Riprendiamo da SETTE di oggi, 26/06/2015, a pag. 106, la recensione "Il palestinese e l'idealista: l'amore supera le barriere". Segue l'articolo di Stefano M. Torelli dal titolo "Il 'guercio' scomparso", a pag. 46.
Ecco gli articoli:
"Il palestinese e l'idealista: l'amore supera le barriere"
La recensione del libro "A piedi nudi, a cuore aperto" (DeAgostini editore) di Paola Zannoner fatta da Sette è vergognosa, come lo è senza dubbio il libro stesso. Serve, però, ad aprire gli occhi su come la propaganda anti-israeliana passi anche da opere di fantasia come i romanzi.
Fantasia che non manca all'autrice, se scrive che «i palestinesi da 70 anni vivono come schiavi nella loro terra».
In questo caso, la responsabilità va attribuita non solo all'autrice, ma anche a Sette che pubblicizza il libro e a DeAgostini che lo ha pubblicato.
Ecco la recensione:
La copertina e l'autrice Paola Zannoner
Da qualche tempo Rachele, 15 anni, che frequenta la seconda liceo a Roma, ha negli occhi e nel cuore un bellissimo ragazzo, uno skater che l'ha urtata per caso alla stazione e che con gran sorpresa ha ritrovato nell'auditorium della scuola, durante un incontro con un'esperta sul tema "Che cos'è l'ebraismo?". Sarà proprio il ragazzo, Taisir, un tipo tosto che fa il quarto anno, a movimentare l'incontro rivendicando anche la necessità che si parli dell'altro lato della medaglia, «i palestinesi che da 70 anni vivono come schiavi nella loro terra». Scatenando un putiferio. Taisir è figlio di rifugiati politici, vive poveramente con la famiglia in un modesto appartamento, in un edificio anonimo del quartiere arabo, all'estrema periferia della città, e a scuola non va in cerca di amicizie ed è circondato di mistero. Ma Rachele è risoluta e davvero innamorata. Sarà lei a cercarlo e a superarne la diffidenza, perché, nonostante la spavalderia, Taisir resta (e si sente) un emarginato: Rachele gli piace molto, ma è italiana, borghese... Tenerezza di sentimenti e risvolti sociali. Dai 13 anni in su.
"Il 'guercio' scomparso"
Stefano M. Torelli racconta la vicenda del terrorista libico Mokhtar Belmokhtar.
Il sottotitolo recita: "Un raid avrebbe ucciso Belmokhtar, primula rossa del terrore: la fine del 'vecchio' jihad?". Come si può definire un terrorista famoso "primula rossa del terrore", senza considerare che con queste parole si riabilita un terrorista islamico estremista?
Non sappiamo chi, a Sette, abbia scelto il sottotitolo, al quale fa eco il pessimo articolo di Torelli, che giunge a scrivere: "Forse il personaggio più mitologico di tutti i jihadisti della "vecchia generazione", circondato da un'aura di mistero che ne ha fatto per anni una leggenda".
Eccolo:
Stefano M. Torelli
Mokhtar Belmokhtar
II governo libico di Tobruk (quello riconosciuto dalla maggior parte della comunità internazionale, in quanto la Libia ha attualmente due governi che rivendicano la propria legittimità) ha annunciato la morte del jihadista Mokhtar Belmokhtar. Alcune fonti statunitensi hanno confermato la notizia, aggiungendo che sarebbe stato un bombardamento degli Stati Uniti a uccidere il terrorista che si trovava in Libia. Ai meno attenti potrebbe sembrare una notizia come tante, ma se confermata avrebbe una portata storica, densa di significati simbolici, ma anche strategici. Chi era Belmokhtar? Forse il personaggio più mitologico di tutti i jihadisti della "vecchia generazione", circondato da un'aura di mistero che ne ha fatto per anni una leggenda.
Algerino, Belmokhtar ha conosciuto il jihad giovanissimo, neanche ventenne, in Afghanistan contro i combattenti filosovietici nel 1991. Da quel la esperienza sarebbe tornato a casa senza un occhio, perso come conseguenza di un'esplosione accidentale mentre maneggiava dell'esplosivo. Cid gli ha valso il soprannome di "il guercio". Ma non è l'unico soprannome che gli è stato attribuito. Belmokhtar, infatti, era per tutti 'Mr. Marlboro", con evidente riferimento all'attività cui più di tutte è stato dedito tra gli anni Novanta e Duemila, una volta tornato in Algeria: il contrabbando. Di merci, ma anche di persone, dal momento che è stato anche sotto la sua guida che il gruppo affiliato di al-Qaeda in Algeria, al-Qaeda nel Maghreb islamico (Aqim), ha portato avanti la tattica dei sequestri di persona come mezzo di autofinanziamento.
E con lui il jihadismo si è unito alla criminalità. Un uomo dalle mille vite: solo negli ultimi due anni, è stato dichiarato ucciso più volte, ma puntualmente tornava a farsi vivo, con comunicati o, come accaduto in Niger (il suo raggio di azione spaziava per tutta l'area del Sahel) nel 2013, con attentati spettacolari. Come quello contro lo stabilimento di gas di In Amenas, in Algeria, a inizio 2013. In quel caso, a compiere l'attacco, in cui sarebbero rimaste uccise più di 60 persone tra cui decine di lavoratori stranieri, era stato il suo nuovo gruppo, i "firmatari con il sangue".
La sua natura ribelle e autonoma, infatti, lo aveva spinto a rompere con Aqim, anche se rimaneva in contatto con al-Zawahiri, attuale leader di al- Qaeda. Sfuggevole ma presente e attivo; odiato, ma anche seguito. Se fosse davvero morto (e il condizionale è d'obbligo), si tratterebbe di una parte del 'vecchio" jihadismo che scompare. L'ideologia radicale, però, rimane. Incarnata da una giovane generazione forse ancora più determinata, anche se sicuramente meno "sofisticata".
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