Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 16/05/2015, a pag.11, con il titolo " Internet, auto verdi e addio al suk. A Rawabi nasce la nuova Palestina " il reportage di Maurizio Molinari.
Ne consigliamo la lettura a quanti si affannano ancora a ripetere squallidi slogan su Israele apartheid, palestina libera e altre cretinate simili. Se si informassero, vedrebbero come la collaborazione tra Israele e Anp potrebbe esserrci se solo il governo di Abu Mazen la smettesse di investire i miliardi dollari che riceve anche dalle nostre tasche in corruzione e nel finanziamento del terrorismo, una pratica che non appartiene solo ad Hamas. Ecco come nasce una città, ecco come funziona la collaborazione di Israele. Se i palestinisti la piantassero lì di volersi impadronire di Israele e cominciassero a comportarsi da vicini civili, la questione israelo-palestinese sarebbe finita da un pezzo. Purtroppo non è così.
Maurizio Molinari la città di Rabawi
Ecco l'articolo:
Bandiere del Quatar, cucine italiane, wi-fi in strada, trasporti pubblici «green» e appartamenti per 40 mila abitanti: benvenuti a Rawabi, la prima città palestinese costruita letteralmente dal nulla, dove le famiglie dei «pionieri» iniziano ad arrivare.
Anwar Hussein, 48 anni, docente all’Università di Bir Zeit, ha versato 140 mila dollari per un appartamento di quattro stanze con vista sulle valli della Cisgiordania perché «dopo essere vissuto in Arizona e Canada ho scelto come casa in Palestina un luogo che mi garantisce un’alta qualità di vita».
La moglie Samah annuisce, mostrandoci la casa «dove entreremo a fine mese» a seguito della decisione del governo israeliano di allacciare Rewabi alla rete idrica Mekorot, facendo arrivare acqua corrente in ogni appartamento.
Sono 623 gli immobili già venduti che stanno per ricevere altrettante famiglie del ceto medio-alto palestinese. Altri sono destinati a creare «un nuovo mercato immobiliare» come spiega Isa Rishmaui, imprenditore di Betlemme, cristiano, 41 anni, che ha deciso di investire qui i ricavati della sua azienda turistica «perché Rawabi è l’unica città palestinese che appartiene al XXI secolo».
Ceto borghese e cristiani
Per comprendere cosa intende bisogna fare 30 minuti di auto dal centro di Ramallah, raggiungendo le colline - in arabo «rawabi» - dove nel 2007 la società finanziaria Diar Real Estate Investment Company del Qatar ha deciso di investire un miliardo di dollari per realizzare dal nulla una città hi-tech, progettata per assomigliare al sobborgo di una metropoli nordamericana attirando i palestinesi che arrivano dall’estero, i professionisti e le famiglie giovani pronte a investire. «Ci siamo trovati davanti numerosi e ostacoli ma i risultati sono davanti ai vostri occhi» dice Bashar Masri, ceo della società Massar, responsabile dei lavori, parlando dalla futura piazza di un centro commerciale con oltre duecento negozi e mille posti macchina.
È posizionato nel cuore dell’abitato, che si articola in strade circolari con palazzi eleganti e case arredate con design moderno, solo in parte già terminate. Un milione di mq è già costruito, ne restano altri cinque da completare. A essere finito è l’anfiteatro per gli show notturni, al cui fianco sorgeranno sei ristoranti, cinque banche, scuole, un campo da calcio e parchi per il tempo libero. Il tutto immerso in un manto di duemila alberi, percorso da strade dove - residenti a parte potranno circolare solo trasporti locali con carburanti «green».
Rawabi sfida ogni cognizione esistente di città palestinese: non c’è il bazar come a Hebron, il mercato della frutta come a Gerico o un centro governativo come a Ramallah. E non c’è il legame, atavico, il territorio di un villaggio e la «hamula» (grande famiglia) che vi risiede da secoli. C’è invece uno «show room» dove si vendono appartamenti e negozi con simulazioni tridimensionali. Esplorando Rawabi ci si affaccia in Medio Oriente inconsueto. «Abbiamo acquistato la terra da duemila famiglie palestinesi, impieghiamo 10 mila operai arabi, e ogni anno acquistiamo 100 milioni di materiale edile da aziende israeliane» spiega Amir Dajani, manager della Bayt Real Estate Investment Company, descrivendo un progetto che «prende corpo con le risorse che ci sono» senza tabù politici.
La cautela dell’Anp
D’altra parte l’unico finanziatore è una società privata del Qatar, ovvero l’Emirato accusato di sostenere Hamas a Gaza. Proprio questa matrice spiega la cautela del presidente palestinese Abu Mazen, che qui non è ancora venuto pur esprimendo sostegno. «Ciò che non comprendiamo è perché il governo palestinese non abbia mantenuto l’impegno a versare 140 milioni di dollari le scuole pubbliche - sottolinea Bashar Masri - ma abbiamo trovato una soluzione, le faremo private». Anche i rapporti con Israele sono altalenanti: il via libera del governo Netanyahu all’allaccio della rete idrica è arrivato alla vigilia del viaggio a Washington - per il discorso al Congresso Usa - mentre tardano i permessi per la rete stradale. «Quando avremo raggiunto 2000 famiglie serviranno strade più grandi attraverso territori amministrati da Israele» preannucia Masri, sottolineando però che «non vogliamo diventare motivo di contrasto nel negoziato» perché «la priorità è creare la prima città palestinese per il ceto medio-alto».
Fra i consigli che Masri ha più apprezzato vi sono quelli del sindaco di Tel Aviv, Ron Huldai, che è venuto a Rawabi e ha suggerito di «concentrarsi sulle strutture chiave». È la genesi di una città dove gli acquirenti sono in gran parte coppie giovani, con l’84 % delle donne che lavorano e il 10% di cristiani. Ecco perché la venditrice Shadia Jarafar, 27 anni, di Hebron, camicia viola e pantaloni attillati, assicura che «investire qui significa scommettere sul futuro». Bashar Masri va oltre: «Se avremo successo, sorgeranno altre Rawabi in Palestina, diventando la spina dorsale dello Stato indipendente».
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