Riprendiamo dal GIORNALE di oggi, 06/06/2015, a pag.16, con il titolo "E' morto Tareq Aziz, il volto presentabile del regime di Saddam" il commento di Fiamma Nirenstein.
Fiamma Nirenstein
Era un tipo duro e tiglioso, e anche se era un cristiano caldeo, la sua fede era diventata un aggettivo giornalistico rispetto alla enorme devozione dedicata al suo capo, Saddam Hussein. Era molto ambizioso e capace di gesti terribili, anche se col sigaro e i baffi e i grandi occhiali sembrava Groucho Marx. Chi non se lo ricorda Tarek Aziz, il cui nome era una arabizzazione rispetto all’originario Mikhail Yuhanna, tracotante e impettito durante la guerra del Golfo fino alla resa che lui stesso dichiarò nel 2003, morto ieri in cella, all’età di 79 anni, per un attacco cardiaco.
Di fatto era da tempo sopravvissuto a sè stesso, erano ormai dodici anni che si trovava in carcere, condannato a morte per crimini contro l’umanità nel 2010, sette anni dopo essersi consegnato alle truppe statunitensi in seguito all’invasione americana e alla caduta del regime. Il presidente Jalal Talabani non aveva però mai firmato l’ordine di esecuzione, le proteste erano state parecchie, e il fatto che Aziz fosse cristiano aveva certo pesato: anche il Vaticano aveva dichiarato la sua contrarietà alla condanna. Semmai, era stato Aziz che si era rivolto al Papa nel 2013 perché i suoi carcerieri mettessero fine alle sue sofferenze di uomo ormai molto malato.
Aziz, quando Saddam era il primo di un mazzo di carte di 55 pezzi grossi da catturare era rappresentato come l’otto di picche, il numero 45, non così importante come invece probabilmente era. Era certo più sofisticato di tanti altri dell’intimo entourage del dittatore iracheno, sapeva bene l’inglese, si muoveva come una trottola con facilità fra una capitale e l’altra seminando la sua passione per il suo regime che oggi a volte si cerca di ripulire un poco per dare ragione a Obama, che ha sempre accusato Bush di aver compiuto un errore colossale con la guerra del Golfo.
Ma se Aziz amava presentarsi come colto e educato (e in effetti, figlio di un cameriere, aveva studiato letteratura inglese all’università di Baghdad e poi aveva intrapreso la carriera giornalistica) di fatto dal 1979 era la sorridente, gentile faccia dei crimini del regime terrorista di Saddam Hussein.
Ne diventò un pilastro da quando nel ’79 fu fatto vice primo ministro. Fu parte diligente, secondo «Indict» un’associazione che raccolse le prove dei crimini del regime, dell’omicidio dei capi del Baath, il suo stesso partito.
Li amazzava personalmente con un revolver da un metro di distanza. Nel 1987 si è reso parte dell’eccidio che ha riempito enormi fosse comuni di curdi e altre minoranze, anche col gas che fece la strage di Halabja in cui 5000 fra uomini donne e bambini furono trucidati. Nel 1990 mille forestieri furono trattenuti come ostaggi contro la coalizione che stava per attaccare. Fu Aziz a incontrare i negoziatori e a gestire la trattativa, dopo che avevano già sofferto violenza, minacce di esecuzione, fame e malattia.
Aziz girò tutto il mondo per convincere a non attaccare l’Irak, e questo faceva parte dei suoi compiti. Ma cantava convinto le lodi della brutale dittaura di Saddam, cosa che ha seguitato a fare. Si ricorda a Roma che durante una conferenza stampa rifiutò di rispondere, con odio antisemita che gli costo la cancellazione da parte del sindaco Veltroni del loro incontro, a un giornalista israeliano.
Aziz seguitava, mentre avanzavano su Baghdad le truppe americane a garantire la vittoria del regime di Saddam. Era stato abile, a suo tempo a procurare al suo Paese l’allenaza americana contro l’Iran contro cui combatteva una guerra assai sanguinosa. Ma tutta la sua duttilità, il suo garbo che l’aveva portato a ottenere l’aiuto di Reagan, si spezzò sul suo invincibile saddamismo, la sua più robusta religione fino all’ultimo.
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