E' possibile scardinare la potente Fratellanza musulmana? Il tentativo di El Sisi in Egitto
Analisi di Valentina Colombo
Hassan Al-Banna, fondatore della Fratellanza musulmana
Il 16 maggio l'ex presidente egiziano Mohamed Morsi e altri 106 Fratelli musulmani sono stati condannati a morte dal tribunale penale del Cairo. Come di prassi la sentenza è stata inoltrata al Gran Mufti d'Egitto, Shawqi Allam, per la convalida e quindi potrebbe, e sottolineo potrebbe, essere ancora annullata. Una decisione che non mancherà di segnare il futuro dell'Egitto: da un lato dovrà portare a una profonda riflessione profonda sulla modalità in cui il presidente El Sisi e il suo entourage stanno cercano di fronteggiare i Fratelli musulmani, dall'altro lato ha già scatenato la reazione della Fratellanza globale e vedrà nel breve termine scatenarsi contro l'Egitto una campagna sia delle principali organizzazioni internazionali per i diritti umani sia delle neonate organizzazioni per la libertà e i diritti umani legate al movimento fondato da Hasan al-Banna.
Mohammed Morsi
Se i giudici egiziani, così come il loro governo, con questa sentenza hanno voluto dimostrare la loro forza e determinazione nella lotta contro i Fratelli musulmani, di fatto hanno fatto comprendere al mondo intero la propria debolezza e incapacità a gestire l'anti-radicalizzazione del proprio paese.
Per meglio comprendere l'accaduto, è bene innanzitutto conoscere il motivo della condanna. In primo luogo non ha nulla a che fare con la gestione del potere durante la presidenza di Morsi. Bisogna risalire al 30 gennaio 2011 quando migliaia di incarcerati nel complesso del carcere di Wadi El Natrun, a nord del Cairo, furono protagonisti di una evasione di massa. Tra i fuggitivi Mohamed Morsi stesso e altri personaggi di spicco della Fratellanza che erano stati arrestati durante l'epoca di Mubarak. Quindi le principali accuse nei confronti degli imputati coinvolti nella sentenza del 16 maggio vanno dall'evasione alla complicità nella organizzazione di una fuga di massa dal “carcere degli estremisti islamici”.
Yusuf Qaradawi
Tra i condannati a morte figurano alcuni dei nomi di spicco della Fratellanza globale, quali Mohamed Morsi, l'ex Guida Suprema Mohamed Badie e il teologo di riferimento della Fratellanza Yusuf Qaradawi. Per la prima volta viene emessa una condanna a morte nei confronti dello shaykh di Al Jazeera che attualmente vive in Qatar. Già nel dicembre 2014 Qaradawi era stato inserito, su richiesta dell'Egitto, nell'elenco dei Red Alert dell'Interpol. Ora è accusato di avere fatto da tramite da tra la Fratellanza in carcere e il movimento globale, non solo viene altresì accusato di avere operato e favorito l'evasione grazie ai suoi rapporti con Hamas e Hezbollah.
Un nome meno noto, ma è l'unico nome femminile tra i condannati, è quello della ventisettenne Sondos Asem - figlia del leader della Fratellanza Asem Shalaby, assistente di Morsi durante la sua presidenza, una dei responsabili del sito ufficiale in inglese dei Fratelli musulmani Ikhwanweb. Sia Qaradawi sia la Asem sono condannati in absentia.
Il contesto e i dettagli appena forniti servono a meglio comprendere l'estrema importanza della decisione dei giudici cairoti che, non va dimenticato, hanno un conto aperto con Morsi che non appena nominato favorì l'insediamento di giudici vicini o membri della Fratellanza. Il susseguirsi delle condanne a morte emesse dai tribunali egiziani nei confronti dei membri dei Fratelli musulmani non fa altro che rafforzarli nel ruolo che a loro più si confà, quello delle vittime e dei martiri perseguitati da un “governo ingiusto e tiranno”, guidato dal “carnefice” - così come viene denominato El Sisi dalla Fratellanza.
L'opinione pubblica internazionale, ma soprattutto le istituzioni e i governi occidentali stentano a comprendere siffatto accanimento così come stentano a comprendere che i Fratelli musulmani siano un'organizzazione terroristica. Da questa semplice osservazione dovrebbe nascere una profonda riflessione in Egitto.
Nel momento in cui il sedicente Consiglio Rivoluzionario Egiziano (al-Majlis al-Thawri al-Masri), guidato dalla anglo-egiziana Maha Azzam, sta facendo il giro del mondo per guadagnare alleati che vogliano mettere al bando El Sisi, l'Egitto non può e non deve sbagliare. L'Egitto, che conosce meglio di tutti il movimento fondato da Hasan al-Banna, dovrebbe diventare un modello da seguire, dovrebbe spiegarne all'Europa e agli Stati Uniti la pericolosità. Tuttavia non può e non deve farlo con le condanne a morte, forse sarebbe meglio ricorrere all'ergastolo. Non può e non deve descriverli come organizzazione terroristica tout court, ma dovrebbe spiegare che possono rappresentare il terreno fertile per la radicalizzazione e la non integrazione, dovrebbe illustrare come le loro condanne del jihad si fermano nel momento in cui si tratta di resistenza, dovrebbe spiegare che chiunque creda e segua il pensiero di Hasan al-Banna non può essere considerato un referente dell'istituzioni perché ne farebbe un uso strumentale alla presa di potere.
Dal momento in cui è stata resa nota la sentenza hanno espresso la propria contrarietà e il proprio disappunto: Amnesty International, il premio Nobel per la Pace Tawakkul al-Karman (membro della Fratellanza yemenita), il predicatore Tareq Suwaidan (membro di spicco della Fratellanza kuwaitiana e spesso ospite del nostro paese). Il sito arabo ufficiale dei Fratelli musulmani Ikhwanonline ha sottolineato che la sentenza “nulla” nei confronti di Morsi ha scatenato “la rabbia del popolo” e che seguiranno “giorni neri”.
Abdel Fattah El Sisi
E' evidente che El Sisi non ha un compito semplice da svolgere, ciononostante dovrebbe avere la lucidità del giocatore di scacchi che vuole fare scacco matto. Ebbene se El Sisi vuole vincere non dovrà più fare mosse azzardate che possono solo rallentare e mettere a repentaglio il futuro dell'Egitto. Se vuole sconfiggere i Fratelli musulmani dovrà prosciugare il loro terreno fertile, dovrà riformare i curricula scolastici, dovrà migliorare le condizioni economiche della maggioranza degli egiziani, dovrà poi essere più aperto alle voci critiche nei riguardi del suo operato per fare sì che alcuni laici, come Ayman Nur, si alleino con gli attivisti del Consiglio Rivoluzionario.
El Sisi dovrebbe ben sapere che per sconfiggere la Fratellanza non basta sopprimerli, dovrebbe sapere che un movimento globale si sconfigge con la cooperazione con gli apparati di sicurezza a livello internazionale. Sopprimere Morsi, Badie e altri membri della Fratellanza non potrà fermare quest'ultima dall'agire in Occidente, in Turchia e altrove nel mondo dove i suoi membri in esilio e i nuovi adepti hanno diffuso la loro ideologia e dove hanno un progetto universale all'interno del quale l'Egitto ha ormai un valore più simbolico che effettivo. El Sisi e l’Egitto hanno la possibilità di fare capire al mondo intero che mentre è concentrato a combattere il sedicente Stato islamico e ogni altra espressione del jihadismo, si dimentica il viso apparentemente moderato dell’estremismo islamico, dimentica le radici ideologiche in cui affonda l’ideologia jihadista.
Il 27 maggio il sito della televisione satellitare Al Arabiya ha rivelato che l’attentatore suicida che si è fatto esplodere in una moschea sciita sul territorio saudita nel proprio account Twitter citava frequentemente Sayyid Qutb, l’ideologo principale dei Fratelli musulmani. Forse pochi ricordano che Ayman al Zawahiri è un fuoriuscito dei Fratelli musulmani, che Hamas è, come si legge all’articolo due del suo Statuto, la filiale palestinese della Fratellanza.
El Sisi dovrebbe semplicemente promuovere la traduzione annotata delle lettere di Hasan al-Banna e fare comprendere all’occidente che non esiste Fratello musulmano che non segua le sue parole. Allora si scoprirebbe che nella lettera ai giovani al-Banna scriveva: “Il nostro motto sarà sempre il seguente: Allah è il nostro fine, l’Inviato è la nostra guida, il Corano è la nostra costituzione, il jihad è la nostra via e la morte sulla via di Allah è la nostra somma speranza.”
Così come si scoprirebbe che la lettera del jihad esordisce affermando che “il jihad è un obbligo per tutti i musulmani”. Gli scritti di al Banna chiarirebbero altresì che la Fratellanza o si combatte a livello globale o non si combatte e sarebbero uno strumento molto più efficace delle condanne a morte.
Valentina Colombo