Riprendiamo dalla REPUBBLICA - ROMA di oggi, 22/05/2015, a pag. 11, con il titolo "Comunità ebraica, l'addio di Pacifici: 'I miei vent'anni tra Rutelli e Alemanno' ", l'intervista di Gabriele Isman a Riccardo Pacifici.
Gabriele Isman Riccardo Pacifici
«Quando più di 20 anni fa entrai in consiglio con la bandiera di Israele mi dissero che era sbagliato. Oggi due liste hanno quella parola nel loro nome: è il mio più grande successo». Il suo successore alla presidenza uscirà dalle elezioni del 14 giugno, ma Riccardo Pacifici alla fine della sua era alla guida della comunità ebraica, apre il libro dei ricordi dal 1993 - «mi candidai da solo e arrivai secondo. Mi ero formato nel partito radicale, l’unica tessera che abbia mai avuto» – al futuro. Per lui non è più possibile ricandidarsi, dopo 3 mandati da consigliere.
Ha conosciuto quattro sindaci, senza contare premier e Capi dello Stato. «I sindaci sono cinque, il primo fu Carraro, quando organizzammo la posa della targa per i 112 bimbi morti alla scuola Polacco. La politica romana all’epoca non conosceva la comunità ebraica, il vero “presidente” era il rabbino Toaff. La svolta fu con Rutelli, nel 1993: il consiglio della Comunità diede un’indicazione di voto per lui, rimane un caso unico. D’altra parte il suo avversario era il segretario dell’Msi, Fini».
Anni dopo, Rutelli fu sconfitto da Alemanno, e molti la accusano di troppa vicinanza col sindaco di centrodestra. «Rivotai Rutelli, ma al ballottaggio ero in Israele, appena eletto presidente. Lui si arrabbiò molto che non fossi tornato in tempo e perché avevo detto ad Alemanno che l’avrei attaccato se si fosse apparentato con Storace. L’apparentamento saltò».
Sicuro di non aver sbagliato nulla con Alemanno? «Rifarei tutto. Credo che lui, forse anche per il mondo da cui veniva, abbia fatto un percorso di revisione storica ma il suo entourage non ha mai tollerato i suoi rapporti con noi e i viaggi ad Auschwitz. Non sapeva molto delle responsabilità del fascismo sugli ebrei italiani, ma si mise a studiare e, come mi raccontò, imparò a salutare con il braccio sinistro per paura di essere confuso nel saluto romano. Certo, Mafia Capitale è stata poi una delusione, ma lì la responsabilità credo sia collettiva».
Il sindaco Veltroni invece volle il Museo della Shoah. Un’opera che verrà mai terminata? «No, se non sarà ripristinata la deroga al Patto di stabilità fissata dal governo Monti. L’alternativa è che Renzi si faccia carico dell’opera: a Berlino, a Washington, ovunque, il memorial della Shoah è a cura del governo, non del sindaco. affidarla ai soli cittadini romani è un sacrificio eccessivo».
Il sindaco oggi è Marino. «Un uomo timido, con una giunta terrorizzata da Mafia Capitale. Prima che scoppiasse il caso un autorevole esponente del Pd mi prospettò l’ipotesi di candidarmi a sindaco dopo di lui. Altre due volte la proposta era arrivata, da Buttiglione e dal Pdl. Stavolta ci avrei pensato a patto di essere pagato un euro, come il sindaco di Gerusalemme. Voglio vivere del mio lavoro di rappresentante di abbigliamento, e finalmente sarò più vicino alla mia famiglia, che ha sopportato gli anni sotto scorta».
Elio Toaff
La sua immagine resterà legata al processo Priebke. «Avevamo preparato volantini e striscioni per l’assoluzione e per la condanna. Alla sentenza il presidente del tribunale mi chiamò e mi disse “sto per assolverlo e farò sgomberare l’aula” e io gli preannunciai che saremmo rimasti nel tribunale, che soltanto Toaff poteva farmi cambiare idea. Lo chiamammo in viva voce, l’Unione delle comunità ebraiche aveva già deciso di andare a deporre fiori alle Fosse Ardeatine come protesta. Toaff mi disse “resta dentro”. Il vero obiettivo era impedire a Priebke di prendere il volo Alitalia per l’Argentina delle 22. Ci riuscimmo. Quella vicenda mi cambiò. Speravamo solo di farlo schiaffeggiare da Raimondo Neris, reduce di Mauthausen».
Chi la preoccupa oggi in Italia? «Salvini ha la responsabilità di traghettare la destra moderata ex Forza Italia e Pdl a una deriva xenofoba in cui, più di lui, emerge CasaPound. Usa un linguaggio che neppure fa parte del suo Dna politico perché gli serve, pur non credendoci, a racimolare consensi. Non voterei mai né lui né Grillo».
Il voto più vicino è per la Comunità ebraica. «Sostengo Ruth Dureghello, la sua lista “Per Israele” l’ho fondata io. Ha un carattere molto forte ed è meno generosa con gli avversari di me, anche se più dialogante. Mi ha anche arginato».
Per inviare la propria opinione a Repubblica telefonare 06/49821, oppure cliccare sulla e-mail sottostante