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La Stampa-Libero Rassegna Stampa
17.05.2015 La condanna a morte di Morsi: chi non ha ancora capito e chi sì
Analisi di Francesca Paci, Carlo Panella

Testata:La Stampa-Libero
Autore: Francesca Paci-Carlo Panella
Titolo: «Da simbolo della rivoluzione a nemico numero uno del nuovo Egitto di Al Sisi -Morsi tua»

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La condanna a morte di Morsi commuove le analisi dei nostri media, oggi, 17/05/2015. Riprendiamo due cronache che rappresentano al meglio le due interpretazioni che hanno contraddistinto ascesa e caduta dei Fratelli Musulmani in Egitto. Francesca Paci sulla STAMPA a pag. 10, ma che in prima ha un titolo che fa dice come l'Occidenta non abbia ancora capito nulla del pericolo rappresentato da quella banda di criminali che è la Fratellanza Musulmana: "A morte Morsi, l'ex amico dell'Occidente". Ma quale amico, i Fratelli Musulmani sono i teorizzatori dell'invasione 'silenziosa' dell'islam, in Europa e Usa.
A differenza di Paci, su LIBERO Carlo Panella scrive chiaramente che la condanna a morte sarà ben difficilmente eseguita, citando le stesse nparole di Al Sisi. In più delinea la situazione mediorientale allargandola ai paesi arabi nemici quanto e più dell'Egitto della Fratellanza musulmana.

Ecco gli articoli: 

La Stampa-Francesca Paci: " Da simbolo della rivoluzione a nemico numero uno del nuovo Egitto di Al Sisi "

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Francesca Paci

Raccontano che quando poco prima di essere deposto fu convocato dai generali Morsi reagì con un misto di stizza e paura replicando di essere stato legittimamente eletto e di poter contare sul sostegno americano. Era l’incandescente maggio 2013, il movimento popolareTamarod aveva appena iniziato a raccogliere le firme contro l’allora presidente, la conflittualità tra le piazze e il governo identificato con i Fratelli Musulmani cresceva giorno dopo giorno, la prova epocale dell’islam politico era prossima al naufragio.Morsi, che meno di un anno prima campeggiava sulla copertina di «Time» come l’uomo più importante del Medioriente, teneva malfermamente in mano il suo destino e quello dell’intera primavera araba. La condanna a morte del primo presidente democraticamente eletto d’Egitto chiude drammaticamente un ciclo iniziato 4 anni fa con il trionfante ritorno sulla scena dei Fratelli Musulmani, il movimento islamico fondatonel 1928 da Hassan al Banna e protagonista del 900 egiziano (e non solo).
Dopo piazza Tahrir
All’indomani della rivoluzione di piazza Tahrir Mohammed Morsi era un quadro medio della Fratellanza, un semi oscuro ingegnere formatosi negli States. Nelle settimane successive alla cacciata di Mubarak, mentre la Confraternita lavorava al proprio imminente trionfo distanziando i liberal impegnati a celebrare la vittoria con lodevoli quanto inconcludenti workshop sulla democrazia, capitava che i cronisti si rivolgessero a Morsi, non il più significativo ma certamente un fedele estensore del pensiero-programma dei Fratelli Musulmani. Morsi era sempre a disposizione nella sede del partito, il Freedom and Justice Party. Lo fu anche quando, eliminato il potente, ricchissimo e carismatico candidato Khairat al Shater, la Confraternita ricorse a lui per il voto presidenziale. I Fratelli avevano allora appena stravinto le parlamentari di fine 2011 aggiudicandosi il controllo del legislativo (230 su 508 seggi) e si arrovellavano sull’opportunità di partecipare o meno alla corsa per la poltrona di Mubarak.Molti analisti hanno poi rivelato di averli sconsigliati dal correre in un Paese al collasso economico in cui neppure un miracolo avrebbe potuto garantire la crescita necessaria a governare. Fonti vicine alla leadership lasciano intendere però che i capi temessero già l’intervento dell’arcinemico esercito e abbiano deciso di giocarsi la partita della vita. Tant’è. Nella primavera del 2012 Morsi è il campione della rivoluzione, il candidato che turandosi il naso tanti liberal votano al ballottaggio pur di non vedergli prevalere l’ex vecchio regime Ahmed Shafik. Il risultato porta in dote al nuovo presidente il doppio dei 6 milioni di voti su cui tradizionalmente contano i Fratelli. Il presidente cavalca l’onda che lo vede acclamato dalle piazze quando «pensiona» l’odiato capo del Consiglio Superiore delle Forze Armate Tantawi per sostituirgli il generale Al Sisi (!) e cambia piglio, montatura degli occhiali, peso politico (e fisico...). L’autunno del 2012, mentre Morsi fa il giro delle cancellerie internazionali rivendicando il proprio ruolo nella tregua tra Israele e Hamas, segna l’inizio della fine. Il presidente ci ha messo la faccia ma è la Fratellanza a metterci la sostanza. In pochi mesi la luna di miele con il Paese non è più neppure un debole ricordo. L’economia non riparte e i buoni contatti con il Fondo Monetario Internazionale vantati dal partito islamico quando da principio aveva ingaggiato il super liberista Hernando de Soto si rivelano un flop con l’energia che al Cairo manca due volte al giorno. La riscrittura dellaCostituzione vede inuovi governanti prepararsela a forte impronta islamista e votarsela da soli (con i salafiti)mentre migliaia di giovani in piazza si scontrano con la polizia. La brama di potere e forse anche la paura di avere le ore contate portano i Fratelli ad accaparrarsi tutti i posti che contano fino a nominare a capo del governatorato di Luxor un leader della Gamaa Islamyya, il gruppo responsabile degli attentati contro i turisti che pochi anni prima avevano insanguinato la Valle dei Re. Il Paese è sull’orlo della guerra civile e perfino nell’amica Gaza il titolare dell’unico negozio di souvenir della Striscia, il PrinceTalal Shop, mette in saldo i poster di Morsi a 5 schekel.
La cacciata dei Fratelli
Il resto è cronaca. L’oceano di egiziani in strada il 30giugno 2013,gli aerei militari che lanciano petardi in sostegno della piazza, la deposizione di Morsi da parte di quel Sisi che dopo meno di un anno sarebbe stato eletto al suo posto, la strenua resistenza dei Fratelli nella piazza cairota di Rabaa al Adawya e il massacro di mezz’agosto. L’esercito torna trionfante e poco contano i retroscena sulla spinta d’incoraggiamento data dai generali a Tamarod: la gente era stufa di Morsi e i militari non aspettavano altro. «La classe media che vuole solo stabilità è felice ma per i politici e gli attivisti la sentenza è una tragedia, la situazione ora è fuori controllo» commenta Mohammed, un liberal che dopo aver inneggiato alla cacciata della Fratellanza piange ora l’incarcerazionedei suoi amici nelle prigioni traboccanti di oppositori. Una volta liquidati Morsi e gli altri infatti, i militari sono passati a fare i conti con tutti i dissidenti. La condanna a morte chiude il cerchio: i Fratell iMusulmani hanno bruciato per hybris la loro chance storica e c’è chi ora maligna che in fondo cercassero il martirio. Ma ora è l’Egitto che si sta giocando il futuro.

Libero-Carlo Panella: " Morsi tua"

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Carlo Panella

Ieri Mohammed Morsi è stato condannato a morte da un tribunale del Cairo assieme a 105 altri imputati tra i quali il numero due della Fratellanza Musulmana egiziana Khairat al Shater e il segretario generale Mohammed el Beltagi. Nei mesi scorsi erano stati condannati a morte dai tribunali egiziani Mohammed Badie, il leader mondiale della fratellanza e altri 681 dirigenti e militanti del movimento. L'accusa mossa a Morsi è chiaramente pretestuosa, avere organizzato il 29 gennaio 2011 (negli ultimi giorni del regime di Mubarak) l'evasione dei vertici della Fratellanza musulmana dal carcere di Wadi el Natroun, durante la quale vennero uccisi numerosi agenti. Insieme a Morsi evasero altri 30 detenuti, mentre oltre 20 mila fuggirono da altri carceri dell'Egitto. Nello stesso processo 16 membri del suo governo e dei Fratelli musulmani sono stati condannati a morte per spionaggio e diffusione di segreti di Stato, per la quale invece Morsi è stato assolto. Va detto subito che questo migliaio ormai di condanne, a partire da quella contro Morsi, Badie, El Betagi e Shater non verranno mai eseguite ed è questa la ragione dell'insolito silenzio della comunità intemazionale a fronte di una condanna a morte che pur sempre colpisce un presidente che è stato regolarmente eletto dal 51% degli egiziani. Nella riservatezza dei colloqui con gli occidentali, inclusi gli italiani, il presidente Fattah al Sisi, che depose Morsi con un golpe nel luglio 2013 e che chiaramente è il «burattinaio» che manovra questi processi, è sempre stato chiaro: «Non gli farò mai il regalo di impiccarli, li trasformerei in martiri. Ma li terrò in galera, con questa condanna sulla testa perché devo governare un Paese in cui i Fratelli Musulmani sono ancora forti, appoggiano i terroristi e non sono disponibili, per costituzione, a nessun dialogo che li porti a partecipare a una democrazia». In realtà, dunque, sulla testa di Morsi e dei Fratelli Musulmani egiziani condannati, si combatte una battaglia epocale che interessa tutto il mondo musulmano e che vede al Sisi nelle vesti del più spietato awersario e, all'opposto, nel presidente turco Tayyp Erdogan il più convinto sponsor e sostenitore della Fratellanza. Infatti i Fratelli Musulmani, a partire dalla Libia, in cui sono egemoni nel governo di Tripoli, non riconosciuto dalla comunità internazionale, per spostarsi in tutti i Paesi musulmani, dal Marocco alla Indonesia, passando perla Siria e il Pakistan, costituiscono una enorme organizzazione internazionale ramificata e ben impiantata, grazie alla enorme rete di moschee che controllano (come avviene in Italia, Francia, Germania e Inghilterra e ovunque in Europa). È una specie di partito comunista sovietico ai tempi di Stalin, con una caratteristica che spiega la durezza repressiva di al Sisi: sviluppa una strategia di conquista dei governi per via democratica e costituzionale, ma contemporaneamente non disdegna terrorismo e attentati. Non è infatti un caso che tutti i terroristi arabi e islamici (da Yasser Arafat, sino a Osama bin Laden e Abu Bakr al Baghdadi, per citare personaggi indubbiamente diversi) siano usciti dalle fila della Fratellanza. Mentre al Sisi intende sradicarla dall'Egitto e impedirle di controllare la Libia, Erdogan, che fu membro della Fratellanza, intende invece usarla, premendo per una sua costituzionalizzazione (ma chiudendo gli occhi sulle sue complicità terroristiche) per estendere l'influenza diretta della Turchia in Libia, in Siria e a Gaza (Hamas è la sezione palestinese dei Fratelli Musulmani). Quello pro e contro la Fratellanza è dunque uno scontro politico epocale, che vede su barricate opposte i due più grandi Paesi musulmani del Mediterraneo e che impedisce ogni serio accordo di pace in Libia. Ammesso e non concesso che l'inviato dell'Onu Bernardino Leon riesca a siglare un accordo di pace tra il legittimo governo di Tobruk è quello (ben più potente, ma illegittimo) di Tripoli, al Sisi e Erdogan, tramite i propri emissari libici, faranno di tutto per non implementarlo nei fatti. Ma, va detto, in questa battaglia a morte contro la Fratellanza, al Sisi sta perdendo il suo alleato più prezioso: l'Arabia Saudita. Il nuovo re Salman, infatti, ha smesso di combattere la Fratellanza e anzi tenta ora di usarla per dare un colpo mortale al regime di Assad in Siria (in cui i Fratelli controllano varie organizzazioni ribelli). Un caos confuso, tipico dello scenario politico islamico, di cui purtroppo l'Occidente, Obama in testa, spesso non comprende le dinamiche.

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