Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 11/06/2015, a pag. 15, con il titolo "Ungheria, ritirate le accuse contro il gay italiano perseguitato", la cronaca di Tonia Mastrobuoni.
L'avanzata dei nazisti in Ungheria non si ferma, mettendo in atto persecuzioni inimmaginabili in un paese democratico occidentale. Il governo sembra sottovalutare - a volte persino incoraggiandola - la presenza di un forte partito che si dichiara apertamente nazista. Anche i media nostrani - tranne la Stampa, con gli articoli di Tonia Mastrobuoni - hanno ignorato questa vicenda.
Tonia Mastrobuoni Andrea Giuliano
La prospettiva di un rinvio è anzitutto un incubo per l’imputato. Da un anno Andrea Giuliano è vittima di persecuzioni da parte di attivisti di varie organizzazioni para-naziste. Da quando è apparso al Gay Pride di Budapest, l’estate scorsa, parodiando lo stemma di un noto club di motociclisti di estrema destra. Sui siti della destra radicale magiara sono apparsi l’indirizzo di casa e quello del lavoro del 33enne italiano e più di una volta si è ritrovato degli energumeni sotto casa. Ha traslocato tre volte, dormito da amici, vissuto per mesi nella paranoia di ritrovarsi davanti un estremista con una mazza o peggio.
Neonazista ungherese
Un ex parlamentare di Jobbik, Gyorgy Gyula Zagyva, è andato anche a cercarlo al lavoro e centinaia di omofobi scatenati hanno inondato i suoi capi con email di insulti. Guarda caso, Andrea quel lavoro lo ha perso. E non era un posto qualsiasi: la multinazionale americana Unisys. Forse uno degli aspetti più gravi della vicenda.
Poi c’è il capitolo processuale: il capo dei motociclisti, Sandor Jeszenszky, colmo della beffa, lo ha denunciato per diffamazione. Sono gli stessi, i motociclisti, sul cui sito era apparsa ad un certo punto una taglia di 10 mila dollari sulla sua testa, accompagnata da commenti tipo «frocio deviato», «sporco sionista» e auguri di morte. Mentre il processo di Andrea contro i suoi persecutori non è neanche iniziato.
Il processo
E ieri, per il processo surreale che vede imputato questo ragazzo italiano, si è stati a un passo dal rinvio. Siamo nell’aula sette del tribunale di Budapest. «Ci sono giornalisti italiani?», esordisce la giudice mentre scruta i banchi affollati dell’aula. Alzo la mano, titubante. Che c’entra col processo? Lei guarda l’avvocato, poi l’imputato. Prosegue in ungherese. Tutti balzano in piedi, un usciere mi indica la porta. L’interprete sussurra: «Vuole tentare un’altra conciliazione: stavolta c’è anche un interprete per Andrea». Fuori dall’aula sette del tribunale di Budapest, tante facce sorprese. Dentro, restano Andrea e il suo accusatore, Sandor Jeszenszky. Dopo pochi minuti il legale dell’italiano manda un sms e conferma i timori: si rischia il rinvio. Troppa attenzione mediatica? Chissà.
Dalma Dojcsak è attivista di Hclu, straordinaria organizzazione ungherese per la difesa dei diritti civili. È quella che sta assistendo Andrea. Sorride, ironica. Nel corridoio del tribunale di Budapest fa un caldo micidiale. Il cavillo della presenza dell’interprete, precisa, consente alla giudice di rinviare l’udienza per mancanza di tempo. Potrebbe essere persino dopo l’estate. Ci sono anche tre studenti italiani, Mirko, Matteo e Stefano; stanno girando un documentario su Andrea, anche loro scuotono la testa.
Il colpo di scena
Dopo un’ora abbondante di attesa, finalmente si aprono le porte. Esce Andrea. È tesissimo, si ferma a qualche passo dalla porta, i grandi occhi neri fissano un punto imprecisato a terra. L’interprete è accanto a lui, un po’ più in là si ferma il suo accusatore, il capo del club dei centauri estremisti. Quello che segue è un colpo di scena e un sollievo, ma è anche grottesco. Jeszenszky ha rinunciato alle sue accuse. Anzi, spiega che «non siamo mai stati omofobi» e che non ha minacciato Andrea, che non c’è mai stata una taglia sulla sua testa.
Fortunatamente l’italiano ha le prove che quella taglia era apparsa e che poi è stata rimossa dal sito. Ma anche lui è sollevato: un calvario è finito. Andrea conferma che c’è stato un accordo con il capo dei «Motociclisti dal sentimento nazionale» davanti al giudice per chiuderla qui, con una conciliazione di fatto. Indagheranno insieme – il gay e il suo accusatore paranazista – per capire quale malefica manina ha usurpato il sito di estrema destra per postare la taglia sulla sua testa. Lui è ancora troppo stanco per capirlo, continua a stringere le labbra. Ma li ha seppelliti con una risata.
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