Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 23/04/2015, a pag. 49, con il titolo "La Turchia e l'Europa: i tempi non sono maturi", la risposta di Sergio Romano alla lettera di Patrizio Bosoni.
Con molto ritardo, ma finalmente anche Sergio Romano si è accorto delle conseguenze inaccettabili che comporterebbe un ingresso della Turchia di Erdogan nell'Unione Europea.
Nell'articolo, però, Romano si "dimentica" di citare l'appoggio incondizionato offerto dalla Turchia islamista di Erdogan ai terroristi di Hamas. Scrive del sostegno alla Fratellanza musulmana in Egitto, senza però scrivere che in Egitto è stata dichiarata fuorilegge. Appunto, come Hamas, sua appendice.
Ecco la lettera e la risposta di Romano:
Sergio Romano
La Turchia sogna l'Europa. Non vale viceversa
Leggendo l’articolo di Ricardo Franco Levi ( Corriere , 15 aprile) non sono riuscito a capire le motivazioni per le quali la Turchia non possa aspirare ad entrare nella comunità europea. L’autore afferma che, aspirando a essere una grande potenza regionale, la Turchia non può per questo contenere le proprie ambizioni nel quadro degli interessi comuni. Francamente mi sembra una motivazione debole, specie tenendo conto dell’atteggiamento della Germania e prima anche della Francia. Mi può chiarire il concetto espresso da Levi?
Patrizio Bosoni
patrizio.bosoni@me.com
Le stelle dell'UE sono lontane, per la Turchia islamista di Erdogan
Caro Bosoni,
È certamente vero che non vi è membro dell’Unione Europea, piccolo o grande, che sia oggi disposto a sacrificare i suoi interessi nazionali sull’altare di una politica estera veramente comune. Ma fra i maggiori Paesi dell’Ue e la Turchia esiste una importante differenza. I primi, quando agiscono più o meno unilateralmente, si muovono all’interno di un perimetro di interessi e percezioni che rimane, nonostante tutto, europeo. La Turchia, dopo le rivolte arabe, è diventata, molto più di quanto fosse precedentemente, una potenza medio-orientale. Il suo ruolo nella guerra civile siriana non è solo quello di un Paese confinante, comprensibilmente interessato da ciò che accade lungo le sue frontiere.
È quello di un Paese chiaramente schierato con i nemici del regime di Bashar Al Assad, sino al punto di consentire che il proprio territorio venga usato per assisterli e sostenerli. Le stesse considerazioni valgono per i suoi rapporti con l’Egitto. Dopo la caduta di Hosni Mubarak, il governo di Recep Tayip Erdogan ha sostenuto la Fratellanza musulmana e ha accolto con soddisfazione la sua vittoria nelle prime elezioni politiche. E non ha smesso di sostenerla nemmeno quando era sempre più evidente che il governo di Mohammed Morsi sarebbe stato soggetto alla crescente influenza del fondamentalismo salafita. Il risultato di questa politica, come sappiamo, è stata la rottura dei rapporti diplomatici di Ankara con l’Egitto del maresciallo Al Sisi.
Ciascuna di queste politiche può essere giudicata diversamente, a seconda dei punti di vista, ma è indice di un coinvolgimento che non sembra compatibile, soprattutto in questo momento, con l’appartenenza all’Unione Europea. Esistono altre difficoltà. Alcuni Paesi sono chiaramente ostili all’ingresso della Turchia nell’Ue. In Francia, durante la presidenza di Nicolas Sarkozy, è stata varata una legge che prevede, per ogni nuovo allargamento, una consultazione referendaria o un voto ponderato delle due Camere. La presidenza Hollande sembra avere un atteggiamento meno preclusivo e ha autorizzato, nell’ottobre del 2013, la ripresa dei negoziati di adesione, interrotti da tre anni. Ma anche Hollande ha promesso un referendum, vale a dire un passaggio che, soprattutto in questo particolare momento, si concluderebbe con una maggioranza di no. Peccato. I sondaggi di opinione dimostrano che la grande maggioranza dei turchi continua a desiderare l’ingresso nell’Unione Europea. Ma temo che dovranno attendere, perché si possa ricominciare a parlarne concretamente, non meno di una generazione.
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