Riprendiamo dal GIORNALE di oggi, 28/05/2015, a pag. 24, con il titolo "L'Arabia come Israele? Per favore, non scherziamo", il commento di Alessandro Gnocchi; dalla STAMPA, a pag. 24, con il titolo "L'Arabia al Salone del Libro, ogni giorno un incidente", il commento di Emanuela Minucci.
Ecco gli articoli:
La schiavitù in Arabia Saudita oggi
IL GIORNALE - Alessandro Gnocchi: "L'Arabia come Israele? Per favore, non scherziamo"
Alessandro Gnocchi
A leggere i giornali, pare stia passando una idea davvero bizzarra. Questa: l'equivalenza tra la richiesta rivolta ai nuovi vertici del Salone del libro di Torino, Giovanna Milella e Giulia Cogoli, di ripensare all'Arabia Saudita come Paese ospite del 2016 e il boicottaggio di Israele, Paese ospite nel 2008. Si ripete la stessa storia, come scrivono alcuni quotidiani. No, un attimo. La protesta contro Israele fu un tentativo di tappare la bocca a un Paese democratico che al Salone del libro portava editori, scrittori e scrittrici di ogni orientamento politico. Furono invitati nomi noti e meno noti ai lettori italiani, da Aharon Appelfeld a Etgar Keret passando per Abraham B. Yehoshua.
Letterati capaci di coprire tutto il ventaglio di posizioni sulla questione medio-orientale, a cui si aggiungeva un corposo drappello di storici. Il boicottaggio orchestrato in quella occasione resta una delle pagine più imbarazzanti nella storia recente della cultura italiana. Vi parteciparono Gianni Vattimo, Giulietto Chiesa e un certo numero di professori universitari (Domenico Losurdo, ad esempio), sindacalisti (Giorgio Cremaschi), politici caduti nel dimenticatoio. Con l'appoggio esterno di Tariq Ramadan, riverito ospite di un convegno torinese sul tema a pochi giorni dalla manifestazione.
Furono pubblicati appelli minacciosi e addirittura un ultimatum alla direzione del Salone. In realtà, Israele fece quello che si deve fare a una manifestazione del genere. Portare libri, case editrici e autori nel rispetto del pluralismo. È lecito dubitare che l'Arabia Saudita faccia lo stesso, visto che si nutre di un solo libro, il Corano, e che per il resto il Paese è dotato di una censura perfettamente funzionante.
Tanto più che nel primo comunicato ufficiale, l'addetto culturale saudita dichiarava di voler far conoscere meglio agli italiani la Mecca e l'islam, senza quasi menzionare tutto il resto: letteratura, saggistica, editoria. Che nel contesto torinese non sono dettagli ma l'essenziale. Che facciamo, diamo una bella vetrina al Salone del libro a chi i libri li censura? La futura direzione è parsa scettica, l'invito potrebbe rientrare o l'Arabia Saudita potrebbe essere affiancata da un'altra nazione. Vedremo. Intanto, per favore, non veniteci a raccontare che stiamo vedendo lo stesso film del 2008.
LA STAMPA - Emanuela Minucci: "L'Arabia al Salone del Libro, ogni giorno un incidente"
Non bastava l’esclusione dal Salone del libro del prossimo anno, ventilata dalla neo presidente Giovanna Milella «perché in Arabia Saudita non si difendono i diritti civili cari all’Occidente». Ieri il caso diplomatico si è arricchito di un nuovo, imbarazzante capitolo. Una falsa bandiera saudita con insulti a Maometto e al Corano è apparsa sul portale del Consiglio comunale di Torino.
Le pubbliche scuse del Comune («Solo un errore, non è mai stata nostra intenzione recare offesa o mancare di rispetto al popolo dell’Arabia Saudita, alla comunità o alla religione islamica») e la rimozione dell’immagine dal sito ufficiale non hanno evitato una lettera indignata da parte dell’ambasciatore saudita a Roma, Rayed Khalid A. Krimly. In realtà si tratta della bandiera realizzata da Geert Wilders, politico olandese fondatore del Partito per la libertà, noto per le sue idee anti islamiche.
L’ambasciatore scrive che «è totalmente sconvolgente e inaccettabile che nel portale web della Città di Torino venga mostrata e indicata come autentica una bandiera contraffatta del Regno che contiene attacchi e insulti diretti all’Islam, al Sacro Corano e al Profeta Maometto contribuendo a fomentare l’odio, l’intolleranza e l’estremismo piuttosto che propugnare primari valori che sottendono l’idea ispiratrice del Salone del Libro di Torino».
Poi ne approfitta per esprimersi ufficialmente, dopo l’iniziale prudenza, anche sul possibile ritiro dell’invito al prossimo Salone come Paese ospite: «La partecipazione a un evento culturale non può essere viziata da un’interpretazione limitativa in senso eurocentrico, univoco e xenofobo. La promozione del dialogo e della cooperazione trova nella valorizzazione delle differenze il momento più nobile».
L’ultimo tagliente passaggio è destinato ad alimentare la polemica culturale: «Desta stupore constatare che quanti si ergono a promotori del liberalismo e del pluralismo stiano manifestando ostilità alla partecipazione di rappresentanti di altre culture in un evento di cultura internazionale».
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