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Informazione Corretta Rassegna Stampa
15.06.2015 IC7 - Il commento di Fiona Diwan
Dal 7 al 13 giugno 2015

Testata: Informazione Corretta
Data: 15 giugno 2015
Pagina: 1
Autore: Fiona Diwan
Titolo: «IC7 - Il commento di Fiona Diwan»

IC7 - Il commento di Fiona Diwan
Dal 7 al 13 giugno 2015

Ogni occasione è buona per fare la predica a Israele. E ogni occasione è ancora migliore, per imbandire, come se nulla fosse, una doppia morale. Perché quando si parla di Israele, la doppia morale sembra non stupire nessuno. Dopo la questione della compagnia telefonica Orange - le cui scuse da parte dell’Amministratore delegato Richard a Netanyahu sono state fornite in questi giorni -, stavolta il caso coinvolge il gigante norvegese delle assicurazioni KLP Forvaltning - un portfolio di 70 miliardi di euro investiti in giro per il mondo e corteggiato da tutti -, che ha ritirato gli investimenti concessi a due società edili multinazionali, la messicana Cemex e la tedesca Heidelberg Cement, per lo sfruttamento e l’estrazione di risorse non rinnovabili nei Territori occupati da Israele, «un’attività questa che costituisce un’inaccettabile violazione di fondamentali regole etiche», hanno spiegato i norvegesi di KLP. A nulla sono servite le proteste e le spiegazioni di Cemex e Heidelberg: invano le multinazionali edili hanno spiegato a KLP come tutte le loro attività avvenissero nei termini di una totale correttezza sindacale e in assoluta legalità territoriale, visto che le cave e lo spazio geografico su cui stavano operando si trovano in Area C, una zona sotto il pieno controllo di Israele secondo quanto sancito bilateralmente negli accordi di Oslo, e non nei "Territori Occupati", come invece sottolineato da KLP.

La vicenda presenta un elemento decisamente nuovo. Siamo davanti al primo caso di boicottaggio “terziario”, un’insolita triangolazione, il disinvestimento indiretto che colpisce soggetti intermedi e non invece i prodotti Made in West Bank o direttamente aziende israeliane che operano nei Territori. Peccato, viene da dire, che la norvegese KLP, animata da un sacro fuoco moralizzatore («sfruttare risorse naturali nei Territori occupati costituisce un forte incentivo al prolungamento del conflitto», ha dichiarato Jeannett Bergan, capo del dipartimento investimenti di KLP, citata da Haaretz), ha trascurato di segnalare l’interessante lista dei Paesi con cui è in affari, Paesi tra cui compaiono alcune dittature tra le più liberticide del pianeta, Emirati Arabi, Dubai, Arabia Saudita, Uzbekistan… Paesi in cui i diritti sono carta straccia e la vita umana vale poco o nulla.

Siamo davanti, ancora una volta, alla doppia morale, alla dittatura del politicamente corretto? Sembrerebbe di sì. Ma dettata da cosa? Forse dal bisogno di fare bella figura con coloro che vorrebbero Israele cancellato dalla carta geografica? (La KLP ha forti interessi nei fondi di investimento arabi e nelle principali compagnie petrolifere mondiali).


Il Gay Pride di Tel Aviv

Passo a un argomento solo apparentemente lontano da quanto raccontato finora. Si sono appena spenti i riflettori sul Gay Pride Parade 2015 di Tel Aviv, 180 mila partecipanti di cui 30 mila stranieri hanno sfilato sulla tayelet (il lungo mare) e per le strade della città bianca: malgrado il sulfureo “pinkwashing debate“ dei giorni scorsi (Israele userebbe la difesa dei diritti dei gay per mascherare le sue violazioni dei diritti dei palestinesi?), e malgrado le immancabili invettive di coloro che gridavano alla Tel Aviv ormai ridotta peggio di Sodoma e Gomorra, malgrado tutto ciò non un disordine, non una protesta o violenza è avvenuta nelle sue strade. Non solo: il sindaco di Seattle, Ed Murray, con il suo sposo - coppia gay ospite d’onore -, hanno potuto sfilare accanto al trans Conchita Wurst per tutta la durata di un evento assolutamente unico, se solo lo visualizzassimo nel contesto geografico e politico in cui è avvenuto, ovvero il Medioriente.

Abituati a dare per scontate le libertà civili e di parola, anestetizzati dalle commodity garantiste dell’Occidente in cui viviamo, non ci rendiamo conto dell’eccezionalità della cosa, specie se contestualizzata nella porzione di mondo in cui avviene. Non c’è un solo paese, nella cintura geografica orizzontale che va dalla Birmania al Marocco e nella fascia verticale che va dall’Algeria fino al Botswana, in cui una sfilata del genere possa avvenire in santa pace e nel rispetto dei diritti di tutti. Non un solo Paese, ad eccezione di Israele - che di questa cintura geografica fa parte -.

Chissà se i dirigenti della norvegese KLP hanno dato un’occhiata ai filmati del Gay Pride di Tel Aviv. Chissà se la KLP ha seguito i dibattiti sul “pinkwashing”, quando la stessa società civile israeliana si è chiesta se dietro a tanto sbandieramento dei diritti gay non ci fosse una forma di cattiva coscienza. Chissà se la KLP si è mai accorta di quanto questo pubblico dibattito fosse in realtà la cartina di tornasole di una società vitale, critica, straordinariamente democratica e aperta.

Forse no. Il ricorso alle formule ricicciate e standardizzate del politicamente corretto, alla logica main stream dei due pesi e due misure, è certamente più semplice e comoda. Specie se business is business, specie se il partner in affari non gradisce che Israele sieda vicino a lui, al tavolo accanto, firmando il prossimo contratto.

Foto del profilo di Fiona Diwan
Fiona Diwan dirige il Bollettino della Comunità ebraica di Milano


http://www.informazionecorretta.it/main.php?sez=90

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