Sulle stragi di ieri riprendiamo cronache e commenti che aiutano a capire le radici del terrorismo, perchè e come si sta sviluppando, e che cosa occorre fare per sconfiggerlo. Si sta avvicinando sempre più al nostro mondo occidentale, ma, come con il nazismo negli anni '30, sono pochi ad averlo intuito. Sono queste le analisi intelligenti uscite oggi, 27/06/2015, sui nostri media.
Il Giornale-Fiamma Nirenstein: " Il Califfato vuole dominare le nostre vite"
Fiamma Nirenstein
Il terrorismo è il nostro maggior campo di battaglia, il problema bellico più importante del nostro tempo. E ieri ha sferrato un attacco inusitato, prova (...) (...) che il conflitto innescato dalle primavere arabe fra sunniti e sciiti si è tradotto letteralmente in un esercito di invasati che ci invade con la sua crudeltà senza precedenti, che ci risulta inafferrabile per l'imprevedibilità delle sue continue stragi di innocenti. La terribile pervasività del terrore islamista durante la giornata di ieri, la sua, tende, innanzitutto, a diffondere un'immagine di onnipotenza, che minaccia chiunque si opponga al piano del califfato universale: gli attacchi di ieri ci ripetono quello che già da tempo la carta geografica ormai tutta macchiata di sangue dovuto al terrorismo islamico ci dice. Ovvero: per te non c'è nascondiglio, se sei contro di me sei potenzialmente un morto che cammina. Se si dovesse scoprire nelle prossime ore che una regìa unica ha messo in moto ieri gli attentati di Lione, del Kuwait, della spiaggia di Sousse in Tunisia, forse finalmente cominceremo a capire che siamo in guerra, e che questa guerra viene condotta da una galassia di gruppi che in Medio Oriente e in Europa riconoscono un capo, Abu Bakr al Baghdadi, o comunque una struttura verticale. Se i tre attentati sono un solo piano, siamo allo stalinismo di Al Baghdadi, e all'attacco generalizzato. Le sue forze hanno attaccato la Francia con frequenza e determinazione martellante, è un nemico attivo in Medio Oriente, con gli Usa e l'Inghilterra, e nello stesso tempo una grande retrovia musulmana a causa dell'enorme immigrazione; con dispiegamento di forze e fantasia strategica hanno contemporaneamente preso d'assalto anche la Tunisia, un Paese islamico che agli occhi dell'Isis tradisce perché troppo aperto all'Occidente, cerca la moderazione politica e ha fatto del turismo il cuore della sua economia. Il precedente è molto recente e identico, il 18 marzo di quest'anno al Museo del Bardo infatti furono uccise 24 persone. E infine nella stessa giornata abbiamo visto aggredire a morte la moschea sciita della capitale del Kuwait: qui è stato messo in scena, uccidendo almeno 13 persone, la consueta guerra millenaria fra le due anime basilari dell'islam che ha creato quattordici milioni di dispersi e profughi, che ha riempito di disperati i campi in Libano, Giordania, Turchia. L'Isis ha dato quindi un segnale plurimo di grande strategia: gli interessa attaccare l'Occidente, proprio come faceva Al Qaida, ma tiene al contempo a riempire di terrore quel mondo islamico che vuole conquistare in prima istanza, per procurarsi uno spazio territoriale che sia la base geografica del califfato universale sul mondo intero, e che oggi ha già accorpato Irak e parte della Siria. La firma più sua l'Isis l'ha lasciata in Francia: una testa mozzata, sfregiata anche da scritte in arabo, infilzata su una cancellata. La perversione programmata è il segnale preferito dell'Isis e il marchio di fabbrica. Non è per una forma di pazzia dell'Isis staccare le teste dal collo a un uomo, non lo è farlo morire affogato in una gabbia, né dargli fuoco con una complicata cerimonia filmata fra mille salamelecchi jihadisti. L'Isis è tutt'altro che un'accolita di matti: il terrore personalizzato, quello che ti fa toccare il tuo proprio collo mentre vedi l'uccisione di James Foley e di tutti gli altri poveri disgraziati, deve spaventare fino alla resa, e così è già accaduto in Irak e in Siria. Ora, deve accadere in Europa e in America. Il soldato Lee Rigby camminava tranquillo per le strade di Londra il 22 maggio 2015 quando lo afferrarono due energumeni jihadisti naturalizzati inglesi e lo ammazzarono tentando di tagliargli il collo. Non erano grandi esperti di decapitazioni come il boia che funge da tagliateste preferito, l'ex disc jockey londinese John, boia professionale. Rendendo la decapitazione il loro segnale hanno terrorizzato il mondo portandone parte alla resa. E adesso si carica la dose con l'attacco di Lione, dopo l'attacco a Charlie Hebdo e dell'Hipercosher, dopo Ottawa, Gerusalemme, la maratona di Boston, il museo ebraico di Bruxelles e quello di Tolosa... e mille altri che rendono la mappa del mondo una trina di sangue. Fa quasi pena sentire François Hollande che dice «ce la faremo». Ma è così che deve dire il leader di una nazione di fronte all'ennesimo attacco ai suoi cittadini? Churchill non si vergognava di odiare i tedeschi, non si tratteneva quando si trattava di minacciarli con un ruggito. Quando si dice solo «ce la faremo» si indice un senso di incertezza. Del resto ha una sua logica il fatto che non ci si sappia spiegare cosa sia questo maledetto terrorismo per il quale l'Onu, intimidita come al solito, non trova una definizione condivisa. Chi può darsi una ragione del fatto che ci sia chi vuole uccidere mamme e bambini al giardino, amici al bar, scolari sull'autobus? Chi può pensare che non si tratti di pazzi «random», casuali, come li vede Obama, e che invece vadano pensati come un esercito, per di più un esercito religioso e deciso a terrorizzarci per metterci in fuga o combatterci fino alla morte? La loro strategia vuole prima di tutto unificare il Medio Oriente e poi conquistare il mondo ed è razionale, ha le sue buone ragioni, è motivato e preciso, i grandi attacchi, da quello sciita di Buenos Aires nel 1994 a quello sunnita delle Twin Towers hanno sempre dietro un preciso piano, una forza organizzativa, una quantità di denaro. L'Isis oggi, secondo Forbes, ha un budget fra i due e i tre miliardi l'anno, Hamas di un miliardo, le Farc 600 milioni, gli hezbollah 400 milioni... Loro li investono in un piano, noi non ne abbiamo alcuno per batterli.
La Stampa-Maurizio Molinari: "La grande offensiva dell'Isis, trasformare il Ramadan nell'inferno degli infedeli"
Maurizio Molinari
Attacchi, terrore e kamikaze dal Maghreb al Corno d’Africa, dal Golfo all’Europa: inizia Ramadan e la galassia jihadista mantiene la promessa di trasformarlo in una «calamità per gli infedeli» come il portavoce del Califfo aveva preannunciato 96 ore fa. Piano di battaglia «Mi appello ai musulmani affinché trasformino il mese sacro di Ramadan in una devastazione per infedeli, sciiti e apostati». È Abu Muhammad al-Adnani, portavoce del Califfo dello Stato Islamico (Isis) Abu Bakr al-Baghdadi, a diffondere online nella giornata di martedì un audio di 28 minuti con l’invito a lanciare attacchi. Il linguaggio di al-Adnani somma riferimenti coranici e un’impostazione militare che disegna il campo di battaglia. «I musulmani devono essere pronti a conquistare ed a scegliere il martirio» afferma il fedelissimo del Califfo, rivolgendosi ai «sunniti in Giordania, Libano ed Arabia Saudita affinché si sollevino contro i tiranni» e «combattano contro gli oppressori sciiti in Iraq e Siria». È una maniera per incitare su due fronti: estensione degli attacchi a nuovi Paesi e maggiori violenze sui fronti già aperti. Per incoraggiare a colpire al-Adnani parla dei «sunniti uniti dietro ai jihadisti» e, in uno sfoggio di forza, minaccia il presidente Usa Obama: «Non temiamo né lui né la coalizione, se ci attaccherà gli risponderemo». Il mese delle stragi Il messaggio di Isis evoca il discorso di guerra sul Ramadan 2005 di Abu Musab Al-Zarqawi, allora leader di Al Qaeda in Iraq, l’ispiratore del Califfo. In quell’occasione l’appello a «uccidere chi crede negli idoli» innescò uno dei mesi più sanguinosi, obbligando l’esercito Usa a prendere sul serio lo scenario della guerra civile. Il nono mese del calendario lunare islamico - durante il quale i musulmani credono che il Corano venne rivelato a Maometto - era stato già sfruttato negli Anni Novanta come «mese della guerra» dai gruppi algerini e indonesiani. Al Qaeda lo aveva usato per attaccare il Parlamento indiano nel 2001, un hotel di turisti israeliani in Kenya nel 2002 e la Croce Rossa a Baghdad nel 2003. Come riassume il «Barnaba Fund» britannico «Ramadan è il periodo in cui i cristiani subiscono un aumento di attacchi nel mondo musulmano» perché gli estremisti lo usano per colpire. Senza contare che lo scorso anno,proprio alla vigilia di Ramadan, al-Baghdadi proclamò dalla moschea di Mosul la nascita del Califfato. È questa lettura violenta di Ramadan che probabilmente ha spinto il salafita francese Yassine Salhi a decapitare il proprio datore di lavoro, nei pressi di Lione, per poi lanciarsi con l’auto su una fabbrica chimica di un’azienda Usa, completando il blitz con l’affissione di due drappi jihadisti sui cancelli. I nuovi vulcani Quanto avvenuto sulla spiaggia tunisina di Sousse e nella moschea kuwaitiana di Imam Sadiq Mosque lascia intendere che i due «nuovi fronti» di attacco di Isis sono in questi Paesi. A cento giorni dalla strage al museo Bardo di Tunisi, l’uccisione di almeno 37 turisti nel resort mediterraneo implica un rafforzamento operativo: sparare con i kalashnikov sui bagnanti significa disporre di manovalanza addestrata ma soprattutto di registi intenzionati a demolire il Paese dei Gelsomini dall’interno. «Esplodete come vulcani sotto i nostri nemici» aveva auspicato alBaghdadi in novembre e in Tunisia eseguire tale ordine significa far franare i due pilastri della nazione: il turismo come fonte di entrate economiche e il governo fra islamici moderati e nazionalisti come modello di coesistenza. Per i jihadisti, già all’offensiva in Libia, significa essere riusciti a creare un network di cellule dalla Cirenaica ad Hammamet. Corre lungo il Mediterraneo come in Mesopotamia lungo i fiumi. Non si può però escludere che la strage di Sousse abbia un coinvolgimento di Al Qaeda in Maghreb, il cui leader Mokhtar Belmokhtar, è di recente sfuggito ad un raid Usa in Libia e cerca una rapida rivincita. Kuwait, sfida agli sceicchi In Kuwait si tratta del primo attentato di Isis con un bilancio, ancora parziale, di 25 morti e 202 feriti, ed è avvenuto nei quartieri orientali della capitale con modalità simili ai recenti attacchi in Arabia Saudita: kamikaze contro moschee sciite nell’ora della preghiera. E’ la tattica di Al-Zarqawi contro gli sciiti in Iraq e, come dice il premier kuwaitiano Jaber al-Sabah, «minaccia l’unità nazionale». A rivendicare il blitz sono i jihadisti del «Wilayat Najd», fedeli a Isis e già autori degli attentati sauditi, intenzionati a innescare anche qui la faida tribale sunniti-sciiti per delegittimare monarchi e sceicchi. Somalia, bliz degli Shabaab A Leego, a Nord-Ovest di Mogadiscio, gli Al-Shabaab somali mettono a segno un’operazione di tutto rispetto. L’obiettivo è una base della missione dell’Unione Africana gestita da circa 100 soldati del Burundi. I jihadisti si infiltrano nel perimetro e poi fanno fuoco, con mitra e lancia-granate, causando almeno 50 vittime. «È stato un attacco ben organizzato» ammette Mohammed Haji, ufficiale del contingente africano di 20.000 uomini. Il segno della vittoria jihadista è il drappo nero del Califfato - a cui gli AlShabaab hanno giurato fedeltà - issato sulla base. «Abbiamo preso tutte le loro armi» fa sapere Mohamed Abu Yahya, comandante Al-Shabaab, ripetendo lo schema di Isis in Iraq e Siria: svaligiare gli arsenali degli avversari per combatterli con le loro stesse armi. Massacro a Kobane Ramadan di sangue anche a Kobane, uno dei fronti aperti di guerra. Nel piccolo centro curdo ai confini con la Turchia i miliziani di Isis hanno ucciso 120 civili confermando l’intento di far leva sul terrore per riconquistarlo in fretta.
La Stampa-Maurizio Molinari: " Ma l'America questa volta è indifferente"
A rrivare a New York da Gerusalemme significa scoprire che l’America si sente lontana, estranea, alla guerra in atto contro l’Isis del Califfo al-Baghdadi, che si svolge nelmondo arabo e investe l’Europa. Nei diner di Midtown non si discute dei jihadisti, i radio talk show di Queens e Brooklyn non parlano di Isis, nelle stazioni della metro diTimes Square non ci sono in bella vista le squadre anti-terrorismo, nelle cene fra amici si discute dell’Internet super-veloce «5G» e di «Via» - la nuova application per il carsharing che fa concorrenza a Uber - eil riferimento più frequente alla guerra al terrorismo è l’orgoglio dilagante per la riapertura di Greenwich Street, l’ultimo lembo dell’ex Ground Zero riaperto al traffico.
N ella città che l’11 settembre 2001 venne attaccata da Al Qaeda innescando la risposta militare dell’Occidente contro i jihadisti di Osama bin Laden, i tagliateste del Califfo del terrore sono pressoché degli sconosciuti. Per chi viene dal Medio Oriente significa immergersi d’improvviso in un mondo freddo, distante, distratto. Se 14 anni fa New York era la frontiera più avanzata della risposta ai terroristi, ora è una lontanissima retrovia. Nella Hamra di Beirut il timore per l’arrivo dei jihadisti è incombente, nello shuk del Cairo la polizia ispeziona ogni sospetto - oggetto o persona - ad Amman le bandiere del Califfo si affacciano in periferia, a Gaza i leader di Hamas devono difendersi dalla competizione salafita, a Rabat si istruiscono imam anti-Isis e i soldati israeliani sono, sul Golan, a 30 metri dalle bandiere nere di Al-Nusra, emanazione di Al Qaeda. Ma nei think thank di New York prevale l’attenzione per le aggressioni strategiche di Vladimir Putin e gli interessi globali di Pechino, sui grandi media si discute svogliatamente di Hillary e Jeb Bush in vista del 2016, nei salotti di Central Park West il protagonista è il ceo di Alibaba, Jack Ma, che ha investito 23 milioni di dollari sulle montagne newyorkesi dell’Adirondacks, e i reporter arabi accreditati all’Onu chiedono notizie sui propri Paesi di provenienza come se si trattasse di un altro Pianeta. Quando ci si imbatte in analisti ed esperti di terrorismo che affrontano la questione del Califfo partendo dalla disputa sulla scrittura dell’acronimo «Isis o Isil» si tasta con mano la distanza siderale da un mondo distante meno di 10 ore di aereo dove tutti sanno che il nome dei barbari è «Daesh» e la discussione è su cosa fare: difendersi, sottomettersi o fuggire. Ciò che conta per i newyorkesi sono le polemiche sul sindaco Bill de Blasio, la rinascita di Roosevelt Island, i gioielli digitali e una nuova stagione di diritti dell’individuo, dalla legalizzazione delle nozze gay alla lotta senza quartiere ai residui del segregazionismo. Ecco perché l’America non sente proprio il conflitto con i jihadisti, a differenza non solo del Medio Oriente e del Maghreb dove è in corso ma anche dell’Europa, divenuta la nuova frontiera sulla guerra. Ciò che più impressiona è Times Square. Paragonandola a Piazza San Pietro, Trafalgar Square o Place de la Republique dà il segno di un rovesciamento della Storia rispetto all’11 settembre. Dopo l’attacco alle Torri Gemelle, per oltre dieci anni, il cuore di Manhattan è stato la cartina tornasole della difesa collettiva dal terrorismo: cartelli con avvisi «se vedi qualcosa, dì qualcosa», i super-poliziotti «Hercules» con speciali blindature, agenti ovunque e soprattutto i passanti, le persone comuni, protagoniste di un’allerta costante nell’intento di scorgere possibili minacce. Ora tutto ciò sembra archiviato, con il ritorno ad un’apparente normalità mentre è divenuto vero nelle piazze delle maggiori città europee, dove prevale allarme e timore per i jihadisti di Isis che operano, reclutano, si aggirano e progettano stragi efferate. Tali minacce restano vere anche per gli Stati Uniti, come i jihadisti del Minnesota dimostrano, ma è un tema per gruppi ristretti di super-esperti. Il risultato è un Occidente a parti invertite rispetto all’11 settembre: se contro Osama bin Laden era l’America a sentirsi in prima linea contro Al Qaeda, ora lo è l’Europa contro il Califfo. Nulla da sorprendersi dunque se Casa Bianca e Pentagono sono protagoniste di scelte oscillanti e contradditorie contro Isis: rappresentano ed esprimono un Paese che non percepisce la guerra. Tocca dunque ai leader europei assumersi la responsabilità di guidare l’Occidente in questa nuova fase di sfida ai jihadisti.
La Stampa-Domenico Quirico: " Il nostro mondo scricchiola"
Domenico Quirico
Apparentemente il mondo seguita nelle medesime abitudini, ma noi sappiamo che non è più vero. È passato in un anno un secolo. È arrivato l’evo nuovo, l’evo islamista e totalitario come mai nessun secolo, forse, arrivò tanto pieno di terribile avvenire. Il nostro mondo, quello a cui eravamo abituati, scricchiola sui cardini, sferragliano catene infrante, la terra intera si riempie di sibili che strisciano al suolo come serpi; e noi, pigri, rimastichiamo ancora il passato come se esistesse sempre, come il guscio di un seme di zucca ormai vuoto ma ancora saporito, tra i denti. Stupore di sentire la violenza e la strage così vicina. Non la conosciamo, non ci crediamo. N on la aspettiamo: eravamo così potenti…. Guardiamo senza il più piccolo cenno o movimento, come si guarda un fatto della natura. I soldati del Leviatano islamista, puntigliosi e malevoli, hanno colpito contemporaneamente, come accade sempre più spesso, accelerano i loro colpi, fiaccano il ferro delle corazze nemiche a martellate, si avvicinano al cuore, che giudicano infetto, della loro fede, l’Arabia con i suoi re i suoi sultani i petrodollari la corruzione. Lione, la tunisia, il Kuwait,: migliaia di chilometri separano questi luoghi, diversi gli assassini le modalità le vittime eppure unico è l’ordito. Il Jihad fa sembrare il mondo molto piccolo. Hanno riconquistato Kobane, tengono Siria Iraq Libia Sahel Sinai... Il medioevo, le invasioni barbariche, la sottomissioni dei popoli e delle nazioni possono sempre tornare nelle stesse forme. E così la prospettiva monotona e sanguinosa, di una storia di stragi, di leggi assolute, di purezze fanatiche e omicide. Il mondo è come tramortito. Stanchezza vecchiaia, rovina del mondo. Sembra impossibile che possa resuscitare. Nascita di religioni implacabili, trasmigrazione di popoli, tramonto di epoche, tutte le grandi crisi del passato potremmo comprenderle ora quasi le avessimo sofferte: perchè le abbiamo sofferte, le stiamo soffrendo con il Califfato. Siamo posteri e insieme contemporanei. Abbiamo veduto e vediamo, come mai accade in così breve giro di tempo, profezie e teorie divenire realtà, annunci incredibili avverarsi, minacce farsi sangue e dolore, avvertendo quasi il momento in cui si distaccano dall’immaginazione di coloro che le hanno concepite e diventano fatto. Dopo ogni incursione (ma quante sfuggono alla nostra percezione, ogni giorno, troppo lontani i luoghi, estranei alla nostra paura i morti?) è come dopo un bombardamento: ti prende la eccitazione di uscire per osservare con una specie di speranza se quella casa o quel monumento o quella bottega non esistono più; è come se le sbarre della prigione in cui siano chiusi e protetti finora cadessero una ad una. Non esiste opinione pubblica né in bene né in male. Basta al nostro desiderio di benessere non soffrire. Non si fa niente che richieda una tensione, come certe voci non arrivano all’ottava. Ci inganniamo con una bricconeria singolare, ridendo. Non si fa a chi è il più forte , ma a chi è il più fino…Dall’altra parte i vizi sono allo stato bruto perché appena usciti dal cuore umano. Loro, controllano le nostre reazioni, registrano, preparano nuovi colpi, esultano alla nostra assenza di atti e alla abbondanza di parole, che non costano niente e non producono niente. La guerra islamista è come un sogno cattivo in cui le persone più normali, il camionista di origini magrebine, il mujaheddin tunisino spuntato dal paese dei «moderati», dei «laicissimi», appaiono sotto i travestimenti più sospetti e terribili. Nella vicenda dello stato islamista nel vicino oriente e della sua strategia di aggressione globale noi facciamo tutto solo per far figura. Purché lo si creda. È come se quando si era ragazzi, fingersi sotto diversi travestimenti, atteggiamenti, ruoli. L’islam totalitario vuole rovesciare l’ordine attuale del mondo, investe quello che siamo, ci priva dello spazio (quanti sono i luoghi in cui non possiamo più andare) e occupa il nostro tempo, costringendoci a guardare, obbligatori voyeur dell’orrore. Come si apprezzano da quando tutto questo è iniziato le cose del mondo, le ore, la luce, i libri, gli incontri, la musica, e come ci si sente diventati di colpo piccoli e vani. Potremmo fonderci in collettività, di nuovo, ancora. Dopo anni di rancori meschini potremmo scoprire che abbiamo con il resto del nostro mondo la sofferenza e la paura in comune. Ma, in Europa e in America, tutto questo non vale. Nessuno credeva a quello che è accaduto. E sembra che sia accaduto per caso, per un errore di calcolo. Tutti giocano una parte; guerrieri con l’arma sempre al piede, e pacieri, che scommettono sui moderati, i buoni, i ragionanti. Bassezze parolaie diventano eroismi. Facciamo il conto dei caduti, come collezionisti maniaci. E alla fine ci troviamo invischiati in qualcosa di terribilmente serio. Il problema non è la forza, che ci resta ma inerte. È che abbiamo perduto di fronte a popoli assetati di profezie anche sanguinarie la facoltà di dire cose sublimi, quasi ispirate, gravide di significato. Una guerra, contro di noi, è cominciata, torbida, ma ci manca la convinzione di combatterla, viviamo già con il sentimento della sua inutilità
Libero-Carlo Panella: " La Tunisia è il posto più insicuro del Maghreb. Colpa delle purghe della Fratellanza Musulmana"
Carlo Panella
La Tunisia è un colabrodo, un Paese totalmente incapace di mettere in campo un minimo di difesadai terroristi.Pure,dopol’attentatoalmuseodelBardoilgovernodiTunisihaepuratotutti iveritici della Sicurezza e si è addirittura scusato per la palese, assurda, vergognosaincapacitàdimostratadagliagenti disorveglianzadi impedire l’ingresso dei terroristinell’edificio, ma addirittura di intervenire per impedire che portassero a terminesenzaalcunproblemala strage. Ma evidentemente, inuovi vertici della sicurezza tunisina sono incapaci come quelli che li hanno preceduti. La spiaggia di Susse cuorepulsantedel turismoinTunisia, era un obbiettivo che andava protetto, esattamente come sono protettedauomini armati le spiagge di Sharm El Sheikh e delle altre località egiziane di villeggiatura. Nulla.Gli attentatori di Susse sono comodamentearrivaticolgommone, hanno gettato bombe amano, hanno sventagliato i loromitra indisturbati - e per fare trentasette mortiedecinedi feriti civuolemolto, molto tempo - e i servizi di sicurezza sono arrivati troppo tardi. L’obbiettivo dei terroristi è stato perseguito in pieno con la morte dei «cristiani idolatri»e conil terrore che d’ora in poi terrá lontano dalla Tunisia sempre più turisti Questo, dopo che dopo l’attentato delmuseo delBardo si era già verificatauna flessionedel turismoeuropeodel20%. Unacatastrofeassolutaper la giàdisastrata economia tunisina. La ragione di questa straordinaria, ripetuta inefficienza dei tunisini a fronte del terrorismo è presto detta: dopo la «primavera dei Gelsomini »del 2011, il governo è stato retto per anni sostanzialmente dai Fratelli Musulmani di Ennhada. Un movimento più moderato dei Fratelli Musulmani egiziani ma pur sempre islamista e fondamentalista. Durante questo periodo, tutte le forze di sicurezza tunisine sono state epurate dei corrottidirigentidel regimediBenAli e a tutti i livelli, dal vertice alla base, il controllo è stato consegnato amilitanti o simpatizzanti della Fratellanza Musulmana. Da qui una straordinaria inefficienza- inlargapartequesteassunzionie promozioni sono state sfacciatamente clientelari e nepotiste - e soprattutto il posizionamento in funzioni chiave di un personale se non simpatizzante, quantomeno nondistante,dalpuntodivista ideologico e religioso, dalla piattaforma di fede dei terroristi.Di fatto, le forze di sicurezza della Tunisia sono sempre del tutto inadeguate al loro compito,mentre ilgoverno, in cui finalmente Ennhada ha visto radicalmente diminuire il suo peso, fatica a applicarequelle riforme economiche che «prosciughino l’acqua» ai terroristi in quelle miserrimezonemontagnose orientali in cui si sonoradicati, spessoprotetti da una parte della popolazione. Q uesto, inunodeipochipaesial mondo in cui lamiseria più nera è indubbiamente una motivazione seriaper la scelta jihadista.Sivedrà orase,a frontediquestoennesimo fiasco, il governo tunisino, magari con l’aiuto dell’Italia e della Francia, provvederà finalmente adotarsi i forze di sicurezza con un livello minimodidecenza.
Libero-Bat Ye'or: " Così Eurabia alleva nel suo ventre molle orde di lupi solitari"
Bat Ye'or
Gli orribili attentatidi ieri inTunisia, Kuwait e Francia sono nell’ordine del sistema jihadista inaugurato dall’Olp contro Israele e i cristiani libanesi.Mi meraviglio che i capi dei governi e le popolazioni europee si stupiscano. Non sono stati a scuola?Non conoscono la loro storia? Sono più di tredici secoli che esiste il jihadismo. La Sicilia e il Sud dell’Italia, la Penisola iberica (la Spagna e il Portogalo), il centro dell’Europa (Balcani, Bisanzio, laGrecia) sono stati conquistati dal jihadismo nello stesso modo che vediamo oggi. Gli europei non hanno esperti in grado di informarli sulle attuali dichiarazioni dei capi jihadisti, dei loro giuristi e teologi che ci spiegano e ci parlano del jihad? Chi ha messo l’Europa in questo stato quasi indifendibile? Chi ha dissimulato il terrorismo jihadista contro Israele,dicendo invece che Israele minacciava la pace delmondo? Come si puo lottare contro il jihadismo se le chiese e i governi lo finanziano contro Israele con millioni di euro?Non solo l’Unione Europea paga da trent’anni la campagna di odio jihadista contro Israele,ma l’ha giustificata moralmente. Amazzare i civili ebrei era giusto,delegitimarlinel loro Paese per sostenire il jihade rinforzarlo contro Israele era lavorare alla pace. Chi ha aperto tutte le frontiere per mischiare le popolazioni del Sud musulmano con quelle europee? Chi nonconosce la loro storia?Sono più di tredici secoli che esiste il jihadismo. Gli europei non hanno esperti in grado di informarli sulle attuali dichiarazioni dei capi jihadisti, dei loro giuristi e teologi che ci spiegano e ci parlano del jihad? Chi, per creare la civilizazione mediteranea euro-araba e creare la riconcilazzione cristiano-musulmana, ha creato una ideologia di bugie, di negazione della verità, di autismo fondata sulla sostituzione di Isrele con la Palestina, facendo dell’Europa un continente fragile, confuso e vulnerabile? Se il ministro degli Esteri francese Laurent Fabius continuerà a correre come una gallina senza testa per distruggere Israele, sperando così di proteggere la Francia dal jihadismo, non ci riuscirà. Non è in nostro potere di cambiare l’islam. Avremmo potuto farlo quarant’anni fa, aiutando i musulmani aperti alla modernità, che erano numerosi. Ma oggi, dopo deceni di servizi mercenari e vili al jihad,mi sembra impossibile. I musulmani che per ottant’anni hanno chiamato l' jihad contro gli israeliani, i cristiani ed altri, ora hanno il jihad in casa loro, e devono risolvere i loro problemi. Adesso è arrivato il tempo per gli europei di pensare a proteggersi.Il problema è sapere se i capi di Stato che sono responsabili di questa situazione, che l’hanno creata, possono trovare una strategia diversa. Che non sia quella di sostenere il jihad contro Israele e di lavorare per una più grande islamizzazione dell’Europa.
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