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La Stampa Rassegna Stampa
08.06.2015 Questo è l'islam: in Arabia Saudita confermati carcere e mille frustate al blogger Raif Badawi
Cronaca di Francesca Paci

Testata: La Stampa
Data: 08 giugno 2015
Pagina: 12
Autore: Francesca Paci
Titolo: «Carcere e mille frustate: l'Arabia non perdona il blogger - I tre bengalesi che difendevano scrittori laici e scienziati - L'attivista saudita incarcerata per aver violato il divieto di guida - Il vignettista esiliato da Assad per i suoi disegni dissacran»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 08/06/2015, a pag. 12, con il titolo "Carcere e mille frustate: l'Arabia non perdona il blogger"; gli articoli "I tre bengalesi che difendevano scrittori laici e scienziati", "L'attivista saudita incarcerata per aver violato il divieto di guida", "Il vignettista esiliato da Assad per i suoi disegni dissacranti".

L'Arabia Saudita è il Paese che avrebbe dovuto essere ospite al Salone del Libro di Torino il prossimo anno. Un Paese dove la libertà di espressione viene punita con il carcere e mille frustate e dove le donne che osano sfidare il divieto di guidare l'automobile vengono incarcerate. L'unico libro non censurato è il Corano, che non può essere discusso.

Ecco gli articoli:

Francesca Paci: "Carcere e mille frustate: l'Arabia non perdona il blogger"


Francesca Paci


Raif Badawi

Fino al 9 gennaio scorso pochi conoscevano il nome di Raif Badawi che pure tra il 2008 e il 2012 aveva affidato quotidianamente al sito Saudi Free Liberals Forum le sue riflessioni di volteriano arabo. Poi, poche ore dopo aver denunciato l’attentato alla redazione di Charlie Hebdo definendolo «codardo», Riad decise di procedere contro il blogger arrestato 3 anni prima per apostasia e partirono le prime 50 delle 1000 frustate disposte dal tribunale religioso (oltre a 10 anni di prigione e una multa da un milione di riyal). Adesso, indifferente alla mobilitazione internazionale lanciata nel frattempo da Amnesty International, la Corte Suprema conferma la sentenza: Raif Badawi dovrà inginocchiarsi di nuovo in mezzo alla folla di fedeli urlanti «Allah uakbar» per ricevere la seconda razione della pena riservata ai bestemmiatori di Dio e così via, ogni santo venerdì dell’islam, per 19 settimane.

«I versetti satanici»
Ma cosa ha scritto questo 31enne che nel regno campione mondiale di condanne a morte paga più degli assassini? Ricostruirlo ora che il blog è stato chiuso significa navigare sul Web tra i messaggi degli arabi tentati dall’ateismo al punto da rimpallarsi le considerazioni dei più temerari tra loro. In uno degli ultimi articoli postati poche settimane prima di essere arrestato il 17 giugno 2012 Raif Badawi ragiona dell’ostilità avvertita tra i connazionali: «Il liberalismo per me significa semplicemente vivere e lascia vivere (…) Ma l’Arabia Saudita che rivendica l’esclusivo monopolio della verità è riuscita a discreditarlo agli occhi del popolo». Poi, ancora: «Nessuna religione ha mai avuto alcuna connessione con il progresso civile dell’umanità. Non è colpa della religione ma del fatto che tutte le religioni rappresentano una precisa particolare relazione spirituale tra l’individuo e il Creatore». In queste ore in cui la gente si prepara allo spettacolo dell’empio frustato in piazza come ai tempi del rogo di Giordano Bruno, suo padre si è presentato in tv non per difenderlo ma per annunciare di volerlo diseredare.

I dissacratori
A scorrere i pensieri e le parole di Raif Badawi, che cita l’Albert Camus di «il solo modo di relazionarsi a un mondo non libero è essere così assolutamente libero di vivere la vita come ribellione», si scorge un mondo sconosciuto, quello degli scettici, dei contestatori, dei dissacratori musulmani, sparuti ma in crescita, descritti nel libro di Brian Whitaker «Arabs without God».

Ecco un pezzo del 2010: «Appena un pensatore inizia a rivelare le sue idee arrivano centinaia di fatwa che lo accusano di essere un infedele solo perché ha avuto il coraggio di discutere i temi sacri. Temo che i pensatori arabi emigreranno in cerca di aria fresca per sfuggire alla spada delle autorità religiose». E un altro, in favore della separazione tra religione e politica ma senza accusare il governo e le autorità di Mecca (cosa che Badawi non ha mai fatto): «Il secolarismo rispetta tutti e non offende nessuno. Il secolarismo (…) è la soluzione pratica per far uscire i paesi, compreso il nostro, dal terzo al primo mondo». Impossibile non ricordare queste ultime parole leggendo i suoi messaggi dal carcere pubblicati in Germania nel volume «1000. Lashes: Because I Say What I Think».

La famiglia in esilio
La moglie Ensaf Haider e i tre figli sono da tempo in esilio in Canada e Badawi dalla cella che condivide con gli assassini e i criminali di cui, dice, nella vita normale si era protetto chiudendo ogni sera a chiave la porta di casa, scrive: «Un giorno nel bagno imbrattato all’inverosimile ho scorto questa frase, tra le mille scritte oscene in tutti i dialetti arabi, “il secolarismo è la soluzione”. Ho gioito perché c’era almeno qualcuno in prigione capace di capirmi, qualcuno che potesse comprendere le ragioni per cui sono rinchiuso qui per la colpa di aver espresso la mia opinione». Vita pericolosa quella del blogger attivista del libero pensiero, combattente solitario e senza rete destinato a cadere soprattutto nei paesi in cui l’identità collettiva non è politica ma religiosa.

Nel blog di Raif Badawi si trova tutto il tormento dei giovani liberali arabi contemporanei. Il Dio indiscutibile per cui sconta una pena disumana ma anche la questione palestinese («Non sono in favore dell’occupazione israeliana di nessun paese arabo ma allo stesso tempo non voglio che Israele sia sostituito da uno stato religioso…Gli stati che sono basati sulla religione relegano i propri sudditi nel recinto di fede paura»), gli attentati dell’11 settembre 2001 alla luce della proposta di costruire una moschea nei pressi delle ex Torri Gemelle («Quello che mi ferisce di più come abitante dell’area che esporta questi terroristi… è l’audacia dei musulmani di New York che raggiungono i limiti dell’insolenza e non considerano il dolore delle famiglie delle vittime…»). Il suo nome era sconosciuto al mondo fino a 5 mesi fa, adesso tutti sanno e lui torna a piegare la schiena sotto i colpi della frusta.

 I tre bengalesi che difendevano scrittori laici e scienziati


Ananta Bijoy Das

Ananta Bijoy Das era un attivista e blogger bengalese che scriveva di scienza ed evoluzionismo per l’irriverente sito «Mukto-Mona» (Libera Mente), bestia nera di islamisti e hinduisti radicali in uno Stato in cui l’esistenza di Dio è inquestionabile. Ananta, dichiaratamente ateo, fingeva di non curarsi delle minacce. È stato assassinato a maggio a colpi di macete mentre andava al lavoro in una affollatissima strada di Sylhet, quarta città del Bangladesh: poche ore prima di essere ucciso da quattro uomini incappucciati aveva postato sul suo profilo Facebook l’ennesima intemerata in difesa di scrittori laici e scienziati. Ananta Bijoy Das è il terzo blogger ammazzato in Bangladesh negli ultimi mesi con modalità che la polizia ritiene «simili» (tutti orbitavano intorno al sito «Mukto-Mona»). Il 26 febbraio fu la volta di Avijit Roy, scrittore e ingegnere aggredito a morte a Dakka. Poi toccò a Washiqur Rahman, altro «volteriano» che prendeva di mira con la satira i fondamentalisti.

L'attivista saudita incarcerata per aver violato il divieto di guida


Loujiain Hathloul guida un'automobile: in Arabia Saudita per le donne è vietato

Tutti hanno più o meno sentito parlare della protesta delle automobiliste saudite irriducibili nel voler sfìdare un divieto, quello di guidare, che, quasi unico nel suo genere perfino nel mondo musulmano, non trova alcuna ragione religiosa al di là del conservatorismo paternalista del Golfo. Ma le proteste sono fatte da persone, uomini e donne. Come la 25enne di Riad Loujiain Hathloul che all’inizio dell’anno, non avendo la patente saudita ma avendone una degli Emirati, ha noleggiato un’auto ad Abu Dhabi e ha provato a rientrare in patria. Loujiain è laureata in letteratura francese, un anno fa era finita nel mirino delle autorità per essersi filmata a capo scoperto: sa cosa fa e cosa rischia. Arrivata alla frontiera ha cominciato ha twittare e postare video: la diretta del suo arresto dopo 24 ore di fermo e la confisca del passaporto. Le donne scese in strada e sedutesi dietro al volante in sostegno di Loujiain sono convinte che ogni volta che una come lei viene arrestata (e poi rilasciata) la serratura che blinda l’iper-ortodossa petrolmonarchia ceda un po’.

Il vignettista esiliato da Assad per i suoi disegni dissacranti


Una vignetta di Ali Ferzat

Classe 1951, Ali Ferzat è stato considerato a lungo la matita più spiritosa di Siria. Lo amava anche il presidente Assad prima che il più noto dei cartoonist siriani lo prendesse di mira. Ali Ferzat in realtà aveva sempre giocato pericolosamente con l’irriverenza, il giornale «al Ayyam» con il quale aveva iniziato a lavorare a 14 anni era stato chiuso a suo tempo dal partito Baath (quello di Assad), stessa sorte toccata poi ad «al Domari», magazine aperto da Ferzat nel 2000. Poi è arrivata la rivoluzione del 2011. Ali Ferzat in quel momento non è alla ribalta. Tuttavia, quando a Homs viene sgozzato il cantante Ibrahim Qashus, noto come l’usignolo della rivoluzione, il vignettista si schiera e denuncia la repressione. La risposta di Damasco è chiarissima: Ferzat viene bloccato nella capitale, picchiato duramente e si ritrova con tutte le dita delle mani spezzate. Dal Kuwait dove vive da allora Ali Ferzat continua a dissacrare e nei mesi scorsi ha disegnato in sostegno del settimanale francese Charlie Hebdo.

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