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Lo dice anche il principe saudita Bin Salman: Khamenei è il nuovo Hitler


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La Stampa Rassegna Stampa
23.05.2015 Califfato: come si espande, perchè non viene fermato, chi sta dalla sua parte
Cronache e commenti di Maurizio Molinari

Testata: La Stampa
Data: 23 maggio 2015
Pagina: 2
Autore: Maurizio Molinari
Titolo: «Mezza Siria nelle mani dell'Isis, attacco anche in Arabia Saudita-Volontari, petrolio, nemici divisi, ecco perchè il califfato si espande»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 23/05/2015, a pag.2/3, con i titoli "Mezza Siria nelle mani dell'Isis, attacco anche in Arabia Saudita", "Volontari, petrolio, nemici divisi, ecco perchè il califfato si espande" due cronache/commento di Maurizio Molinari.

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Maurizio Molinari

1. Mezza Siria nelle mani dell'Isis, attacco anche in Arabia Saudita

Lo Stato Islamico (Isis) apre le ostilità contro l’Arabia Saudita con un attacco kamikaze in una moschea del Qatif. Il bilancio di almeno 10 morti e 70 feriti nella «Imam Ali» del villaggio di Qadih, in una regione sciita, è rivendicato dai «Soldati del Califfato» con un comunicato sul web nel quale si preannunciano «giorni bui» per la minoranza sciita nel regno wahabita.
L’attentatore
L’identificazione del kamikaze in Abu Amer al-Najdi, cittadino saudita, è un messaggio a Riad: fra gli oltre duemila volontari sauditi nei ranghi di Isis molti «sono pronti al martirio». Nello scorso novembre era stato il Califfo, Abu Bakr al-Baghdadi, a chiedere ai seguaci di «colpire i Saloul», adoperando un termine dispregiativo per indicare nei sauditi la «testa del serpente e la roccaforte del male » da far «esplodere con un vulcano della Jihad». Riad aveva preso sul serio le minacce, iniziando a costruire un vallo difensivo lungo i circa 1000 km di confine con l’Iraq, ma Isis riesce ora per la prima volta a colpire beffando la sicurezza saudita e rafforzando la proiezione di una potenza accresciuta in Medio Oriente. L’avanzata jihadista
Nell’ultima settimana la conquista di Palmira ha portato il Califfato a controllare oltre il 50 per cento del territorio siriano - secondo un calcolo dell’Osservatorio sui diritti umani a Londra - e a minacciare tanto Damasco, come anche Baghdad dopo la presa di Ramadi. A conferma del consolidamento c’è il successo di al-Tanf, ultimo posto di frontiera Siria-Iraq ancora in mano al regime di Assad. Ciò significa che le milizie del Califfato potranno muoversi con più facilità fra Siria e Iraq, potendo accrescere il controllo sulle tribù locali. Ciò che accomuna i successi del Califfo è il messaggio di morte agli sciiti e ciò si ritrova nell’attentato nel Qatif, lasciando intendere di voler indebolire la credibilità del re Salman e del principe ereditario Bin Nayef, ex ministro degli Interni fautore della repressione contro i terroristi interni.
L’allarme italiano
Sono questi sviluppi che spingono il ministro degli Esteri italiano, Paolo Gentiloni, a sfruttare il summit Ue di Riga per dire che «il governo è preoccupato non solo per quello che succede in Siria ma anche per la forse ancor più minacciosa situazione in Iraq». «A Parigi ci sarà la riunione del gruppo di testa della coalizione anti-Daesh - termina Gentiloni, riferendosi a Isis – e sarà fondamentale una verifica della strategia seguita finora».

Nel secondo articolo, attraverso domande e risposte, Maurizio Molinari spiega con estrema chiarezza quali sono le forze in campo.

2. Volontari, petrolio, nemici divisi, ecco perchè il califfato si espande

 Perché il Califfato sta vincendo in Siria ed Iraq? Per tre motivi convergenti.
Primo: il nemico contro cui lo Stato Islamico (Isis) si batte sono gli eserciti governativi di questi due Paesi ed entrambi sono in pessime condizioni.
Secondo: fra le tribù sunnite il sostegno per Isis è in crescita perché la diffusa percezione è che sia l’unica loro difesa dalle potenti milizie sciite sostenute dall’Iran.
Terzo: la motivazione dei jihadisti sunniti è molto alta, vanno incontro al fuoco senza paura di morire perché imbevuti di un’ideologia che santifica il martirio. Perchéi raid della coalizione non riescono a indebolirlo?
Oltre 6000 raid aerei, in gran parte compiuti dagli Stati Uniti, hanno distrutto centinaia di mezzi militari, edifici ed accampamenti ma sono in difficoltà nell’identificare le cellule di Isis perché si muovono in piccoli gruppi che ai satelliti appaiono come civili, a piedi, in auto o sui cammelli. In alcuni casi Isis è stata abile a proteggere gli spostamenti facendosi schermo con le tempeste di sabbia. Ma ciò che più conta è che nelle battaglie di terra, in zone urbane come Ramadi o Palmira, gli aerei possono poco se non sostengono truppe ben addestrate. A Kobane, in Siria, Isis è stato sconfitto perché i raid alleati erano coordinati sul terreno con i peshmerga del Kurdistan.
Perché il ferimento del Califfo e l'eliminazione di alcuni leader non frena Isis?
Perché «Daesh», acronimo arabo per Isis, si autoalimenta con l’ideologia jihadista. Non è un’organizzazione terroristica classica, con gerarchie e catene di comando, bensì un gruppo di persone convinte nella necessità di usare la violenza più efferata sul prossimo per realizzare un’unica Jihadland, dal Pakistan al Marocco. Uccidere i leader serve a poco: ne emergono subito altri. A ben vedere anche il Califfo Abu Bakr al-Baghdadi non ha il carisma di Bin Laden o al- Zawahiri, i leader di Al Qaeda. La forza sta nell’ideologia, capace di riprodursi ovunque.
Isis si sta rafforzando anche in Libia?
L’occupazione della «Sala Ouagadougou » di Sirte, dove Muammar Gheddafi ospitava i leader africani, dà la misura del rafforzamento di Isis in Libia. Se Derna è la roccaforte in Cirenaica e Bengasi è la città dove i jihadisti si muovono più facilmente, l’insediamento a Sirte svela un rafforzamento sul territorio confermato dal controllo di almeno una ventina di pozzi di greggio da cui Isis ottiene circa 200mila barili al giorno. E’ l’afflusso di volontari da Tunisia, Egitto, Yemen e Sudan a rafforzare le cellule locali che hanno trovato in Libia una situazione favorevole per espandersi perché i due governi rivali, a Tobruk e Tripoli, creano una situazione di guerra civile endemica assai simile a quella siriana.
Quali altri Stati sono nel mirino del Califfo?
Anzitutto il Libano. La battaglia di Qalamun, iniziata il 6 maggio, continua perché Isis vuole sconfinare nella Valle della Bekaa per colpire le roccaforti Hezbollah, che alimentano il regime di Assad, spingendo i sunniti alla rivolta. Poi la Giordania, che oramai ha due confini con il Califfato, a Nord ed Est. E l’Arabia Saudita, come testimonia l’attentato di ieri alla moschea sciita di Qatif. Ma l’obiettivo più ambizioso è in Afghanistan-Pakistan con il gruppo «Khosaran», i taleban che hanno abbandonato il Mullah Omar per seguire il Califfo nella guerra genocida agli sciiti.
Chi e cosa può fermare il Califfato?
Le truppe del Califfato sono molto motivate ma non numerose: un intervento di terra da parte di un esercito ben strutturato potrebbe spazzarle via. Ma nessun Paese vuole farlo. Usa ed europei temono di impantanarsi, i Paesi arabi vedono il rischio di un effetto-boomerang ai loro danni e la Turchia, che dispone di un esercito formidabile, ha come priorità la caduta del regime di Bashar Assad, non la sconfitta del Califfo.
Ci sono degli Stati che in segreto aiutano il Califfo?
Nelle capitali del Medio Oriente è il tema più discusso. I sospettati sono numerosi ma ciò che colpisce è come il più citato sia la Turchia di Erdogan. Perché è attraverso il suo territorio che Isis riceve volontari e vende illegalmente greggio. Nonostante le proteste internazionali e le secche smentite di Ankara.

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