordo diplomatico sul nucleare. Per i nostri alleati sunniti il problema non è diverso. Se per noi la prima minaccia è la Jihad di qaidisti e Isis, per loro la questione è più variabile. I turchi possono convivere con il califfato se sconfiggerlo significa rafforzare i curdi; la prima guerra religiosa e geopolitica dei sauditi e quella contro l'Iran sciita e le sue ambizioni di potenza regionale, poi viene il califfato di al-Bagdadi; per interessi domestici il regime egiziano confonde volutamente islamisti della fratellanza musulmana e terroristi. E la preoccupazione di tutti è che il regime di Bashar Assad potrebbe sopravvivere se dalla Siria venisse spazzato via l'Isis. Il paradosso è che da tempo lo stesso Assad ha un'alleanza implicita con il califfato: fino a che esiste, esiste anche lui. L'ultima ragione per cui non vogliono o non possono aiutarci, è la convinzione che tutto ciò che sta accadendo sia una specie di vendetta della storia. Non solo il terrorismo islamico. Anche l'invasione dei profughi. Qualche tempo fa il dittatore del Gambia ha sostenuto che l'ondata degli africani in Europa è un risarcimento dello schiavismo e del colonialismo occidentali. Per gli arabi la colpa di tutto incomincia con l'accordo fra l'inglese Sykes e il francese Picot che nel 1917 si spartirono l'impero ottomano, inventando frontiere, e finisce con l'invasione americana dell'Iraq, nel 2003. C'è un evidente fondo di verità. Ma le responsabilità occidentali sono anche un pretesto per ignorare decenni di fallimenti statuali e sociali. Il presidente del Gambia è un dittatore portato al potere dall'ennesimo golpe. Sauditi, Emirati, qatarini, hanno avuto tempo e denaro per creare regimi migliori. La rivoluzione di Nasser iniziò nel 1952 ma oggi l'Egitto non è un modello. Negli stessi anni il Brasile, il Cile, la Corea del Sud, l'India, l'Indonesia, la Cina e molti altri paesi del Terzo mondo - anche in Africa - sono radicalmente cambiati, migliorando la vita dei loro cittadini. L'amministrazione Obama ha commesso errori e gli europei hanno ancora comportamenti da vecchia potenza coloniale. Tuttavia chi sta giocando la devastante partita mediorientale; chi finanzia milizie radicali; chi crede nello scisma fra sciiti e sunniti, rafforzando l'Isis, sono i governi della regione, non noi.

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