Riprendiamo da LIBERO di oggi, 15/05/2015, a pag. 11, con il titolo "I talebani rispondono all'Isis, strage di occidentali a Kabul", cronaca e commento di Carlo Panella.
Carlo Panella
Talebani in Afghanistan
Erano le 21 di venerdì, la bellissima cantante Altaf Hussain si preparava a cantare nella hall principale del Park hotel di Kabul in onore di un uomo d’affari canadese, quando è stata bloccata da urla e rumori. Un commando terrorista aveva preso possesso dell’albergo e ha sequestrato come ostaggi i suoi ospiti. I talebani andavano sul sicuro: l’albergo dista pochi isolati dalla sede Onu e quindi i suoi ospiti sono sicuramente di rilievo. Con la solita ferocia jihadista, uno di loro ha setacciato le camere e ha assassinato gli «infedeli».
Una notte di incubo, sotto la minaccia di una strage ancora più grave, perché i terroristi erano imbottiti di tritolo e minacciavano di farsi saltare in aria. All’alba, però le forze di sicurezza afghane hanno avuto la meglio e hanno liberato i superstiti. Bilancio: 14 vittime, tra cui l’italiano Alessandro Abati, 50 gli ostaggi liberati. Dubbi sulla dinamica dei fatti con l’inattendibile polizia afghana che parla di tre assalitori e l’ancora meno attendibile portavoce dei talebani che invece attribuisce l’azione a un solo suo uomo. Comunque sia, l’attentato dimostra ancora una volta che i talebani possono portare a termine qualsiasi azione terroristica contro qualsiasi bersaglio in qualsiasi momento anche nel centro di Kabul e che l’indubbio successo della ricostruzione del Paese è solo una faccia della medaglia.
A Kabul le donne possono liberamente andare all’università e laurearsi, la vita è apparentemente normale, sono tornati la libertà e la civiltà. Ma, come dice Luca Redaelli, coordinatore di Emergency in Afghanistan: «Ormai a Kabul non ci sono più zone sicure». Il terrorismo si è cronicizzato e le trattative di pace, in corso da più di un anno a Doha tra emissari dei talebani e del governo del presidente Ghani, non portano ancora a nulla. Ma sarebbe un grave errore guardare solo a quello che avviene in Afghanistan e magari accusare gli Usa e il solito George W. Bush di esserne l’irresponsabile causa.
L’osceno attentato di poche ore prima in Pakistan, e la lunga scia di sangue che segna l’attività dei talebani nell’Afpak (così è chiamato politicamente lo scenario afgano-pakistano) dimostrano che non solo di terrorismo si tratta, ma di qualcosa di più e di diverso. La scena di una decina di motociclette che affiancano un autobus sgangherato e di altrettanti disgraziati che sparano a mitragliate contro i passeggeri e li maciullano solo perché sono sciiti, indica che un male profondo mina tutta quella regione. La verità è che in Pakistan, dal 1978 in poi, con il golpe del generale Ziaul Haq, irresponsabilmente e incredibilmente supportato da Jimmy Carter e poi dagli altri presidenti Usa, ha preso il potere una classe politica islamista, dalle idee non tanto distanti da quelle di Abu Bakr al Baghdadi (ma con più tatto, indubbiamente).
Zia ul Haq impiccò il laico Ali Bhutto (così come il suo successore Musharraf lasciò uccidere in un attentato la figlia Benazir Bhutto) e introdusse in Pakistan leggi degne del Califfato nero, inclusa quella Blasphemy Law in base alla quale Asia Bibi è stata condannata a morte. Questo cancro jihadista pakistano si è poi riversato in Afghanistan quando, ancora più irresponsabilmente, il pur grande Ronald Reagan, affidò ai generali jihadisti pakistani il compito di contrastare l’invasione sovietica di Kabul. Furono i servizi segreti (Isi) del Pakistan assieme a quelli dell’Arabia Saudita a inventare letteralmente i talebani e a fare prendere loro il controllo dell’Afghanistan nel 1996, con il pieno assenso di Bill Clinton. Furono i pakistani e i sauditi a finanziare Osama bin Laden in funzione antisovietica e a prenderne le distanze solo quando il leader di al Qaeda iniziò a dirazzare.
Il grande errore compiuto da Bush, dalla Nato e da Obama negli ultimi anni è stato dunque non comprendere che il problema dei talebani e del jihadismo nell’AfPak non è solo militare e che coinvolge ancora larga parte dei vertici militari di Islamabad, nonostante che capo del governo sia diventato il «laico» Nawaz Sharif che ha impresso una svolta nel contrasto ai talebani. Le stesse clamorose rivelazioni sulle parti oscure della versione di Obama sulla uccisione di bin Laden rivelano una verità: i Servizi di Islamabad sapevano benissimo dove si trovava il capo di al Qaeda e lo proteggevano.
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