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L'Espresso Rassegna Stampa
12.06.2015 Basta menzogne su Israele! Gigi Riva scatenato contro lo Stato degli ebrei
Una summa della demonizzazione dell'unica democrazia del Medio Oriente

Testata: L'Espresso
Data: 12 giugno 2015
Pagina: 76
Autore: Gigi Riva
Titolo: «Per un pugno di terra della Bibbia»

Riprendiamo dall'ESPRESSO di oggi, 12/06/2015, a pag. 76-77, con il titolo "Per un pugno di terra della Bibbia", il commento di Gigi Riva.

Quello di Gigi Riva che riproduciamo di seguito è un articolo vergognoso, colmo dei peggiori (e più ricorrenti) stereotipi anti-israeliani.
La presenza in Giudea e Samaria dei "coloni" è innanzitutto considerato l'ostacolo principale per una pace con i palestinesi. E' una posizione palesemente falsa, come dimostra il fatto che il rifiuto cieco da parte palestinese di Israele è tale almeno dagli anni '20
La questione dei territori contesi è ovviamente discutibile, ma non dobbiamo dimenticare - come invece fa Riva - che se non ci fossero i militari israeliani a proteggere gli ebrei, questi verrebbero fatti a pezzi dai palestinesi in poche ore.
Riva prosegue scrivendo a ripetizione della "Cisgiordania occupata" e non si fa mancare neppure menzogne evidenti come quella che attribuisce agli ebrei il furto delle acque palestinesi: una falsità di chiara origine antisemita, dal momento che, come ben noto, l'acqua è simbolo della vita.
Per Riva i "coloni" sono opulenti perché derubano i poveri, negletti palestinesi. Persino discutendo la guerra mossa a Israele dal movimento antisemita BDS, Riva accoglie le rivendicazioni del movimento estremista e filo-terrorista.
Un pezzo esemplare di disinformazione e della sua matrice: L'ANTISEMITISMO.

Ecco l'articolo:


Gigi Riva


BASTA menzogne su Israele!

Si dice: i coloni. Ma nella parola troppo larga è impossibile racchiudere, con lo stesso significato, persone che arrivano dai quattro angoli della terra. E per approdare qui sono state spinte da motivazioni assai diverse, a priori. Solo conciliabili, a posteriori, nel comune desiderio di non abbandonare mai più luoghi dove non avrebbero diritto a stare, secondo le convenzioni internazionali degli uomini. E che però alcuni di loro rivendicano per un supposto diritto superiore in quanto emana direttamente da dio: uno con cui è impossibile giocarsela alla pari.

Basti ricordare cosa sosteneva Edoardo Recanati, evidente l'origine italiana, quando Ariel Sharon, prima di essere colpito dalla malattia, aveva ipotizzato, tra gli altri, lo sgombero di Tekoa, la sua colonia: «A Tekoa è nato e vissuto il profeta Amos. Disse: "Ritorneranno i figli di Israele nei loro confini per non essere più sradicati"». E Sharon era stato un loro campione prima di "scendere a patti coi terroristi", nella versione oltranzista, per aver progettato lo sgombero di 70 mila settler (coloni) dalla Cisgiordania e permettere così di avviare trattative per una pace che avesse come base la formula "due Stati per due popoli". Era il 2005, dieci anni fa, succedeva subito dopo il ritiro dagli insediamenti israeliani di Gaza (poco meno di 9mila persone).


Quello che insegna questo articolo: l'odio contro lo Stato ebraico

Arik il guerriero è morto, nel frattempo, e nessun politico ha più avuto il carisma e il coraggio per sfidare la potente lobby dei coloni in grado di condizionare le scelte della Knesset e sostenuta dalla frustrazione crescente di una popolazione ormai rassegnata a considerare la pace come un'ipotesi remota e lo status quo come la migliore opzione possibile: non a caso quella preferita dal premier Bibi Netanyahu, fresco di nuovo mandato. Nella Cisgiordania (per loro le bibliche Giudea e Samaria) occupata nel 1967, abitano adesso circa 500 mila ebrei, in 133 insediamenti e in cento "avamposti" (prefabbricati messi solitamente sulla sommità delle alture, illegali, questi, persino per le autorità israeliane). A cui andrebbero sommati, secondo i palestinesi, i 300 mila che hanno preso casa a Gerusalemme Est, la loro sognata, futuribile capitale.

Un numero in costante ascesa, soprattutto negli ultimi anni quando la legittimazione è arrivata da un governo che ha concesso molte licenze edilizie, al costo di inimicarsi la già diffidente amministrazione americana di Barack Obama. I coloni sono un ostacolo sulla strada degli accordi di pace perché la loro presenza mina la continuità territoriale dell'immaginato Stato palestinese, la rimozione almeno delle loro cittadine conficcate nel profondo del territorio "nemico" una precondizione indispensabile per qualsiasi seria trattativa. Se si moltiplicano è perché vogliono creare una situazione irreversibile: la strategia del fatto compiuto perseguita dai leader del movimento, anche nell'inconsapevolezza dei molti che cercavano solo un bel luogo dove stare.

I pionieri della colonizzazione avevano letto qualche passo della Bibbia e subìto il richiamo millenaristico di una missione religiosa di cui si sono sentiti investiti. Hanno lasciato le Americhe come l'Australia, per non dire dell'Europa, per trovare il loro posto nei sacri testi, godere di albe terse e tramonti infuocati come alle origini della civiltà. Hanno fatto fiorire lande desertiche, avviato imprese socialisteggianti, fondato asili e scuole condiviso il pane e il companatico, sfruttato la scarsa acqua (in gran parte togliendola ai palestinesi...). Maggioranze di sinistra come di destra li hanno assecondati al prezzo di costi esorbitanti per la collettività a causa dei molti uomini dell'esercito da impiegare nella loro protezione e delle agevolazioni fiscali concesse con generosità ai campioni di un ideale, se non condiviso, almeno ammirato.

Sono stati seguiti da compagni di avventura più prosaicamente attratti dai benefici, oltre che dalla possibilità di abitare in case spaziose, dentro uno scenario incontaminato, via dalla pazza folla di città caotiche. Non tutti fanatici o fanatizzati, dunque, come Ii descrive una pubblicistica semplificatrice. In parte riscattati, ora, anche dal libro dello scrittore di sinistra Assaf Gavron "Hagiva" (La collina) che ha vissuto nell'avamposto di Maalé Chermesh C per ambientare il romanzo. Non voleva accontentarsi, come ha raccontato a Susanna Nirenstein su "Repubblica", "di demonizzare i settler" e voleva capire "perché qualcuno decide di fare una scelta che ha delle ripercussioni dirette sulla mia vita, sulle possibilità di pace, sull'immagine del Paese". Ha trovato «persone affascinanti, certo controverse, ma con una passione interiore sconosciuta a molti».

Nelle colonie si lavora sodo, si crescono i figli, si guadagna bene. Si promuovono corsi di antiterrorismo con le sagome di palestinesi come bersaglio a beneficio dei residenti e dei turisti in visita. Nelle colonie si misura anche la distanza siderale con il prossimo. E il prossimo più prossimo sono i vicini palestinesi in condizioni di indigenza, costretti a guardare senza toccare quell'opulenza che può suonare sfacciata soprattutto se è il frutto di un'occupazione delle loro terre, dunque di un sopruso.

Non cambierà, almeno nel futuro prevedibile, se i settler oggi in Israele non sono messi in discussione, nessun altro Sharon all'orizzonte. E se nel governo godono della protezione della giovane e ultranazionalista ministro della Giustizia di "Focolare ebraico" Ayelet Shaked, 39 anni, una bella signora, madre di due figli, sposata a un pilota di caccia, che vive a Tel Aviv ma è diventata la loro pasionaria. E ha bollato come «antisemitismo in abiti nuovi» la campagna denominata "Bds" (boicottaggio, disinvestimenti e sanzioni) contro la presenza israeliana nei Territori che sta prendendo piede nel mondo (clamorosa la volontà espressa dall'ad di Orange, la compagnia telefonica francese controllata al 25 per cento dallo Stato, di tagliare i legami col partner israeliano perché fornisce servizi in Cisgiordania: è in atto una crisi diplomatica con Parigi).

Ayelet Shaked ha proposto l'inasprimento di pene, fino a dieci anni, a chi scaglia pietre contro soldati israeliani o le auto dei coloni anche se non è provata l'intenzione di provocare danni. Mentre è stato sospeso (solo sospeso...), dopo le proteste e le accuse di apartheid, il provvedimento del suo collega della Difesa Moshe Yaalon che voleva impedire ai lavoratori palestinesi di viaggiare sugli stessi autobus dei coloni per «motivi di sicurezza». Si avranno anche molti vantaggi e sarà eccitante stare tra le pagine della Bibbia, ma è alto il prezzo da pagare. Soprattutto per gli altri.

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