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Riprendiamo da SHALOM di maggio 2015, a pag. 21, con il titolo "Pugno di ferro contro Hamas", l'analisi di Angelo Pezzana.
Ai nostri media non sfugge mai una notizia di quanto viene sfornato dalla fonte palestinese, anche la più insignificante ottiene il diritto di stampa. Una regola che include anche un fairplay opposto, quello di fare sempre molta attenzione che per colpevole disattenzione non si pubblichino notizie che possono mettere in cattiva luce l’immagine sempre nitida e immacolata dei palestinesi, nel West Bank come a Gaza. In qualche modo deve entrarci, in veste di accusato, Israele, si troverà pur sempre un aggancio che si adatti alla sua chiamata in causa. Un esempio di questa particolare cautela si è verificato il 28 marzo scorso, una notizia di alto livello di interesse, di quelle che avrebbero meritato la piena pagina, magari corredata da interviste a esperti del mondo musulmano per avere la loro colta opinione. Abu Mazen, presidente dell'Autorità palestinese, alleato con Hamas di uno Stato che non esiste, ma che si comporta come se esistesse - siede in tutti i consessi internazionali, denuncia Israele per crimini contro l'umanità al Tribunale dell'Aja - è intervenuto al 26° summit della Lega Araba in Egitto a Sharm el-Sheikh, nel sud della Penisola del Sinai, e ha attaccato Hamas, suo partner di governo, chiedendo con toni sottili ma decisi che gli Stati arabi presenti dovrebbero organizzare una "military action" - traduciamo guerra? - contro la filiale dei Fratelli Musulmani a Gaza, cioè Hamas. Abu Mazen ha fatto riferimento alla coalizione guidata dall’Arabia Saudita e da altri Stati arabi per liberare lo Yemen dalla presenza delle forze sciite Houthi, sostenute dall’Iran.
Su Yediot Haharonot si leggeva la seguente dichiarazione di Abu Mazen: “Spero che i Paesi arabi seguiranno la stessa politica adottata in Yemen, come per altri paesi - Palestina, Siria, Libia e Iraq - teatro di guerre civili, con un colpo diretto contro Hamas a Gaza”. A sostegno di questa sua richiesta di intervento militare in “Palestina”, due giorni prima, il suo Consigliere per gli Affari religiosi islamici, Mahmoud Al-Habbash, il numero uno per quanto riguarda l’applicazione della Sharia nell’Anp, pronunciava parole simili. Anzi, usava l’espressione “pugno di ferro” per descrivere l’azione militare che doveva colpire Hamas. Non male, vero? per un governo di unità nazionale, che avrebbe dovuto rappresentare la base per il futuro Stato di Palestina, al confine con Israele. Dopo neanche un anno dalla firma, l'atmosfera fra i due alleati è tornata ad essere quella del 2007, quando Hamas eliminò anche fisicamente gli uomini di Abu Mazen a Gaza, gettandoli dagli ultimi piani dei grattacieli. Per non dire delle ultime elezioni amministrative nei territori amministrati dall'Anp in Giudea e Samaria, quando i candidati di Hamas raccolsero un consenso che preoccupò non poco lo stesso Abu Mazen.
Da Gaza, una reazione tesa a minimizzare. “Affermazione pericolosa, ma niente a che vedere con lo Stato di Palestina". Al Segretario Generale della Lega Araba, Nabil al-Arabi, è stato affidato, tempo un mese, il compito di coordinare i vari eserciti arabi della coalizione. Non è detto che il "pugno di ferro" auspicato dall'Anp rientrerà nei programmi della coalizione, si vedrà. Ma mai prima d'ora il rapporto Anp-Hamas era giunto a uno stadio di rottura così profondo. C'era la notizia? A noi sembra di sì. Le direzioni dei nostri media, che a loro spetta decidere ciò che merita di essere pubblicato, hanno deciso che non avrebbe avuto alcun interesse per il pubblico italiano. Quindi niet. Lo Stato di Palestina continua il viaggio verso il nulla, e la responsabilità di chi è? Di Israele, ovviamente. Per inviare la propria opinione a Shalom, cliccare sulla e-mail sottostante redazione@shalom.it |
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