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Viaggio a Lodz (Polonia) Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli
Cari amici, nei giorni scorsi sono stato per un congresso nella città polacca di Lodz, da cui viene una parte della mia famiglia. E' una città tutta ottocentesca, senza alcuna traccia del villaggio più antico da cui nacque il più importante centro industriale polacco: decisamente degradata, con molti edifici ottocenteschi assai rovinati, larghi spazi deurbanizzati dalla guerra e trasformati in parco, massicci casamenti dell'era comunista e pochi inserti postmoderni degli ultimi anni. Ne sono stato colpito non solo perché una parte della mia famiglia viene da qui, ma per un processo storico o demografico che mi ha molto dato da pensare. Dalla fondazione all'inizio dell'Ottocento fino al 1939, il 35 o il 40 per cento della popolazione di Lodz fu costantemente costituita da ebrei. Erano industriali, borghesi, operai, sottoproletari. Alcuni fra i pochissimi grandi ricchi della città erano ebrei e ancora oggi il principale museo della città occupa quel che fu il palazzo di uno di loro, ucciso poi dai nazisti. Ma le grandi masse impoverite che lavoravano nelle fabbriche tessili di Lodz erano anche nella maggior parte composte da ebrei immigrati dai villaggi della “zona di residenza” zarista. Qui era fortissimo il Bund, il movimento socialista di estrema sinistra che non aderì né al bolscevismo né al sionismo con l'illusione di mantenere un'identità ebraica e un progetto sociale egualitario nei paesi dell'Est europeo - illusione stroncata al più presto dai bolscevichi in Russia come dai nazionalisti e poi dai nazisti in Polonia. Al momento dell'invasione tedesca, nel 1939, gli ebrei a Lodz e dintorni erano circa 240 mila. Alcuni riuscirono a fuggire, ma quando i nazisti annessero la città al Reich la grande maggioranza di loro fu rinchiusa in un grande ghetto, il secondo d'Europa dopo quello di Varsavia. Un quinto della città fu trasformato in una gigantesca prigione isolata dal mondo, che per cinque anni funzionò anche come una gigantesca fabbrica. Tutto era piegato alla produttività dell'industria di guerra; la strategia del consiglio ebraico (Judenrat) che governava il ghetto, si adeguò alla violenta pressione dei nazisti, cercando almeno di rendersi indispensabile ai tedeschi per la produzione bellica, sperando con ciò di assicurarsi la sopravvivenza più a lungo possibile. Avvennero episodi terribili, come la razzia dei bambini che fu ordinata dai nazisti (ma eseguita da Rakosvki, discusso presidente dello Judenrat). Numerose furono le deportazioni di prigionieri del ghetto nei campi di sterminio; ma il ghetto non divenne mai esso stesso un campo di sterminio, anche se morti ed uccisioni non erano rare. Esso fu liquidato nel tardo 1944, quando i sovietici erano in arrivo, con la deportazione di quasi tutti i suoi prigionieri. Si calcola che alcune decine di migliaia di persone riuscirono a sopravvivere nascondendosi o lavorando ancora nei campi fino alla liberazione da parte dell'Armata Rossa, alcuni mesi dopo. Alla fine della guerra, circa un decimo degli ebrei che abitavano Lodz prima della Shoà ritornarono a Lodz, ma poi non riuscirono o non si vollero fermare in mezzo all'antisemitismo diffuso della popolazione e all'intolletranza comunista per il “sionismo”.
Oggi, su ottocentomila abitanti di Lodz, gli ebrei sono poche centinaia. Non c'è traccia esplicita della città ebraica, a parte un memoriale costruito intorno alla stazione ferroviaria che alimentava il ghetto con rifornimenti per l'industria e la popolazione traendone prodotti finiti e deportati da mandare a morte. C'è anche un notevole centro dedicato al “Dialogo”, finanziato dall'amministrazione della città, che ha il compito di conservare le memorie della Shoà (in questi giorni ospita una mostra sui messaggi diplomatici dedicati alla Notte dei Cristalli - impressionante per come era chiaro a tutti i governi il progetto di distruzione degli ebrei già nel '38 - e una su Jan Karski, l'esponente della Resistenza polacca che riuscì nel 1942 ad avvertire i governi occidentali e l'opinione pubblica americana del genocidio in atto, senza peraltro ottenere reazioni concrete. Ma l'anno prossimo progetta di impegnarsi in un progetto di lotta all'islamofobia.
La storia di Lodz non è solo terribilmente triste; è istruttiva perché mostra il destino dell'ebraismo europeo: come esso fu uno degli elementi determinanti nella costruzione della modernità del continente, come fu spazzato via dalle stragi naziste (ma anche dall'intolleranza alle differenze organizzate da parte del comunismo), come oggi resta oggetto di un ricordo museale che rischia di perdere ogni rilevanza politica. Il ramo di Lodz della mia famiglia, quindici anni prima dell'invasione nazista quando la Polonia era governata da movimenti autoritari e antisemiti, prese la strada dell'esodo, si fermò a Trieste per qualche anno e poi, subito dopo le leggi razziste del fascismo, riuscì ad arrivare a Haifa. Una doppia fuga che dice molto sul come l'Europa ha perso i propri ebrei. Allora i governi europei dicevano agli ebrei che erano degli stranieri asiatici che dovevano ritornare in Palestina. Oggi dicono loro che devono abbandonare i “territori occupati”, a costo di esporli tutti al terrorismo e di mettere in pericolo la sopravvivenza di Israele; ma certo non sono disposti a farli rientrare in Europa e diventare di nuovo, poniamo, il 40% della popolazione di Lodz. Sbagliati e non sopportati quando erano in Europa, altrettanto minacciati e oggetto di disapprovazione quando sono riusciti a costruire uno stato nel loro luogo d'origine. Comunque criminalizzati , boicottati, spinti ad andarsene, oggetto elettivo di una “giusta” pulizia etnica. Un doppio legame che tutti i benintenzionati pacifisti europei sembrano non comprendere. Credo che quando mi capiterà ancora di sentir parlare dell'iniziativa europea per la pace e del riconoscimento della Palestina - il che temo avverrà continuamente - non potrò impedirmi di rivedere nella mente il memoriale costruito vicino alla stazione del ghetto di Lodz: una massiccia trincea coperta di nudo cemento senza uscita che prolunga i binari, con gli elenchi delle deportazioni riprodotti sulle pareti, che dopo un centinaio di metri finisce in uno spazio circolare, sovrastato dal camino di un crematorio. Peggio che un vicolo cieco, l'atteggiamento europeo per gli ebrei, che diventano buoni solo da morti.
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