Riprendiamo da LIBERO di oggi, 24/04/2015, a pag. 1-7, con il titolo "Il fallimento di Obama uccide un italiano", il commento di Carlo Panella.
Carlo Panella
Un drone
L’uccisione del cooperante italiano Giovanni Lo Porto, assieme ad un altro ostaggio, l’americano Warren Weinstein, mette il sigillo funebre e disonorevole non su uno strumento, il drone,ma sull’intera strategia antiterrorismo di Barack Obama. I due, presi in ostaggio da al Qaeda l’uno nel 2011 e l’altro nel 2012, sono infatti stati uccisi dentro la loro prigione nel Waziristan pakistano dal drone che mirava ad eliminare Ahmed Farouq, il leader locale di al Qaeda che li teneva prigionieri. In realtà, ogni volta che un drone colpisce un terrorista, ammazza in media 28 civili innocenti! È questa la media statistica elaborata dalle organizzazioni umanitarie che calcolano in circa 2.800 i civili morti sino al 2014, per uccidere 100 terroristi o presunti tali.
Cifre forse non esatte, ma seriamente indicative. Questa volta però i droni di Obama non hanno ucciso innocenti civili arabi, ma un innocente civile italiano e un innocente civile americano, per di più ostaggi e quindi Obama - che mai razzisticamente si era preoccupato di scusarsi per le vittime civili arabe, incluse centinaia di donne e bambini - si è pubblicamente scusato: «Nessuna parola può esprimere appieno il nostro rammarico per questa terribile tragedia, come marito e come padre posso solo immaginare il dolore e l’angoscia che stanno provando le due famiglie per la perdita dei loro cari. Il loro esempio sarà una luce per chi è rimasto. Mi assumo tutte le responsabilità di tutte le operazioni antiterrorismo, compresa questa».
Barack Obama: la sua politica estera in Medio Oriente è un fallimento
La tragica morte per “fuoco amico” di Lo Porto e Weinstein ci obbliga dunque a riflettere sia sulla dottrina militare che sottostà all’uso dei droni, sia alla loro affidabilità. Riflessione obbligatoria nel momento in cui tanti media italiani parlano e straparlano dei droni per contrastare il racket degli scafisti. Obama, dunque, usa i droni perché sostiene che il terrorismo islamico non sia legato a una deviazione di massa dal corpo dell’islam, basata sul consenso, ma sia essenzialmente composto da una banda di delinquenti senza fede. E i delinquenti si vincono abbattendoli. Tutto qui.
Questa teoria ha avuto il risultato di lasciare moltiplicare per mille i terroristi durante la presidenza Obama, di permettere che si strutturassero nel Califfato di al Baghdadi, che conquistassero uno Stato, che unificassero masse di jihadisti dalla Nigeria all’Indonesia. Ma Obama non la abbandona. I risultati si vedono in Iraq e Siria dove dopo 10 mesi di guerra obamiana il Califfato continua a espandersi, ha appena conquistato Idlib in Siria e Ramadi in Iraq, compensando così ampiamente le sconfitte subite a Kobane e Tikrit.
Ma veniamo ai problemi tecnici che pongono i droni. Questi piccoli aerei senza pilota sono infatti manovrati da migliaia di chilometri di distanza da Top Gun e hanno quindi un deficit drammatico: non avendo un uomo a bordo, si basano su informazioni di uomini a terra, integrate con rilevazioni satellitari. La rilevazione della posizione del target dunque non è immediata, spesso risale a minuti, decine di minuti prima che il drone arrivi sul luogo delle operazioni. Risultato: il drone non mette in pericolo la vita dei preziosissimi piloti, ma è assolutamente impreciso, dipende da informazioni umane a terra e non si accorge se il “target” è stato nel frattempo raggiunto da bambini, o, come è accaduto per i poveri Lo Porto e Weinstein, si trova nella stanza accanto alla cella in cui sono detenuti due ostaggi. Straordinario strumento di rilevazione e osservazione, il drone è dunque assolutamente impreciso e la sua operatività concreta non garantisce che le barche vuote rilevate su una spiaggia libica, nel lasso di tempo tra la segnalazione e il suo arrivo in loco, non siano state riempite di migranti che verrebbero così mitragliati assieme agli scafi.
Conclusione: i droni in Libia non ci serviranno come armi di contrasto al racket, ma come preziosissimi strumenti di spionaggio. Il contrasto al racket dovrà essere fatto da elicotteri, mezzi navali di rapido impiego, marò, sommozzatori, paracadutisti, agenti segreti armati che avranno come obbiettivo non tanto gli scafi, ma il racket e soprattutto i suoi capi e mandanti. Lavoro complesso, che poco a ha che fare con quello descritto in questi giorni dai media.
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