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La Stampa Rassegna Stampa
04.06.2015 Turchia: Erdogan vuole un nuovo Califfato, tra pochi giorni le elezioni
Commento di Maurizio Molinari, cronaca di Marta Ottaviani, analisi di Roberto Toscano

Testata: La Stampa
Data: 04 giugno 2015
Pagina: 13
Autore: Maurizio Molinari - Marta Ottaviani - Roberto Toscano
Titolo: «I legami coi jihadisti per far cadere Assad - Nel giornale assediato da Erdogan: 'Ha perso la testa, non cederemo' - Un bivio storico per la Turchia»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 04/06/2015, a pag. 13, con il titolo "I legami coi jihadisti per far cadere Assad", il commento di Maurizio Molinari; a pag. 13, con il titolo "Nel giornale assediato da Erdogan: 'Ha perso la testa, non cederemo' ", la cronaca di Marta Ottaviani; a pag. 1-21, con il titolo "Un bivio storico per la Turchia", l'analisi di Roberto Toscano.

Ecco gli articoli:

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Dalla Turchia di Atatürk a quella islamista di Erdogan

Maurizio Molinari: "I legami coi jihadisti per far cadere Assad"

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Maurizio Molinari

Il video pubblicato da «Cumhuriyet» rende di pubblico dominio in Turchia il sospetto che circola da tempo in Occidente sulla scelta di Ankara di consentire l’arrivo di rifornimenti, armi e volontari ai ribelli islamisti siriani che si battono contro Bashar al Assad.

È un documentario tedesco di 7 minuti a sollevare, il 3 giugno del 2014, i primi sospetti sull’«invio di armi turche ai jihadisti in Siria» e venti giorni dopo Salih Muslim, co-presidente del partito curdo siriano Pyd, afferma che «Isis sui propri siti spiega come riceve armi e volontari attraverso la Turchia» a seguito di un patto siglato con Ankara in cambio della liberazione di 24 suoi cittadini sequestrati a Mosul. «Se supponiamo che il governo turco non sia al corrente di quanto sta avvenendo - aggiunge - perché Ankara non blocca i traffici?».
I resoconti dei reporter lungo la frontiera fra la Turchia e i territori siriani del Califfato si moltiplicano: non solo sul traffico di camion con merci di ogni genere ma sull’esportazione di greggio da parte di Isis, con un sistema di cisterne e tubi che sfrutta il territorio turco per vendere il petrolio estratto dai pozzi in mano ai jihadisti. Nell’ottobre seguente è Human Rights Watch a pubblicare un rapporto in cui si documenta come «molti volontari stranieri di Isis passano per la Turchia da dove portano in Siria armi, soldi e rifornimenti» per poi «tornare se hanno bisogno di trattamenti medici urgenti».

Come il Pakistan
Recep Tayyp Erdogan nega ogni sospetto, anche quando a sollevarli sono la Casa Bianca ed Europol. A esprimere il malessere della Nato è Thomas Hegghammer, voce di punta del Norvegian Defense Research Establishment di Oslo, secondo cui «la Turchia è per la Siria ciò che il Pakistan fu per l’Afghanistan negli Anni Novanta» ovvero le retrovie jihadiste. Quando la battaglia di Kobane infuria, Isis minaccia di schiacciare i curdi ed Erdogan non interviene tocca al vicepresidente Usa Joe Biden volare ad Ankara: le pressioni per ottenere un intervento di terra falliscono e Washington matura la convinzione che la Turchia abbia scelto di allearsi «anche con il Diavolo» pur di far cadere Assad.

I racconti Bbc sulle bandiere di Isis nei mercati di Istanbul e i resoconti di «Al-Ahram» sui jihadisti che «bevono tè e mangiano kebab in Turchia prima di tornare a combattere» aggiungono tasselli a un mosaico composto di notizie turche, come quelle di «Aydinlik» sui veterani delle forze speciali turche che addestrano Isis. Al summit di Parigi la coalizione anti-Isis si è, ancora una volta, impegnata a «far chiudere l’autostrada jihadista» attraverso la Turchia. Sperando farsi ascoltare da Ankara.

Marta Ottaviani: "Nel giornale assediato da Erdogan: 'Ha perso la testa, non cederemo' "

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Marta Ottaviani

Le minacce di Recep Tayyip Erdogan? Una risata le seppellirà. A tre giorni dal voto gli attacchi ai giornalisti da parte del Presidente della Repubblica diventano sempre più violenti, ma c’è una redazione che non ha intenzione di indietreggiare di un solo passo e affronta la situazione con coraggio e ironia, anche adesso che il suo direttore rischia l’ergastolo. «Cumhuriyet» ha pubblicato venerdì uno scoop su camion dei servizi segreti turchi carichi di armi per ribelli siriani. Con foto e video a documentarlo. La reazione del Presidente è stata furiosa. Ha accusato il direttore di spionaggio. Ha chiesto apertamente «l’ergastolo».

«Cumhuriyet» in Turchia è qualcosa più di un quotidiano, rappresenta un’istituzione. È il giornale dei laici, quello dove scrivono gli intellettuali più quotati, quello con la grafica più elegante. Un punto di riferimento per l’intellighenzia di quella Turchia kemalista e un po’ retrò, indebolita dall’ascesa di Erdogan, ma che oggi sembra determinata a riprendersi il suo ruolo nella vita civile. Cominciando a non chinare la testa.

Le e-mail di solidarietà
A Cumhuriyet si respira orgoglio e grinta a ogni piano, a partire dall’ingresso, dove, passate le rigide misure di sicurezza, ci si ritrova davanti alla prima copia del giornale, datata maggio 1924 e stampata ancora in ottomano. Il giornale ruota tutto attorno al suo direttore, Can Dundar, da sempre una delle firme più autorevoli del Paese e incorso nelle ire di Erdogan per avere pubblicato le prove di quello che si sospetta da tempo, ossia che i servizi segreti turchi passano armi e informazioni a gruppi jihadisti siriani anti Assad. A scandire i ritmi della giornata, c’è Ayçin, la segretaria di redazione. Un mastino, a cui obbediscono tutti e che mostra con orgoglio i fax e le mail di solidarietà che stanno arrivando da tutto il mondo. Gradino dopo gradino, accompagnati dallo scricchiolio del legno e le foto dei vecchi direttori, si arriva al cuore del giornale.

«Intanto il Galatasaray ha vinto lo scudetto, adesso per domenica aspettiamo un’altra bella notizia - esordisce con una battuta Murat Sabuncu, il più stretto collaboratore di Dundar -. Qui noi siamo tranquilli, nessuna paura. Credo che Erdogan abbia fatto un grosso errore ad attaccarci in questo modo. Lo sa benissimo che a Cumhuriyet siamo abituati alle sue minacce. La parola d’ordine è ottimismo e continuare a lavorare come stiamo facendo. Ce lo ha chiesto il direttore in persona e il giornale sta reagendo molto bene». Dietro di lui è un continuo squillare di telefoni, gente che entra ed esce dagli uffici e che si chiama da una scrivania all’altra. Alla televisione, Erdogan sta parlando a Bingol davanti a una folla oceanica di donne velate. Non manca qualche battutaccia sul Capo dello Stato fra giornalisti, che viene zittita con un altrettanto sarcastico «Zitto, altrimenti arriva l’ergastolo anche a te». Perché sul fatto che la decisione della magistratura abbia imprimatur politico, a Cumhuriyet, non nutre dubbi nessuno.

Attacco alle libertà
«Ci aspettavamo una mossa di questo genere - spiega Dogan Satmis, capo dell’ufficio centrale -. È una prova di forza da parte sua, ma gli andrà male. Il fatto che in pochi giorni le nostre copie siano aumentate significa che la gente ha capito e lo dimostrerà domenica». «Se glielo faranno dimostrare - gli fa eco Ceyda Karan, caporedattore degli esteri e di certo quella più preoccupata per la situazione -. La mia paura non è che un pazzo arrivi qui davanti con una pistola o con una bomba, ma la demonizzazione sistematica dei giornalisti. Anche da parte dei colleghi vicini a Erdogan. Tutti bravi a difendere a spada tratta Snowden e poi attaccano noi. In questi anni abbiamo toccato il punto più basso nella mancanza di libertà di stampa in Turchia».

Proibito avere paura
E poi, c’è lui, il direttore Dundar. Camicia bianca, sorriso e cellullare su cui continuano ad arrivare in modo compulsivo telefonate, messaggi e notifiche dai social network. E lui, con una calma quasi disarmante, trova il tempo per seguire tutti. Telefona agli inviati, si complimenta per il loro lavoro, dà istruzioni per i prossimi giorni. «Per colpa di Erdogan e degli avvocati non riesco più a parlare con i miei giornalisti - scherza -. Se c’è una cosa che ci sta insegnando questa vicenda è che siamo circondati da una grandissima solidarietà. Aver lavorato bene in questi anni ha pagato. Credo che il Presidente sia vittima di un delirio di onnipotenza e che abbia perso il suo fiuto politico, altrimenti non avrebbe mai commesso un errore del genere». E, alla domanda sulla paura, chiosa così: «Un giornalista in Turchia oggi non può permettersi di avere paura. Al contrario, questo, è il momento per tirare fuori tutto il nostro coraggio».

Roberto Toscano: "Un bivio storico per la Turchia"

 Nell'articolo che segue, Toscano scrive del governo di Erdogan come di una dittatura, e del Presidente-Califfo come di un politico che ha ormai "superato ogni limite", facendosi "campione del complottismo" con le sue affermazioni su una presunta "cospirazione mondiale contro la Turchia". Dichiarazioni messe in ridicolo dallo stesso Toscano, che pure in passato si è mostrato sostenitore della Turchia e della Fratellanza Musulmana, quando le scelte di Erdogan erano già chiare a tutti, tranne a lui, Tramballi, Romano e pochi altri. Finalmente apre gli occhi, e definisce la politica della Turchia di Erdogan un "allineamento con il jihadismo". Per informarsi in tempo, rivolgersi ad altri 'esperti'.

Ecco l'articolo:

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Roberto Toscano

La Turchia si avvicina alle elezioni politiche del 7 giugno in un clima di straordinaria tensione. Recep Tayyip Erdogan - eletto Presidente lo scorso anno - punta alla conquista da parte del suo partito, l’Akp, dei 300 seggi (su un totale di 550).
Un risultato che gli permetterebbe di indire un referendum per una revisione della Costituzione che introduca il passaggio dall’attuale sistema parlamentare ad un sistema presidenziale, un ulteriore passo avanti verso un regime sempre più dittatoriale nella sostanza, pur nell’apparente rispetto dei meccanismi elettorali di una democrazia.

Che la Turchia si trovi di fronte a una drammatica svolta e non a una normale ipotesi di modifica di forme istituzionali lo dimostra la violenza, tanto del linguaggio che delle azioni, di un uomo politico che sembra avere perso ogni controllo e superato ogni limite.

Due giorni fa l’avvocato di Erdogan ha presentato alla Procura una denuncia contro il Direttore del quotidiano Cumhuriyet, Can Dundar, chiedendo che venga condannato (a due ergastoli più 42 anni!) per avere trasmesso sulla rete televisiva del giornale un video, dello scorso gennaio, in cui si vedono agenti dei servizi turchi caricare armi su un camion destinato ai ribelli siriani. Erdogan aveva subito definito questo scoop giornalistico «una montatura» e «un atto di spionaggio»: una maldestra ammissione, dato che lo spionaggio, che per definizione rivela fatti reali che dovrebbero rimanere segreti, è l’opposto di una montatura.
Il fatto è che il Presidente turco sembra ormai ambire, in una regione dove impazzano le teorie cospirative, al titolo di campione assoluto del complottismo. Anche in questa circostanza, infatti, è tornato a denunciare le manovre della «organizzazione parallela», ovvero della rete di poteri occulti che sarebbe manovrata dagli Stati Uniti, dove risiede, da parte di Fethullah Gulen, suo ex alleato islamista e ora acerrimo nemico: per Erdogan, un sinistro e potentissimo «Grande Vecchio». Ma non basta. Infine, secondo Erdogan esisterebbe una cospirazione mondiale che mira «a dividere, disintegrare e fagocitare» la Turchia - una cospirazione di cui sono strumenti New York Times, Cnn e Bbc, che operano «seguendo le istruzioni di una mente suprema».

Sembrerebbe ridicolo se la situazione non fosse drammatica, e non solo per le sorti del popolo turco, che solo pochi anni fa si affacciava all’Unione Europea sulla base di una riconquistata democrazia e di uno straordinario sviluppo tanto economico quanto culturale. La deriva autoritaria interna si combina infatti con un’inquietante politica avventurista che ha portato la Turchia ad un allineamento non dichiarato, ma evidente, con il jihadismo più estremo. Fallito, soprattutto in Egitto, il progetto dei Fratelli Musulmani, che Ankara aveva fortemente ed apertamente appoggiato, il governo turco sembra non avere più remore nel sostenere le tendenze islamiste più radicali, un continuum (con il frequente passaggio di armi e combattenti) che va da Al Nusra, una «franchise» di Al Qaeda, allo Stato Islamico. Il ruolo della Turchia, assieme a quello dell’Arabia Saudita e dell’Iran, sarebbe essenziale per mettere fine all’atroce conflitto siriano e per isolare lo Stato Islamico, ma sembra che la politica di Erdogan si stia muovendo in tutt’altra direzione. Forse non esagera il leader del partito curdo Demirtaš quando sostiene che il Presidente turco aspira in realtà ad essere «il nuovo Califfo»: in altri termini, a stabilire un ruolo di egemonia «pan-sunnita» della Turchia sulla base di un modello politico autoritario islamista combinato con un’economia sviluppata. Un «modello turco» ben diverso da quello di cui tanti parlavano al tempo, che oggi ci sembra già molto lontano, di quella «Primavera araba» che aveva fatto sperare che potesse emergere una versione moderata, e compatibile con la democrazia, dell’islamismo politico.

Ma chi potrà fermare il disegno politico di Erdogan? I sondaggi fanno prevedere al massimo una flessione dei consensi del partito di governo, ma non una sua sconfitta. Il punto fondamentale, comunque, consiste nella possibilità o meno per Erdogan di fare approvare dal nuovo Parlamento il suo disegno di svolta costituzionale presidenzialista. A questo punto vale la pena cercare di capire quali siano le forze politiche che si oppongono all’Akp, e quali siano i loro limiti e le loro prospettive.
Il principale partito di opposizione, il Partito Repubblicano del Popolo - Chp, si presenta come un partito socialdemocratico e progressista, ma rappresenta nello stesso tempo i nostalgici del kemalismo e gli strati sociali più «occidentali» e urbani, ed ha difficoltà ad incidere sulla base di consenso popolare, tradizionalista nella religione e nei costumi, che ha permesso all’Akp di vincere ben tre elezioni parlamentari oltre a quella presidenziale.

L’unica possibilità di contrastare il disegno autoritario di Erdogan potrebbe essere la presenza in Parlamento - qualora riuscisse a superare l’alta soglia minima, il 10 per cento, fissata dalla attuale legge elettorale - dell’Hdp, il Partito Democratico del Popolo, un partito nato come curdo ma che ultimamente si presenta come partito nazionale, al punto che nei suoi ultimi comizi elettorali sono persino comparse bandiere turche. Una sua presenza in Parlamento potrebbe rendere impossibile il raggiungimento della soglia necessaria per l’approvazione della riforma presidenzialista, e addirittura - nel caso peraltro poco probabile di una forte flessione dell’Akp - permettere la formazione di una coalizione alternativa con il Chp.

Vale la pena di prestare molta attenzione alle elezioni turche di domenica prossima. Quello che è in gioco è il futuro stesso di un grande ed importante Paese, e nello stesso tempo gli equilibri di una regione che sprofonda sempre più drammaticamente nella violenza e nella frammentazione territoriale. Una regione che avrebbe bisogno di poter contare sul ruolo di moderazione svolto da una Turchia stabile, prospera, democratica.

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