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La Stampa Rassegna Stampa
30.05.2015 Soldi dall'Iran, milizie di Hezbollah, sostegno da Putin. Così Assad prepara l'offensiva
Commento di Maurizio Molinari

Testata: La Stampa
Data: 30 maggio 2015
Pagina: 12
Autore: Maurizio Molinari
Titolo: «Soldi dall'Iran, milizie di Hezbollah. Così Assad prepara l'offensiva»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 30/05/2015, a pag.12, con il titolo " Soldi dall'Iran, milizie di Hezbollah. Così Assad prepara l'offensiva "il commento di Maurizio Molinari

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Assad con Ali Khamenei

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Assad con Putin

Assediato da sconfitte militari, con le avanguardie del Califfo a 70 km da Damasco e Al Qaeda che offre un patto all’Occidente sulle sue spoglie, Bashar Assad prepara il riscatto del regime: consolida con i dollari il controllo della Siria in suo possesso e prepara una controffensiva affidata alle milizie sciite.
I soldi di Teheran
Ciò che più conta per il raiss sono i dollari. La recente visita a Damasco di Ali Akbar Velayati, consigliere del Leader Supremo dell’Iran Ali Khamenei, ha coinciso con l’annuncio da parte di Hayan Salman, fidato consigliere economico, di una imminente «linea di credito da Teheran di 1 miliardo di dollari» visto che «i precedenti 3,6 miliardi sono quasi esauriti». Salman spiega che i nuovi fondi serviranno a «garantire il flusso di beni» ovvero greggio, elettricità e cibo per un regime che controlla oramai meno del 40% del territorio nazionale. Ma in realtà i crediti iraniani servono ad Assad per qualcosa di assai più importante: distribuire le «carte d’onore» ai famigliari dei soldati caduti per fargli avere cure e trasporti gratis; pagare bonus mensili da 20 dollari a impiegati e a pensionati; versare «riparazioni» ai fedelissimi che hanno avuto le case distrutte dai ribelli.
La strategia
Assad adopera fiumi di denaro per puntellare il consenso di ciò che resta del regime – dalla costa alawita ad Aleppo, da Damasco a Homs – perché è da queste famiglie che vengono i militari necessari per la strategia dell’«Esercito in ogni angolo». È stato lo stesso raiss a illustrarla, a inizio 2015, spiegando di voler mantenere contingenti in ogni «angolo estremo di territorio» perché, sebbene assediati, gli consentono di legittimarsi politicamente come alternativa all’avvento dei jihadisti, creando la premessa politica per il negoziato sul dopoguerra. Si tratta di truppe scelte: le unità della Guardia Repubblicana agli ordini del fratello Maher, le unità speciali «Forza Tigre» del colonnello Suheil Al Hassan e la brigata «Falchi del Deserto» di Ayman e Mohammed Jaber.
Il ruolo degli sciiti
Proteggere con dollari e fedelissimi ciò che resta della Siria del Baath - il partito-Stato ereditato nel 2000 dal padre Hafez - è un tutt’uno con la pianificazione della controffensiva, affidata alle milizie sciite. Quanto sta avvenendo in questi giorni, concordano fonti americane e arabe, è la «preparazione del contrattacco siriano» per impedire ai ribelli di imbottigliare Damasco: da Nord con le milizie islamiche dell’«Esercito della Conquista» a cui Al-Nusra appartiene, da Est con lo Stato Islamico (Isis) e da Sud con i filo-occidentali. L’indicatore di quanto sta avvenendo è il discorso con cui Hassan Nasrallah, leader di Hezbollah, ha detto che «perderemo se Assad cadrà». Il partito libanese Hezbollah ha almeno 5000 uomini in Siria, accelera il reclutamento di sciiti - anche giovani - e ha creato unità di volontari drusi e cristiani.
Gli armamenti
L’intento è di creare in fretta una poderosa fanteria d’assalto sul modello delle unità che espugnarono Qusayr, destinata ad affiancarsi alle milizie sciite - irachene, afghane e pachistane - che già contano 10-15 mila uomini. Il regista di questo mini-esercito sciita è Qassem Soleiman, il generale iraniano della Forza Al Quds dei Guardiani della risoluzione, che hanno mille uomini dentro la Siria. La somma fra aerei, tank, artiglieria, depositi di gas e truppe scelte di Assad con queste milizie sciite consente di avere le risorse per un controattacco. Il cui intento è di infliggere ai ribelli jihadisti uno smacco tale da esaltare il ruolo di Assad come anti-Califfo, restituendo fiato all’opzione politica per la fine della guerra, sostenuta dal più strategico alleato di Damasco: la Russia di Putin.

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