Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 25/05/2015, a pag. 15, con il titolo "Il Pentagono accusa: 'L'esercito dell'Iraq non combatte l'Is' ", l'analisi di Alberto Flores d'Arcais; dal CORRIERE della SERA, a pag. 15, con il titolo "La rotta italiana dei foreign fighters: via mare in Tunisia per unirsi all'Isis", l'analisi di Guido Olimpio.
Ecco gli articoli:
LA REPUBBLICA - Alberto Flores d'Arcais: "Il Pentagono accusa: 'L'esercito dell'Iraq non combatte l'Is' "
Alberto Flores d'Arcais
"Adesso gli iracheni devono risolvere i problemi dell'Iraq..."
"Risolvere? Gli iracheni sono il problema dell'Iraq!"
L’accusa è precisa, le parole destinate a lasciare il segno: «Le forze irachene non hanno nessuna volontà di combattere ». Visto che a pronunciarla è stato Ashton Carter, leader del Pentagono e stratega della guerra allo Stato Islamico in Iraq e Siria, la frase è piombata come un macigno in mezzo alle valutazioni, alle reazioni e soprattutto alle polemiche, seguite ai successi jihadisti a Ramadi e agli orribili massacri compiuti a Palmira. La caduta della città irachena (considerata strategica della Difesa Usa) nelle mani dei tagliagole islamici dopo mesi di combattimenti a singhiozzo in tutta la provincia di Anbar (Iraq occidentale) è un brutto colpo per l’esercito regolare iracheno e soprattutto per i “consiglieri” americani che dal terreno stanno guidando i raid dei caccia e dei droni della U.S. Air Force contro le postazioni del Califfato.
Nell’intervista data alla Cnn, Carter ha rinunciato ai giri di parole abituali in diplomazia, nel tentativo di scuotere il regime di Bagdad, alleato che si dimostra riluttante quanto pauroso. «A quanto pare quello che è successo è che le forze irachene hanno dimostrato di non avere nessuna volontà di combattere», l’eloquente commento del ministro della Difesa americano, seguito da altre accuse sul comportamento dei militari iracheni nel campo di battaglia («Non erano in inferiorità numerica, superavano di gran lunga le forze avversarie, ma non sono riusciti a battersi»), sulla mancanza di impegno («Abbiamo un problema con la volontà degli iracheni di combattere l’Is e difendersi») e sulla frustrazione del potente alleato Usa: «Possiamo addestrarli, dargli tutti gli equipaggiamenti necessari, ma ovviamente non possiamo dargli la voglia di combattere».
Una strategia, quella del Pentagono — affidarsi alle forze locali e ai raid aerei — che mostra però le corde anche in altre aree della guerra contro il Califfato. I militanti dello Stato Islamico sono riusciti a conquistare un valico di frontiera tra Iraq e Siria considerato strategico, mentre la conquista di Palmira e di altre zone della provincia di Homs dimostra come l’aver puntato sulla capacità di Assad e delle sue truppe (ieri il regime del dittatore siriano è stato nuovamente accusato di uso di armi chimiche contro la popolazione civile) di contrastare l’avanzata dell’Isis sia una scelta perdente.
Le notizie che arrivano dalla vecchia colonia romana sono terrificanti. A Palmira i terroristi islamici hanno massacrato oltre 400 persone, in maggioranza donne e bambini, accusati di “collaborazionismo” con il governo siriano e per non avere “eseguito” gli ordini dei tagliagole del Califfato. In un video reso pubblico ieri è stata ripresa l’uccisione di un prigioniero legato ad un palo ed ucciso a san- gue freddo con un lanciagranate. Con le vittorie sul terreno aumenta anche il livello delle offese dei militanti dell’Is contro i nemici, in primis gli americani. Ultimo obiettivo la First Lady Michelle Obama, definita senza troppi giri di parole una «prostituta».
CORRIERE della SERA - Guido Olimpio: "La rotta italiana dei foreign fighters: via mare in Tunisia per unirsi all'Isis"
Guido Olimpio
"Foreign fighters" uniti allo Stato Islamico
Il primo allarme risale al 6 novembre. In un’intervista, il segretario uscente dell’Interpol, Ronald Noble, avverte: i volontari jihadisti usano la rotta marittima per raggiungere i fronti di guerra in Medio Oriente. Un viaggio a bordo di traghetti e persino di navi da crociera dirette verso la Turchia o zone vicine. Ora arriva un secondo avviso, rilanciato da fonti della sicurezza britannica attraverso il quotidiano Guardian. Gli estremisti inglesi — è la rivelazione — raggiungono prima l’Italia quindi, via mare, la Tunisia, per poi proseguire verso la Libia, tappa di un lungo viaggio che termina in Siria o in Iraq. I servizi inglesi avrebbero seguito le mosse dei militanti per un certo periodo arrivando alla conclusione che questo percorso è stato creato per sottrarsi ai controlli negli aeroporti. Negli ultimi tre anni, le reclute del Califfato e di altre fazioni, sono arrivate in Turchia a bordo di voli low-cost in partenza dai principali scali europei.
Con spesa ridotta e poche ore di viaggio possono arrivare molto vicini alle future zone d’operazione. Quando sono scattate le misure di sicurezza per fare da filtro, avrebbero diversificato il «sentiero». Alcuni hanno optato per spostamenti tortuosi attraverso i Balcani: la Bulgaria è così diventata uno snodo importante. Altre segnalazioni hanno riguardato la Grecia, raggiungibile tanto dall’Italia — sempre in traghetto — quanto dall’asse ex Jugoslavia-Albania. Infine la scelta del viaggio in partenza dai porti italiani. Difficile dire quali siano i numeri. Secondo i funzionari citati dal Guardian alcuni dei «viaggiatori» hanno postato su Facebook foto che li ritraggono in località del nostro Paese prima del trasferimento. La storia si affianca a quella che vede la Libia come possibile trampolino per terroristi determinati a infiltrarsi in Europa. E alle note polemiche sul rischio che gli estremisti possano mimetizzarsi tra i profughi dei barconi. Siamo sempre nel campo degli scenari. Ed è anche vero che è complicato stabilire l’esatto profilo di un clandestino. La stragrande maggioranza sono persone in fuga da conflitti e miseria.
Ciò non impedisce la presenza di altri «personaggi», pericolosi e con altre intenzioni. La valutazione dell’intelligence però tende a considerare minore questo tipo di rischio. L’Interpol ha in programma l’istituzione del sistema I-Checkit anche per le navi, un archivio che registri i dati dei passeggeri e li incroci con quelli in possesso delle polizie. Un elenco simile a quello usato per monitorare chi viaggia in aereo. In teoria un elemento sospetto che acquista un biglietto per un traghetto verrebbe subito segnalato. A patto che viaggi con il suo documento o con un passaporto che gli permetta di bucare la rete. Problemi che si pongono alle forze di polizia mentre ai militari tocca trovare nuove risposte all’incalzare dello Stato Islamico dall’Iraq alla Siria. Il ministro della Difesa Roberta Pinotti ha affermato che «se ci sarà bisogno di dare ancora una mano, ancora più forte, siamo pronti a deciderlo assieme al Parlamento». Per ora l’Italia ha impegnato 250 militari dell’aviazione (si occupano della selezione degli obiettivi insieme agli alleati) e ha inviato istruttori in Kurdistan.
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