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Una notte soltanto, Markovitch Una dimensione magica, a tratti surreale, scandisce il ritmo narrativo del bel romanzo d’esordio di Ayelet Gundar-Goshen in cui realtà storica e fiaba si intersecano in modo magistrale. Nata in Israele nel 1982, redattrice per uno dei principali quotidiani israeliani, oltre che autrice di sceneggiature che hanno riscosso successo di critica e premi prestigiosi, Gundar-Goshen ha ricevuto il premio Sapir per la miglior opera prima con il romanzo “Una notte soltanto, Markovitch”, pubblicato in questi giorni da Giuntina nella bella versione di Ofra Bannet e Raffaella Scardi. E’ un racconto suggestivo, sensuale, stimolante che narra vicende intime e storiche con una passione mai disgiunta da un garbato umorismo e, nel contempo, affronta i temi immortali dell’amore, della vita e della sopravvivenza. La vicenda, che ruota attorno a due personaggi indimenticabili, Yaacov Marcovitch, un contadino sionista, “talmente privo di peculiarità che l’occhio non si soffermava a guardarlo” e il suo unico amico Zeev Feinberg, famoso in tutta la regione per i baffi e l’ esuberanza, prende avvio negli anni del Mandato britannico in Palestina mentre in Europa incombe il regime nazista. Il vice capo dell’Irgun, che si adopra per salvare Zeev, donnaiolo impenitente, dalle ire del macellaio Abraham Mandelbaum, invia i due amici in Europa con una missione segreta: per procurare alle donne ebree un permesso d’ ingresso in Terra d’Israele, aggirando così la legge sulle quote di immigrazione, si organizzano matrimoni fittizi destinati ad essere sciolti non appena le coppie giungono a destinazione. Il piano si inceppa quando Markovitch scopre che la moglie che gli è stata assegnata, seppur fittizia, è assai bella e affascinante e una volta arrivato in Terra d’Israele si rifiuta caparbiamente di divorziare, nonostante le pressioni dei rabbini e gli interventi brutali di alcuni compagni. Se all’inizio Markovitch spera di suscitare nella moglie qualche sentimento amoroso deve ben presto ricredersi: ciò che sprigiona dagli occhi di Bella è un odio feroce per l’uomo che l’ha privata della sua libertà. Il risultato è una sofferenza che pervade entrambi nel profondo e che li condurrà a scelte e decisioni catastrofiche. Poiché l’amore e la passione permeano buona parte del romanzo, al gelido matrimonio di Bella e Yaacov fa da contrappunto l’appassionata relazione fra Zeev e Sonia la cui pelle profuma d’arancio e fa girare la testa agli uomini: una donna caparbia, dalla volontà di ferro che, pur colpita dagli accadimenti della vita, cela nel cuore un segreto struggente. La vita di queste coppie si intreccia mirabilmente pagina dopo pagina e si arricchisce di nuove vicissitudini e di figure straordinarie; nascono dei figli ma sia Yaacov che Zeev finiscono per crescere bambini che non sono loro. Tutti attendono qualcosa: Sonia sul litorale in cerca del marito partito per l’Europa o Yaacov bramoso di ricevere un gesto d’amore dalla bellissima moglie. La Shoah si infiltra nel romanzo, e non potrebbe essere altrimenti, nel ricordo dei familiari sterminati in Europa e nella decisione del vice capo dell’Irgun di inviare Zeev a catturare i nazisti ancora liberi. Sono pagine di forte impatto emotivo quelle in cui l’autrice descrive come la decisione di uccidere un ufficiale nazista, colpevole di orrendi crimini, non offuschi la pietas del protagonista per la figlioletta di costui: Zeev salva la bimba di Herman Ungrat e la conduce in Terra d’Israele (“Perché il modo migliore per sentirci forti è trattare con compassione coloro da cui in passato dipendeva la nostra sopravvivenza”). Nel romanzo di Gundar-Goshen, autrice capace come pochi altri di cogliere i dettagli della vita domestica, di descrivere con sapienza narrativa i particolari del paesaggio, gli odori, i suoni e i sapori, non mancano accenni alla politica di quegli anni. E le riflessioni che scaturiscono dalla bocca dei protagonisti, pur prive di polemica, non nascondono né la gioia degli ebrei per aver riconquistato la loro terra né la sofferenza degli arabi allontanati dalle loro abitazioni (“Li abbiamo cacciati da Lod. Ci aspettano quarant’anni di tranquillità. No, non saremo tranquilli. Li aveva visti, lui, gli occhi degli arabi di Lod mentre ammassavano i loro pochi averi e partivano per la lunga marcia sotto il sole cocente…”). Con una cifra linguistica ricca di riferimenti alla lingua ebraica, dalla Torah al Talmud, le pagine di Gundar-Goshen ci riportano al realismo magico dei romanzi di Meir Shalev e di Isabel Allende, per regalarci un’opera che riconcilia con l’antico piacere di lasciarsi trasportare dal fascino di “ascoltare” storie da cui si dipanano, come tanti fiumi, una miriade di racconti che finiscono per confluire nel mare di un romanzo indimenticabile.
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