IC7 - Il commento di Giorgio Berruto
Dal 19 al 25 aprile 2015
Israele, il Paese di tutti: ebraico perché democratico, democratico perché ebraico
Tikkun olam - Rendere il mondo un posto migliore
Mercoledì scorso, 22 aprile, in Israele si è celebrato Yom Hazikaron, il Giorno del ricordo dei caduti e delle vittime del terrorismo. E’ una delle ricorrenze più sentite nel Paese, ed è facilmente comprensibile se pensiamo che non vi è quasi persona che non abbia perso un figlio, un conoscente o un amico nelle molte guerre difensive che Israele è stata costretta a combattere, negli attentati che dagli anni venti hanno scandito la vita e la morte per migliaia di ebrei nella Palestina mandataria prima e nello Stato ebraico poi.
Quest’anno nel memoriale delle vittime del terrorismo – presso il cimitero nazionale sul monte Herzl, a Gerusalemme – è stato inserito anche il nome di Mohammed Abu Khdeir, il giovane arabo palestinese ucciso e bruciato a morte nel giugno scorso da un gruppo di ebrei residenti in una località del West Bank. Per la cronaca, i fanatici responsabili del crimine sono stati subito individuati, e personalmente mi auguro che venga loro riservata la pena più dura tra quelle contemplate dal codice israeliano, d’altra parte più che giustificata a fronte di un’azione tanto efferata.
Israele, comprendendo il nome di Mohammed nella lista delle vittime del terrorismo, dimostra una volta di più di essere un Paese fondato sull’inclusione. Poco importa, a questo riguardo, se davvero l’uccisione di Mohammed sia riconducibile alla categoria del terrorismo. Poco importa, anche, che in seguito il padre Hussein Abu Khdeir abbia chiesto e ottenuto la rimozione dall’elenco del nome del figlio (ennesima occasione persa da parte di chi preferisce il conflitto all’incontro).
Quello che più conta è che Israele è un Paese inclusivo, e lo è per costituzione. Questo carattere scaturisce dalle strutture del Paese e prescinde in modo pressoché totale da quali siano i partiti al governo in una determinata fase storica. In Israele tutti i cittadini hanno pari opportunità; questo non significa che non esistano discriminazioni, ma che queste vengono combattute, come accade in Paesi dalle solide fondamenta democratiche ma non per questo perfetti come la stessa Italia.
Molti osservatori considerano il carattere ebraico di Israele un freno alla democrazia, e perciò all’inclusività, ma nulla vi è di più lontano dal vero: lo Stato di Israele è ebraico perché democratico, ed è democratico perché ebraico. Non è una banalità, e cercherò di spiegarne il motivo.
Solo un Paese democratico, in quella porzione di mondo che è il Medio Oriente, consente ai propri cittadini di godere di pari diritti a prescindere da qualsivoglia appartenenza e origine. Arabi ed ebrei, cristiani e musulmani, drusi e circassi; e poi ebrei provenienti dall’Argentina e dal Sudafrica, dall’Iran e dall’Ucraina, dalla Francia e dal Marocco, dalla Turchia e dall’Australia, dall’Italia e dall’Etiopia. Per questo la democrazia è fondamentale al carattere ebraico di Israele.
Specularmente, Israele è democratico perché ebraico. E’ fin troppo facile, guardando ai Paesi arabi che circondano Israele, notare che sono tutt’altro che democratici. Ma c’è una ragione più profonda, ed è da ricondurre al carattere di tikkun ‘olam – “aggiustamento del mondo” – dell’ebraismo; è l’obiettivo, in uno sforzo programmaticamente senza fine di lontana matrice messianica, di migliorare il mondo, che non ci è mai dato come oggetto da conservare: “del Signore è la terra”, recita il Salmo 24, a noi il compito di raddrizzarne le inevitabili storture. Anche per questo la democrazia di Israele è una conseguenza del carattere ebraico dello Stato; per questo dimensioni ideologiche come il conservatorismo e la reazione sono costitutivamente lontane dall’ebraismo.
Giorgio Berruto