Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 31/05/2015, a pag.17, con il titolo " La sfida del sultano Erdogan 'L'islam segua la mia Turchia' ", l'analisi di Marta Ottaviani.
Marta Ottaviani Erdogan, califfo
Un Presidente che si gioca il tutto e per tutto, un leader che ormai non si accontenta più della dimensione nazionale, ma che vuole assurgere a guida politica dell’Islam sunnita. È questo il messaggio di Recep Tayyip Erdogan non solo ai suoi oppositori politici, ma a tutto il Medio Oriente e per diffonderlo, il Capo di Stato ha scelto, cambiandole giorno, la più significativa delle ricorrenze: la Caduta di Costantinopoli, chiesta in prestito alla Storia e trasformata a uso e consumo della propaganda del Presidente, anche per oscurare il comizio in contemporanea del candidato curdo Selahattin Demirtas, al momento il competitor più temibile.
L’organizzazione
Una manifestazione a meta fra l’evento nazionale e il comizio politico, con le Stelle turche, le frecce tricolori, che hanno intrattenuto i partecipanti per mezz’ora, acqua e viveri distribuiti gratuitamente e migliaia di persone provenienti da fuori la Turchia, soprattutto dalla Siria, appartenenti a gruppi giovanili, ong, associazioni, tutti con un denominatore unico: la venerazione per il leader turco. «Come scout siriani siamo qui circa in 200 – spiega a La Stampa Lubna, capo scout di Daara -. Quando ci è arrivato il suo invito non ci potevamo credere. Erdogan è il nostro punto di riferimento, il nostro Salvatore. Se la Siria oggi ha una speranza è solo grazie a lui». Il doppio gioco con Isis, le polemiche sulla scarsa sicurezza del confine turco, per loro sembrano non esistere. «La guerra è guerra – commenta Saad, che viene direttamente da Damasco -. Erdogan se ha appoggiato determinate fazioni lo ha fatto perché ha capito che i musulmani sunniti sono in pericolo, che è arrivato il momento di unirci».
Folla oceanica
Il Presidente non ha lasciato nulla al caso. A disposizione dei partecipanti, oltre un milione, c’erano acqua e viveri gratuiti, sale da preghiera e fuochi d’artificio alla fine. E il suo popolo lo ha atteso con la consueta fedeltà, pronto a farsi ispirare ancora una volta dalle sue parole: «Siamo l’unica alternativa per la stabilità del Paese», ha dichiarato. «Lui è il nostro Fatih (in turco, Conquistatore ndr) – spiega Fatma, che si fa un selfie mentre appunta sul chador una fascetta con il nome di Erdogan -. Lui ha fatto tanto non solo per noi, ma anche per i musulmani del Mediterraneo, per questo tutti lo amano». «È un grande uomo – le fa eco Tuncay, che studia ingegneria e che era poco più che adolescente quando Erdogan ha preso il potere -. Prima la Turchia era in balia delle decisioni degli americani. Oggi Obama prima di agire deve parlare con noi. Qui è arrivato il benessere, siamo rispettati». Dell’economia che inizia a traballare, la corruzione che ha investito l’Akp, il Partito di Erdogan, le armi ai gruppi jihadisti siriani, non vogliono nemmeno sentire parlare.
La retorica
Un misto di dietrologia, orgoglio nazionale e populismo nel quale Erdogan può solo sguazzare e anche ieri non ha deluso. Incurante del fatto che, secondo la Costituzione, in campagna elettorale non potrebbe prendere posizione, ha arringato il suo popolo per quasi un’ora. «Noi siamo la nuova Turchia – ha detto – e a noi guarda tutto il Medio Oriente». Un discorso carico di retorica e di messaggi rivolti agli elettori ma anche alla vecchia Turchia, quella laica di Mustafa Kemal Atatürk.
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