Riprendiamo dalla STAMPA di oggi,17/05/2015, con il titolo " Ungheria, nel cuore nero d'Europa Orban cavalca la tigre nazionalista", il reportage di Tonia Mastrobuoni sull' Ungheria, un paese che si rifiuta di fare i conti col mil proprio passato nazista.
Tonia Mastrobuoni Budapest: munumento alle scarpe
In questi giorni incerti di fine primavera, il Danubio scorre grigio accanto al sontuoso Parlamento neogotico. Frotte di turisti sciamano verso sud e si fermano davanti al monumento che ricorda i diecimila ebrei fucilati e affogati dalle croci frecciate ungheresi. La scultura è impressionante: una distesa di scarpe di bronzo, disposte disordinatamente lungo la sponda del fiume-simbolo della cultura mitteleuropea. L’opera ricorda una pagina tragica della storia ungherese: furono 500mila gli ebrei spediti nei campi di concentramento sul finire della guerra dalle falangi più fedeli a Hitler. Ma sono dettagli che qualche politico ungherese preferisce, ogni tanto, rimuovere. Viktor Orban, per esempio. L’anno scorso il premier ungherese pensò di dedicare un monumento tutto suo al nazismo, e preferì sorvolare sul collaborazionismo magiaro. Fece erigere in piazza della Libertà la statua di un angelo, l’Ungheria, sovrastato da un’aquila: la Germania nazista. Le proteste dell’opposizione e della comunità ebraica per un’opera che dipingeva il Paese soltanto come una vittima furono talmente veementi, che il governo rinunciò all’inaugurazione.Ma per molti, fuori dall’Ungheria, quell’episodio non fu una sorpresa. Tanti considerano Orban, riconfermato l’anno scorso alla guida del Paese, il volto impresentabile dell’Europa. E la mistificazione e il revisionismo storico sono semplicemente tipici, nei regimi antidemocratici. Davvero l’Ungheria sta diventando il cuore nero dell’Europa? Qualche indizio sembra dire di sì, ma non è una tendenza univoca. E nello stesso partito del premier continua a resistere un’anima moderata. Che si ribella all’idea più spaventosa,ma che molti discutono apertamente: la prospettiva di una coalizione con l’estrema destra di Jobbik, nel 2018.
Concorrenza a destra
GergelyGulyas è il giovane, brillante vicepresidente del Parlamento ed esponente di spicco di Fidesz. Lo incontriamo nel suo ufficio parlamentare, al primo piano del magnifico palazzo che simboleggia l’indipendenza magiara dall’impero Austro-ungarico. Sui temi più caldi, sdrammatizza. A cominciare dalla pena dimorte.Orban ha fatto infuriare l’Europa intera con la sua proposta di reintrodurla. «Be’, vuol dire che siamo una super potenza - sorride - se hanno registrato soltanto la nostra proposta. Tre settimane prima, il vicepremier ceco ha minacciato la stessa cosa e nessuno ha detto niente. In ogni caso il premier Orban lo ha garantito al presidente del Parlamento Schulz che il tema è morto. E io personalmente sono contrario». Il punto, però, è politico. Le sparate sulla pena di morte, la linea dura sugli immigrati, la frase sul presunto successo delle «democrazie illiberali» che fece infuriare Angela Merkel o il flirt con autocrati à la Vladimir Putin - cui il primo ministro magiaro guarda come a un modello - sono sintomi che Fidesz è in difficoltà. Il consenso, dalle elezioni del 2010, quando Orban vinse le elezioni a mani basse contro una sinistra spaccata, travolta dagli scandali e fiaccata dall’impopolarità suscitata da anni di austerità, sta calando. Purtroppo, però, i voti che fuoriescono da Fidesz non vengono intercettati dai socialisti e dagli altri partiti di sinistra. Il beneficiario della lenta erosione del partito di Orban è il partito antisemita e xenofobo Jobbik, che pullula ancora di neonazisti, ma che dopo l’exploit del 20% alle ultime elezioni, sta cercando di darsi una ripulita dalle frange più estremiste per studiare da partito di governo. Gulyas esclude alleanze con l’estrema destra: «È impossibile. Sono favole messe in giro dalla sinistra» secondo il vicepresidente del Parlamento. E nonostante le critiche alle sanzioni europee contro Putin, assicura che «Orban non romperà l’unità europea: il primo ministro è stato il primo a condannare con forza l’annessione della Crimea». Ma sono in molti a credere che tra tre anni lo scenario degli «estremisti in doppiopetto » nelle stanze dei bottoni, potrebbe essere realtà, se Fidesz non riuscirà a garantire una riedizione dell’attuale governo monocolore. Peter Kreko, direttore di uno dei più importanti think tank del Paese, Political Capital, avverte che «la perdita di popolarità e l’avanzata di Jobbik stanno spingendo il partito di Orban a destra. Lo dimostrano le uscite sulla pena di morte o la linea dura, nella Ue, sull’immigrazione. Jobbik sta cercando di spostarsi verso il centro: è chiaro che questi due partiti stanno convergendo in vista di una possibile alleanza di governo». Uno dei problemi di Orban, secondo Kreko, è che «imita il suo vecchio amico Silvio Berlusconi: è molto attento agli umori dei cittadini e cerca di inglobare tutta la destra, come il vostro premier fece con Fini. Ha sempre seguito il principio «one camp, one flag».Ma ultimamente sta fallendo». Gli umori, tra gli ungheresi, si stanno radicalizzando. Kreko ricorda con un’espressione tesa in viso, che i sondaggi più recenti dimostrano una preoccupante deriva a destra del suo Paese.
Niente asilo ai rifugiati
In Europa, l’Ungheria è il Paese con la più alta percentuale di persone a favore della pena di morte. E un sondaggio recente ha registrato un picco di xenofobia inedito: un ungherese su due è dell’idea che ai rifugiati non dovrebbe essere neanche consentito di chiedere asilo. Il problema è che «esiste una discussione pubblica su certi temi che dieci anni fa sarebbe stata impensabile - racconta Kreko - e se oggi dai del “razzista” a qualcuno, non è neanche più un insulto ». Orban non è tanto pericoloso in sé, quanto per gli umori che asseconda nella popolazione e che non favoriscono, oltretutto, il suo partito, bensì Jobbik. Anche nell’opposizione le teste più lucide come Bartalan Toth, vicecapogruppo dei socialisti, pensano che Orban sia meno pericoloso di quanto non sembri: «Haminacciato spesso leggi anti europee, salvo poi ritirarle subito, appena Bruxelles diceva stop».Così ha consolidato la sua immagine di «uomo forte» nel Paese, senza mai minacciare davvero la Ue. Il problema vero, per l’esponente dell’opposizione, è che «è un cattivo esempio per l’Europa perché è un modello
per altri populisti".
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