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L'Osservatore Romano Rassegna Stampa
02.06.2015 Il doppio standard del quotidiano della S.Sede
Favorire, omettendo, l'Anp. Danneggiare, censurando, Israele

Testata: L'Osservatore Romano
Data: 02 giugno 2015
Pagina: 1
Autore: La Redazione
Titolo: «Prove di dialogo fra israeliani e palestinesi»

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Riprendiamo dall' OSSERVATORE ROMANO di oggi, 02/06/2015, a pag.1, con il titolo " Prove di dialogo fra israeliani e palestinesi" un redazionale che riconferma il doppio standard del quotidiano ufficiale  della S.Sede.
Sotto l'apparenza di riportare le posizioni di israeliani e palestinesi, di Netanyahu viene riferita soltanto la dichiarazione sulla FIFA, che nulla ha a che vedere con il mancato proseguimento dei colloqui.
Invece di riportare le richieste dell'ANP -tutte inaccettabili da qualsiasi governo israeliano non suicida- l'OSSERVATORE ROMANO attribuisce responsabilità e colpe al nuovo governo Netanyahu, in quanto "di destra". Un modo mascherato per non dire come stanno veramente le cose. Non riferire correttamente le pretese dell'ANP e censurare le posizioni israeliane.
Ci chiediamo con quale coraggio -o facciatosta- la S.Sede intenda il dialogo con Israele. La domanda è retorica, ovviamente.

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Dallo Statuto di Hamas: perchè l'Osservatore Romano non lo cita mai ?

«L'unica via sono trattative dirette e credo che la soluzione sia due Stati per due popoli». Con queste parole, ieri, il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, ha cercato di rilanciare le possibilità del dialogo in Vicino oriente. Nonostante il processo negoziale sia fermo ormai da più di due anni.
«Mentre noi allentiamo le restrizioni i palestinesi hanno provato a delegittimarci con la Fifa» ha detto Netanyahu, facendo riferimento alla richiesta avanzata dalla delegazione palestinese al recente congresso di Zurigo di sospendere Israele dall'organizzazione mondiale di calcio.
Per Netanyahu, occorre «mandare un messaggio chiaro ai palestinesi: fermate queste campagne e tornate ai negoziati senza precondizioni».
Nonostante i molti tentativi dell'Amministrazione Obama di rilanciare il processo di pace, le trattative tra israeliani e palestinesi stentano a ripartire, soprattutto a livello diretto.
Tali difficoltà sono emerse anche durante le ultime elezioni israeliane, lo scorso 17 marzo, dalle quali è uscito un Governo retto dall'alleanza tra il Likud di Netanyahu e i partiti di estrema destra legati al movimento dei coloni.
I palestinesi hanno fortemente criticato l'Esecutivo e sottolineato che precondizione fondamentale della ripresa del dialogo è il completo stop a tutti i progetti edilizi israeliani in Cisgiordania e a Gerusalemme est. E di certo contribuiscono a far crescere la tensione i recenti scambi di fuoco al confine con la Striscia di Gaza.
Un nuovo appello al dialogo, intanto, era giunto due giorni fa dal presidente israeliano, Reuven Rivlin. «Non c'è bisogno di farci pressione: è chiaro per noi il bisogno di ricostruire Gaza e di rinnovare negoziati diretti» aveva detto il capo dello Stato. «La paura rischia di schiacciarci, semplicemente perché oggi è purtroppo più palpabile della speranza. La vera tragedia è che ebrei e arabi sono in conflitto per la stessa porzione di territorio. Dovremmo dire onestamente — secondo il presidente Rivlin — che «il conflitto è tra di noi, oltre che tra lo Stato di Israele e i nostri vicini palestinesi. Tale conflitto è presente anche fra i cittadini arabi ed ebrei di Israele.

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ornet@ossrom.va

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