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Corriere della Sera Sette Rassegna Stampa
08.06.2015 'La lettera a Hitler' del Giusto Armin Wegner
Gian Antonio Stella recensisce - con coraggio - il libro di Gabriele Nissim

Testata: Corriere della Sera Sette
Data: 08 giugno 2015
Pagina: 8
Autore: Gian Antonio Stella
Titolo: «L'eroe che si batté contro i genocidi del '900»

Riprendiamo da SETTE, con il titolo "L'eroe che si batté contro i genocidi del '900", la recensione di Gian Antonio Stella a "La lettera a Hitler" di gabriele Nissim.

Gian Antonio Stella ha dimostrato il proprio coraggio nel sensibile apprezzamento - cosa non facile - di un gesto in genere catalogabile fra i non meritevoli di citazione. E' così che si fa giornalismo vero, non sensazionale.


Gian Antonio Stella                      Gabriele Nissim


Armin Wegner                  La copertina

Gli eroi non sono perfetti. Anzi, proprio la fragilità umana, gli errori, i cedimenti, le tentazioni, perfino certe piccole viltà quotidiane esaltano i gesti di eroismo. E' facile affrontare un toro infuriato se sei Eracle, dotato di una forza immensa e figlio di Alcmena e di Zeus, il sovrano degli dei dell'Olimpo. È molto più difficile affrontarlo, magari per salvare una persona amata, se sei un uomo normale e il cuore ti batte all'impazzata perché sal di essere debole. Ed è Iì che viene fuori l'eroismo. Quello vero.

Lo dimostra il libro La lettera a Hitler che Gabriele Nissim, giornalista, scrittore, presidente di Gariwo, la foresta dei Giusti che ricerca in tutto il mondo i Giusti di tutti i genocidi, già autore del saggio L'uomo che fermò Hitler, ha dedicato a Armin Wegner. Il tedesco che salvò un pezzo dell'onore della Germania facendo conoscere in tutto il mondo, grazie alle sue fotografie scattate a rischio della vita, il genocidio degli armeni e che tentò poi di convincere Hitler a non sterminare gli ebrei scrivendo al Führer, appunto, una lettera straordinaria piena di coraggio e insieme di buon senso. Lettera che gli costò l'arresto, la prigione, il lager, la tortura, l'esilio in Italia.

Non era perfetto, Armin. Non era un eroe spavaldo, duro e puro. Era "solo" un uomo capace di gesti eroici. E ricostruendo la sua vicenda umana in una bella biografia che ha il merito di non essere agiografica, Nissim lo dimostra. Racconta ad esempio che quando Lola, la moglie ebrea, «si recò a trovare Armin a Positano nel 1937, nel suo ultimo tentativo di convincerlo a emigrare con lei in Palestina, rimase stupita per la vita spensierata che gli amici dello scrittore conducevano sulla Costiera amalfitana». E si chiese «se tutte quelle persone non si rendessero conto che, nonostante la bellezza del luogo, c'era un'altra Italia che stava governando il Paese in sintonia con Hitler: era l'Italia di Mussolini».

DEBOLE SOLO PER AMORE
Così era fatto Armin. E in altre condizioni storiche forse si sarebbe contentato di una tranquilla vita borghese insaporita da qualche avventura giovanile e qualche scorribanda amorosa. Ma quando la nuova compagna Irene Kowaliska, un'artista polacca di padre ebreo e madre calvinista che da anni viveva a Vietri sul Mare dove era diventata bravissima con la ceramica, si trovò alle prese con le leggi razziali fasciste, Armin non esitò. E nonostante le grane che aveva già avuto difendendo le minoranze, scrisse una lettera a Mussolini chiedendo aiuto per la ragazza.

Cominciava così: «Onorevole Maestro e "führer", il sottoscritto, uno scrittore tedesco e fedele amico dell'Italia fascista come pure della propria patria...» Parole che, oggi, possono far alzare il sopracciglio. Così come la descrizione dell'amica Irene: «Questa giovane artista ha solo una pecca, ha una minima goccia di sangue ebraico tra gli ascendenti di parte paterna...». Per dire della chiusa «Pieno di ammirazione per il grande "Führer" dell'Italia, le invio questa mia richiesta con grande onore e saluti tedeschi e italiani fascisti...».

Non era duro e puro? Sì, non era la lettera di un antifascista irriducibile e sprezzante del pericolo che se ne infischia arditamente della vita propria e della altrui. Era accorta fino a sembrare servile. E certo gli pesò scriverla. Riuscì però a salvare la vita alla ragazza, altrimenti destinata ad Auschwitz. E questo resta.

Avrebbe scritto un ventennio dopo dei suoi anni di esilio italiano sotto il fascismo: «Mi vedevo costretto sia in Italia sia nel mio ambiente tedesco a Padova a tacere la mia intima essenza e le mie convinzioni». È facile emettere giudizi settant'anni dopo. E chiedersi: è questo lo stesso uomo impavido che scrisse a Hitler? Sì. E la scelta di sottoporsi all'umiliazione di usare parole che gli dovevano sembrare nauseanti (e che sapeva avrebbero intaccato la sua immagine) pur di salvare la vita a Irene, conferma ciò che Armin era. Un uomo di coraggio. Un uomo giusto.

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sette@corriere.it

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