Riprendiamo da SETTE di oggi, 12/06/2015, a pag. 53, con il titolo "Il gas della discordia", il commento di Stefano M. Torelli.
Stefano M. Torelli si schiera oggi con la campagna antisemita di delegittimazione di Israele nota ormai con la sigla BDS.
Coloro che si schierano per la pace non possono non accogliere con favore la crescita delle relazioni economiche tra la Giordania e Israele. Chi invece predica la guerra, come in questo pezzo Torelli, sceglie l'odio cieco, l'assenza di relazioni di alcun tipo, il boicottaggio.
La scelta del giornalista, come si può leggere, in questo caso è chiara. Torelli giunge persino a proporre alla Giordania alternative a Israele per l'acquisto di gas naturale nei Paesi arabi.
Ma questa posizione è compatibile con SETTE ? e con il CORRIERE della SERA ?
Invitiamo i nostri lettori a porre la domanda a Pier Luigi Vercesi, direttore di SETTE sette@corriere.it
e a Luciano Fontana, direttore del CORRIERE della SERA lettere@corriere.it
Ecco l'articolo:
Stefano M. Torelli
BDS: il movimento razzista e antisemita che cerca di strangolare l'economia di Israele
Lo scorso 26 maggio una folla di manifestanti si è riunita davanti alla sede del parlamento giordano, ad Amman. A essere sotto accusa è il piano che il governo giordano starebbe mettendo a punto con quello israeliano per l'acquisto di gas naturale. Da un lato Israele, infatti, sta diventando un importantissimo produttore regionale di gas, date le recenti scoperte (che pure creano non poche tensioni diplomatiche con altri Paesi confinanti, tra cui Libano, Siria e Turchia) e vuole usare il gas anche come nuovo mezzo per avere influenza sul Medio Oriente; dall'altro lato la Giordania, che con Israele confina, ha storicamente bisogno di importare fonti energetiche, in quanto è dipendente dall'estero per il 97% del proprio fabbisogno interno. E, in più, le forniture che fino ad adesso arrivavano dall'Egitto tramite il gasdotto Arab Gas Pipeline sono costantemente messe a repentaglio dall'attività terroristica nel Sinai di gruppi legati allo Stato Islamico (IS), che più di una volta hanno attaccato i gasdotti presso la local ità egiziana di al-Arish, bloccando i flussi di trasferimento.
Il giacimento israeliano di gas naturale di Tamar
Le condizioni di mercato vedrebbero una convergenza perfetta tra domanda giordana e offerta israeliana, dunque. Ma, oltre le regole del mercato, c'è anche la politica. E così, un gruppo di 27 associazioni giordane hanno messo in moto una campagna di opposizione al piano giordano-israeliano, sotto lo slogan "il gas del nemico è occupazione", sottintendendo che Amman si renderebbe colpevole di favorire le politiche di occupazione di Israele nei Territori Palestinesi, tramite il denaro pagato per il gas. Denaro che, tra l'altro, non è poco: si parla di 15 miliardi di dollari per 15 anni, a partire dal 2020 (ma, secondo alcune fonti, anche già dal 2018).
Dove andranno questi soldi? Secondo le denunce degli oppositori al piano, più di 8 miliardi di dollari andranno direttamente nelle tasche del governo di Tel Aviv. Con l'aggravante, dicono, che Israele non ha mai avuto un governo così oltranzista e spostato a destra, dunque più ostile alla popolazione palestinese. Si potrebbe optare per tante alternative, dallo stesso Egitto al Qatar, dall'Iraq all'Algeria, tutti grandi produttori di gas arabi. Ma nessuna sembra essere più conveniente dell'opzione israeliana che, per di più, è appoggiata da Washington. Parte del Leviathan (il maggiore giacimento offshore israeliano) è infatti gestito dalla società di Houston Noble Energy, che entrerebbe nell'accordo. Con questi presupposti, quanto sarà efficace la protesta?
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