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La Repubblica - Il Manifesto Rassegna Stampa
21.05.2015 La vergognosa mistificazione di Repubblica e Manifesto: 'Israele apartheid'
Due pezzi calunniosi di Fabio Scuto e Michele Giorgio

Testata:La Repubblica - Il Manifesto
Autore: Fabio Scuto - Michele Giorgio
Titolo: «Bus vietato ai palestinesi, l'apartheid di Netanyahu: costretto a fare dietrofront - Il governo: bus segregati per palestinesi e israeliani»

Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 21/05/2015, a pag. 20, con il titolo "Bus vietato ai palestinesi, l'apartheid di Netanyahu: costretto a fare dietrofront", il commento di Fabio Scuto; dal MANIFESTO, a pag. 7, con il titolo "Il governo: bus segregati per palestinesi e israeliani", il commento di Michele Giorgio.

A destra: un autobus israeliano fatto saltare in aria dai terroristi palestinesi: difendersi da atti come questi non è apartheid, ma garantire la sicurezza da parte del governo israeliano dei propri cittadini.

Ecco gli articoli:

LA REPUBBLICA - Fabio Scuto: "Bus vietato ai palestinesi, l'apartheid di Netanyahu: costretto a fare dietrofront"

Oggi Fabio Scuto dipinge Israele come un Paese di apatheid con un articolo vergognoso. Nessun Autobus, o mezzo pubblico, è interdetto agli arabi in Israele. Il caso in questione riguarda unicamente i lavoratori arabi che entrano in Israele dai territori governati dall'Anp, fra i quali - lo ammette lo stesso Scuto -  vi sono anche clandestini. Israele ha il dovere di garantire la sicurezza dei propri cittadini, ebrei e di altra etnia, dal non finire ammazzati in attentati. Per questo il controllo di questi lavoratiri è particolarmente lungo. Può creare ritardi - come i controlli ai Check Point- ma è preferibile un ritardo alla perdita di vite umane. Far passare tutto questo come Apartheid è una lurida menzogna, che un quotidiano come Repubblica non dovrebbe consentire al suo corrispondente. Chi legge l'articolo di Scuto, senza avere conoscneza precisa dei fatti, non può che trarre una conclusione: in Israele gli autobus, tutti gli autobus, applicano la segregazione.
Sono anche queste le premesse da cui muove l'odio contro Israele, così spesso legato a filo doppio all'antisemitismo.
Quello che Scuto scrive su uno dei giornali più letti in Italia è benzina sul fuoco dell'odio.

Ecco il pezzo:

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Fabio Scuto

In seguito dalle critiche del suo stesso partito, del capo dello Stato Reuven Rivlin, dell’opposizione che denunciava una deriva razzista, il premier Benjamin Netanyahu è stato costretto ieri a bloccare il primo provvedimento del nuovo governo.

Concepito dal fedelissimo ministro della Difesa Moshe Yaalon, avrebbe vietato per tre mesi ai pendolari palestinesi in Israele di usare i mezzi pubblici e li avrebbe obbligati ad usare solo quattro check-point per entrare e uscire dalla Cisgiordania. Annunciato in mattinata, il decreto provvisorio è stato poi ritirato poco dopo mezzogiorno quando l’ufficio del premier è stato bersagliato di telefonate di esponenti politici — anche del Likud — che definivano il provvedimento «inaccettabile » e dichiarazioni dell’opposizione che bollavano la decisione come «miserabile», degna dell’apartheid sudafricano.

Un simile piano «è una macchia sul volto del nostro Stato», ha dichiarato alla tv il laburista Isaac Herzog, capo dell’opposizione, che ha parlato anche di umiliazioni non necessarie inflitte ai lavoratori palestinesi. Netanyahu, allarmato da un vistoso titolo di Haaretz online che parlava di apartheid — ha deciso di bloccare subito l’iniziativa. Con una breve dichiarazione il premier ha bollato come «inaccettabile» il piano, come se fosse stato all’oscuro della decisione del suo ministro della Difesa.

Il presidente Reuven Rivlin ha applaudito alla decisione. Rivlin — che rappresenta l’ala liberale del Likud — ha definito «la separazione di linee di trasporto per arabi ed ebrei inimmaginabile». Un concetto del genere, ha aggiunto, «contrasta con le stesse fondamenta dello Stato d’Israele». Parole condivise anche da un altro esponente “liberale” del Likud, Dan Meridor e dall’ex ministro degli Interni Gideon Saar. Soddisfatto anche il Procuratore generale Yehuda Weinstein, secondo il quale il progetto si prestava a ricorsi alla Corte Suprema già annunciati da “Peace Now” e altre Ong che difendono i diritti umani.

Sono 92.000 i palestinesi che hanno un impiego in Israele, legale o illegale; 52.000 hanno un permesso di lavoro, gli altri entrano clandestinamente. La gran parte viene impiegata nell’edilizia, con un salario inferiore a quello israeliano. Il “piano Yaalon” non è qualcosa deciso in fretta, giaceva da tempo nei cassetti del ministro della Difesa, che ha deciso di avviarlo, dopo che il Consiglio dei coloni — assai influente nel nuovo governo — aveva dichiarato che i passeggeri ebrei temono per la propria vita quando si trovano a bordo dei bus con i pendolari palestinesi.

Al centro delle polemiche c’è la linea 86 che collega Tel Aviv alla città-colonia di Ariel, in Cisgiordania. In origine era stata istituita a beneficio dei coloni, col tempo un numero crescente di manovali palestinesi impiegati in Israele ha scoperto che utilizzandola risparmiava tempo prezioso nel ritorno a casa in Cisgiordania, e anche soldi. A quel punto però i passeggeri israeliani, sentendosi a disagio perché spesso minoranza fra palestinesi, hanno fatto pressioni politiche sul ministero della Difesa perché trovasse una soluzione.

Il progetto del ministro Yaalon — che si ripropone di presentarlo più avanti — impone ai palestinesi, oltre ai bus “speciali”, di far ritorno in Cisgiordania soltanto attraverso 4 checkpoint autorizzati allungando i tempi di spostamento dei pendolari di almeno due ore. La questione bus non è entrata nel colloquio avuto ieri da Netanyahu con l’Alto rappresentante per la politica estera europea Federica Mogherini a cui il premier israeliano ha dichiarato di «sostenere una visione di due Stati per due popoli, una Palestina demilitarizzata che riconosca lo Stato ebraico».

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La società israeliana è democratica, non fa differenze tra i propri cittadini. Ultimo esempio la metropolitana leggera che a Gerusalemme unisce quartieri arabi ed ebraici, servendo tutti i cittadini. Eppure, proprio per questo, è stata oggetto di frequenti attacchi da parte palestinese, che quasi sempre preferisce la violenza cieca e generalizzata.

IL MANIFESTO - Michele Giorgio: "Il governo: bus segregati per palestinesi e israeliani"

Il quotidiano articolo diffamante contro Israele di Michele Giorgio riassume le più frequenti mistificazioni a cui ci ha abituato l'unico quotidiano che in Italia ancora ha l'incoscienza di definirsi "comunista". La crociata contro lo Stato ebraico da parte del Manifesto è una vera opera di propaganda goebbelsiana.
Nel finale Giorgio incorre in un ridicolo lapsus calami: scrive "Federica Morgantini" invece di "Federica Mogherini". Luisa Morgantini è una delle più note e becere odiatrici di professione dello Stato ebraico, oltre che sodale di Hamas e del terrorismo palestinese in genere. Certo a Giorgio piacerebbe che fosse ministro, per ora occupa soltanto il suo subconscio.

Ecco il pezzo:

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Michele Giorgio, Luisa Morgantini

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La realtà oltre le menzogne di Giorgio: i deputati arabi che siedono al Parlamento israeliano sono 17 (su 120 seggi complessivi)

«E' solo una sospensione del provvedimento, non è il caso di festeggiare perchè l'apartheid nei trasporti tra coloni (israeliani) e palestinesi è già in atto, è attuato in silenzio». Sergio Iahni, giornalista e storico attivista della sinistra israeliana, mette in guardia dalla tentazione di gridare alla vittoria dopo la decisione presa ieri dal premier Netanyahu di sospendere gli autobus segregati approvati dal ministro della difesa Moshe YaaIon - «in via sperimentale per tre mesi» - per i manovali palestinesi che si spostano dalla Cisgiordania verso Israele.

La disposizione data da Yaalon peraltro avrebbe costretto i lavoratori a tornare a casa attraversando gli stessi posti di blocco militari dai quali erano passati all'andata, con il risultato di metterci un paio di ore in più per rientrare in Cisgiordania. Una giornata di lavoro ben diversa da quella dei coloni, gli occupanti, che si muovono senza alcuna restrizione e che da anni chiedono autobus solo per loro, «senza arabi».

«Abbiamo ascoltato le proteste dell'opposizione, anche il presidente Rivlin ha criticato il governo, ma gli autobus dell'apartheid già esistono e da lungo tempo - ci spiega lahni - la compagnia di trasporti Kadim gestisce linee tra la Cisgiordania e Tel Aviv solo per i manovali palestinesi che vanno in Israele, allo scopo di limitare il più possibile la loro presenza sugli autobus ordinari che usano i coloni».

In ogni caso, conclude il giornalista, Yaalon ha comunicato che continuerà a studiare la materia, si tratta solo di un rinvio e non di una rinuncia definitiva al provvedimento». I coloni non nascondono la loro delusione per la retromarcia del primo ministro. E si affidano alla coerenza di Yaalon, uno dei superfalchi del Likud, per l'attuazione della «misura di sicurezza», così la definiscono, volta a «controllare meglio gli arabi».

Controlli che non fanno eccezioni, neanche per gli sportivi palestinesi, nonostante i «segnali positivi» che il presidente della Fifa Joseph Blatter dice di aver registrato nell'incontro di due giorni fa con Netanyahu, durante la sua missione volta a «trovare un compromesso», ossia a convincere i palestinesi a rinunciare alla richiesta di sospensione di Israele dalla Fifa in risposta alle pesanti restrizioni (e non solo) che l'esercito israeliano impone ai calciatori palestinesi di Cisgiordania e Gaza. «Israele - ha detto Blatter ieri a Ramallah - ha acconsentito verbalmente alla creazione di un gruppo di lavoro misto di israeliani, palestinesi e della Fifa; ad incontri mensili dei rappresentanti delle due Federcalcio; alla dislocazione di personale speciale ai check point per facilitare il passaggio di atleti palestinesi; e alla creazione di carte di identità speciali». 

Il capo della Federazione Calcio della Palestina, Jibril Rajoub, si è detto non convinto della proposta verbale israeliana ed è intenzionato a lasciare in agenda il voto all'assemblea della Fifa il prossimo 29 marzo a Zurigo, se non arriveranno assicurazioni israeliane nero su bianco. E' improbabile però che la Federazione palestinese ottenga dai membri della Fifa i due terzi dei voti necessari per la sospensione di Israele. Ai margini di questo quadro che non lascia intravedere alcun spiraglio, riecheggiano le sterili dichiarazioni della "ministra" degli esteri dell'Ue Federica Morgantini che, ieri a Ramallah e Gerusalemne, ha detto che «verificarà se ci sono margini per far ripartire il processo di pace».

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